La violenza può manifestarsi anche in forma verbale e le microaggressioni ne sono un esempio. Questi attacchi sono spesso velati e per questo quasi non ce ne accorgiamo. Essi puntano a ferire tutti quei soggetti appartenenti a gruppi  minoritari, perpetrando stereotipi e luoghi comuni.

Scopriamo come si manifestano le microaggressioni, in che modo individuarle e soprattutto come contrastarle.

Cosa sono le microaggressioni?

Per comprendere cosa sono le microaggressioni possiamo rifarci alla definizione conferita dallo U.S. Department of Health & Human Services:

[si tratta di] sgarbi verbali, non verbali e ambientali quotidiani, affronti o insulti – intenzionali o non intenzionali – che comunicano messaggi ostili, sprezzanti o negativi agli individui basati esclusivamente sulla loro appartenenza a un gruppo emarginato.

Le microaggressioni ripetono o affermano gli stereotipi relativi ad un gruppo minoritario di soggetti e tendono a minimizzare l’esistenza di discriminazione o pregiudizio, intenzionale o meno. Derald Wing Sue, psicologo e scienziato sociale di spicco della Columbia University, ha individuato come le microaggressioni si manifestino in 3 forme:

  • Verbale: la microaggressione verbale è un commento o una domanda che ferisce o stigmatizza un certo gruppo di persone. Ad esempio: “Sei così intelligente per essere una donna”;
  • Comportamentale: si verifica quando qualcuno si comporta in modo offensivo o discriminatorio. Un esempio di microaggressione comportamentale è un barista che ignora una cliente transgender servendo prima una persona cisgender;
  • Ambientale: questa terza microaggressione si verifica quando una sottile discriminazione avviene all’interno della società. Un esempio è un campus universitario i cui edifici sono esclusivamente intitolati a persone bianche.

Come riconoscere una microaggressione?

Le microaggressioni non sono sempre facili da individuare perché surfano sulla superficie dei discorsi e dei comportamenti camuffandosi da battute o complimenti. Forti della loro natura subdola, queste affermazioni nascondono dichiarazioni offensive o supposizioni totalmente insensibili nei confronti dell’interlocutore.

La Royal Pharmaceutical Society ne ha individuato le caratteristiche:

  • invalidano l’identità del gruppo o l’esperienza di vita delle persone interessate;
  • umiliano sotto il profilo personale o di gruppo sottendendone l’inferiorità;
  • suggeriscono che la persona non appartiene al gruppo di maggioranza;
  • minacciano e intimidiscono.

È fondamentale tenere presente il contesto della relazione e della situazione che si sta svolgendo prima di saltare a conclusioni troppo affrettate.

Le tipologie di microaggressioni

Derald Wing Sue, nel suo libro intitolato Microaggressions in everyday life. Sex, Gender and Sexual orientation, ne ha individuate le tipologie:

  • Microaggressioni (Microassaults): quando una persona si comporta intenzionalmente in modo discriminatorio senza l’intenzione di essere offensivo. Un esempio di microaggressione è una persona che dice una battuta razzista e poi aggiunge “Stavo scherzando”;
  • Microinsulti (Microinsults): un commento o un’azione involontariamente discriminatoria. Un esempio potrebbe essere una persona che dice a un medico indiano: “Il tuo popolo deve essere così orgoglioso”.
  • Microinvalidazioni (Microinvalidations): quando il commento di una persona invalida o mina le esperienze di un certo gruppo di persone. Un esempio di microinvalidazione sarebbe una persona bianca che dice a una persona di colore che “il razzismo non esiste nella società di oggi”.

Le microaggressioni mostrano un ampio spettro di sfumature discriminatorie. Ecco le categorie prese di mira e individuate da Sue e riprese da Kevin Leo Nadal, premiato psicologo e professore alla Columbia University, in Racial Microaggressions in Everyday Life: Implications for Clinical Practice:

  • Donne: il ruolo di genere tradizionalmente concepito vede il perpetrarsi di stereotipi in cui la donna è meno intelligente e capace dell’uomo: “Sei una donna, non devi essere brava in matematica”. L’imprescindibile ruolo di moglie e madre poi, è un altro tema delle microaggressioni: ad esempio se qualcuno chiede a una donna la sua età e una volta appreso che ha 31 anni lo sguardo va subito al suo anulare per vedere se ha la fede. “Quando lo fai un figlio?” è una microaggressione che dà per scontato il desiderio di maternità, senza considerare se sia effettivamente sentito dalla donna oppure se per scelta o infertilità non lo avrà mai. Altre microaggressioni all’insegna del sessismo sono “Questo non è un lavoro da donne” oppure “Ci penso io a fare quella o quest’altra cosa” sottendendo l’incapacità della donna.
  • LGBT: L’affermazione “Non sono omofobo, ho tanti amici gay” che dovrebbe mirare alla negazione dell’omofobia, si regge su  basi molto precarie, dato che il fatto di avere amici omosessuali non rende automaticamente una persona tollerante. Nella compilazione del genere all’interno dei moduli, le persone LGBT sono costrette a scegliere solo tra maschio e femmina e questo mette in evidenza una mancanza di riconoscimento di orientamenti e identità di genere diversi da quello binario. Anche lo status sposato o single evidenzia come i partner LGBT vengano ignorati. È una microaggressione comune da parte degli eterosessuali fare domande sulle preferenze sessuali o rivolgersi a una persona trans chiedendo se e dove si è operata.
  • Persone di colore: tra gli stereotipi sulle persone di colore c’è la minore intelligenza rispetto ai bianchi, ecco perché si continuano a sentire affermazioni del tipo: “Fai onore alla tua razza!”. “Quando ti guardo non vedo il colore della tua pelle” o “C’è solo una razza, ed è la razza umana” sono microaggressioni che si rifanno all’intenzione di negare la diversità etnica e culturale. La negazione del razzismo individuale è un altro argomento che viene alla luce con microaggressioni come “Non sono razzista, ho tanti amici di colore”. Il mito della meritocrazia emerge con affermazioni secondo le quali l’etnia di appartenenza non gioca un ruolo nei successi della vita e al contempo sottende lo scarso impegno e la pigrizia delle persone di colore nel raggiungimento degli obiettivi: “Tutti possono avere successo in questa società, se lavorano abbastanza duramente”.
  • Persone asiatiche, ispaniche o native americane: il tema attorno al quale ruotano le microaggressioni è l’estraneità nel proprio Paese da parte di asiatici, ispanici o nativi americani. Per il loro aspetto viene dato per scontato che siano nati all’estero: “Da dove vieni veramente?”, “Parli un buon Inglese” sono degli esempi. Rivolgersi a una persona di etnia diversa dalla propria parlando piano dando per scontato che non sappia la lingua è un’altra microaggressione;
  • Disabili: il cosiddetto “abilismo” (in inglese ableism) è l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità (siano esse di natura emotiva, fisica o psichica). Come evidenziano Richard M. Keller e Corinne E. Galgay nell’11° capitolo del libro di Sue Microaggressions and Marginality. Manifestation, Dynamics and Impact, le microaggressioni verso i disabili spaziano dalla negazione personale (Non posso credere che tu sia sposato”) alla negazione della disabilità stessa (“Dai, abbiamo tutti delle disabilità”). L’infantilizzazione poi, si manifesta con esternazioni come “Lascia che lo faccia al posto tuo” insinuando di saper fare meglio una determinata cosa e considerando a priori il disabile incapace di farla. Un’altra microaggressione che si verifica spesso è quella dell'”impotenza”, ovvero quando le persone cercando freneticamente di aiutare un disabile, ad esempio a scendere da un treno quando è palese che ci riesca in totale autonomia. Un’altra microaggressione particolarmente radicata è la “patronizzazione” che si verifica quando un disabile viene lodato per il semplice fatto di esserlo, senza un reale motivo, con affermazioni come “Quelli come voi sono fonte di grande ispirazione”, ampliando il gap tra persone con o senza disabilità che viene alimentato dal pietismo.

Microaggressioni: conseguenze e come reagire

Nonostante alcune persone credano che le microaggressioni siano brevi e innocue, molti studi hanno scoperto come queste esternazioni abbiano un impatto significativo sulla salute mentale e fisica dei soggetti ai quali sono destinate.

Una ricerca pubblicata sul Journal of Counseling & Develpment ha dimostrato come a seguito delle microaggressioni razziali è più probabile che le persone di colore sviluppino sintomi depressivi e una visione negativa del mondo. In un altro studio i partecipanti LGBT hanno riferito che dopo aver subito microaggressioni si sono sentiti depressi, ansiosi e in alcuni casi anche traumatizzati. I ricercatori hanno rilevato anche effetti estremamente gravi come l’abuso di alcol.

In che modo possiamo reagire alle microaggressioni? Nadal nel suo articolo A Guide to Responding to Microaggressions descrive un processo in 3 fasi su come affrontarle:

1. Questa microaggressione è avvenuta davvero?

Quando al momento dell’evento ci sono persone intorno a noi (in particolare delle quali ci fidiamo) diventa più semplice verificare e convalidare la microaggressione. Se invece si è soli a fronteggiare la situazione, è comunque utile cercare il supporto delle persone care per raccontargli l’accaduto e chiedere un parere.

2. Dovrei rispondere a questa microaggressione?

Se un individuo è certo (o moderatamente certo) che una microaggressione si sia effettivamente verificata, deve riflettere sui potenziali rischi o conseguenze nel rispondere o meno. Nadal suggerisce alcune domande da porsi:

  • Se rispondo, la mia sicurezza fisica potrebbe essere in pericolo?
  • Se rispondo, la persona si metterà sulla difensiva e questo porterà a una discussione?
  • Se rispondo, come influenzerà la mia relazione con questa persona?
  • Se non rispondo, mi pentirò di non aver detto qualcosa?
  • Se non rispondo, questo significa che accetto il comportamento o l’affermazione?

3. Come dovrei rispondere a questa microaggressione?

Quando si è soggetti a una microaggressione si potrebbe reagire istintivamente in modo passivo-aggressivo, ad esempio con una battuta o un commento sarcastico per trasmettere quanto si è arrabbiati o infastiditi. Questo però non è un modo efficace di gestire la situazione.

Nadal infatti, sostiene che una reazione proattiva possa avere un effetto quasi terapeutico per alcune persone, che riescono a liberarsi di anni di frustrazione accumulata a seguito di microaggressioni perpetrate. Inoltre risulta funzionale anche per chi non ha l’energia per coinvolgere il perpetratore in una discussione.

La terza reazione è quella che sicuramente pone le premesse per un dialogo: il comportamento assertivo. Esso si traduce nel rivolgersi in modo calmo al perpetratore esprimendo il proprio stato d’animo, esponendo il motivo per il quale l’esternazione viene percepita come offensiva.

Spesso il perpetratore si metterà sulla difensiva, il che può portare a ulteriori microaggressioni (in particolare microinvalidazioni). Può essere importante usare le affermazioni in prima persona, ad esempio: “Mi sono sentito ferito quando l’hai detto”, invece di dichiarazioni di attacco come “Sei un razzista!”. Il punto cardine è il comportamento, non chi l’ha messo in atto.

Un linguaggio aperto e pacato è decisivo per far comprendere un comportamento scorretto soprattutto se partiamo dal presupposto che alle persone non piace essere etichettate come sessiste, omofobe o razziste, quindi se si vuole instaurare un dialogo efficace senza stare sulla difensiva, è meglio evitare questo genere di attacchi.

In un’intervista Nadal dà un suggerimento: se non si è sicuri che quello che si sta per dire sia effettivamente uno stereotipo, meglio riflettere attentamente sul perché si è portati verso quella affermazione e se la si è già esternata invita ad osservare la reazione suscitata nell’interlocutore:

Se vedi che forse qualcuno sta mostrando disagio dal volto o dal linguaggio del corpo, che non apprezza la presunzione che hai appena fatto su di lui, sceglie di cogliere gli indizi.

Dall’altro lato, con la consapevolezza che la strada è ancora in salita, chi è soggetto alla microaggressione ha l’opportunità di contrastare concretamente gli stereotipi promuovendo un dialogo all’insegna di una maggiore sensibilità e consapevolezza.

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