Concern trolling, quel "mettere le mani avanti" grassofobico e/o razzista

Il concern trolling è una tattica purtroppo molto diffusa che denigra e smonta, servendosi di differenti tattiche e con modalità ambigue, cause e tesi dal respiro inclusivo, come quelle legate ai temi del femminismo e del razzismo.

Non è raro ultimamente ascoltare frasi ed espressioni ambigue, specie su certi temi specifici, che fanno propria una tesi inizialmente volta a prendere le parti di minoranze e categorie sottorappresentate, per poi partire al contrattacco con posizioni tutt’altro che solidali e concilianti, che mettono in discussione quell’atteggiamento inclusivo e rispettoso delle diversità inizialmente mostrato.

Siamo di fronte a una classica modalità di conversazione, definita concern trolling, che, appunto, si serve di una finta preoccupazione per la causa di cui si sta parlando, ma che sottende in realtà una critica che per nulla giova a quella causa e che tende a colpevolizzare l’interlocutore e a smontarne le argomentazioni con modalità contrastanti e che possono spesso confondere.

Vediamo nello specifico di che si tratta, degli esempi comuni e le tattiche più utilizzate con cui questo atteggiamento subdolo si manifesta per riconoscerlo sul nascere e non lasciarvisi sopraffare o coinvolgere in lunghe e inutili conversazioni.

Cos’è il concern trolling?

Il concern trolling – espressione che può tradursi con i termini di “finta preoccupazione” – è quella pratica messa in atto da una persona che partecipa a un dibattito, spacciandosi per un alleato reale o potenziale delle cause di cui si parla – nella maggior parte dei casi, volte a tutelare e difendere i diritti delle minoranze – ma che di fatto esprime un pensiero critico.

In alcuni casi il concern troll può anche non essere del tutto consapevole del suo atteggiamento, ossia potrebbe avere introiettato delle dinamiche ormai ben radicate, tanto da non accorgersi di mettere in moto pensieri e opinioni che di fatto non vanno ad aiutare in alcun modo la causa che apparentemente tentano di perorare.

In molti altri casi, invece, l’intento del concern troll è ben più malizioso e consapevole e si fa interprete di una generale e diffusa mancanza di apertura e sensibilità ai temi dell’inclusione e del rispetto delle diversità, che purtroppo si manifesta tra le fila della società e a più livelli.

Questo tipo di atteggiamento riguarda infatti diversi ambiti, in genere legati ai temi della diversità e delle minoranze. Non a caso i più emblematici esempi di concern trolling riguardano il femminismo, le questioni di genere, il razzismo e la fat acceptance – giusto per citare i più diffusi.

Il punto di vista adottato dal concern troll è sempre quello della maggioranza, di uno sguardo, cioè, privilegiato che parla di un topic “sensibile” che in genere riguarda una minoranza, di cui non fa parte, ma che crede – non sempre a fin di bene – di difendere e appoggiare, spesso con atteggiamenti che sono proprio all’origine della discriminazione alla base.

Molte delle frasi che iniziano con il famoso “Premetto che” ci regalano quasi sicuramente un esempio di concern trolling da manuale. Sia esso un discorso a tema razzismo, femminismo o riguardante la questione grassofobica. “Io non sono razzista, ma“; “Premetto che non ho niente contro il femminismo, anzi…“; “Un conto è parlare di fisicità robusta, ma qui si tratta di salute”: questi sono tutti degli incipit che con buona probabilità porteranno a dei veri e propri concern trolling sui temi sopracitati.

Proviamo a spiegarlo meglio, attraverso un esempio relativo alla questione grassofobica, prendendo in prestito le parole delle due attiviste Chiara Meloni e Mara Mibelli, tratte dal loro libro Belle di Faccia Belle di faccia: Tecniche per ribellarsi a un mondo grassofobico:

È l’atto di mostrare preoccupazione (raramente genuina) per le persone grasse inserendo continuamente discorsi sulla salute in conversazioni che parlano di libertà, autodeterminazione, rappresentazione e dignità.

In questo caso, la tattica dei concern troll è quella di ricorrere all’argomento della salute per rifiutare un corpo grasso e non riconoscergli legittimità e dignità. Si tratta di un ragionamento che si basa sulla seguente (scorretta) equazione “corpo grasso = corpo malato” e che si nasconde dietro alla falsa retorica della salute per legittimare e perpetuare una mentalità grassofobica. Inoltre, devia il discorso su tematiche che non sono in esame: se si sta parlando del diritto di un corpo grasso a non essere discriminato o ridicolizzato, è poco pertinente parlare di quanto salutare o non salutare sia. Ce lo spiegano nuovamente le due attiviste:

Quello di cui ci interessa parlare, invece, è come la retorica della salute intesa come valore morale e l’equazione corpo grasso = malato vengano utilizzate per giustificare la grassofobia e come qualsiasi discorso sull’accettazione del proprio corpo e della diversità corporea, come ogni rivendicazione di dignità e rappresentazione, vengano sempre deviate da una retorica sulla salute che sembra voler giustificare qualunque discriminazione e abuso considerandoli “a fin di bene”.

Esempi di concern trolling

Abbiamo già citato in precedenza alcune frasi ed espressioni non di rado utilizzate dai concern troll e messe in atto soprattutto in alcuni contesti. Vediamo ora degli esempi più concreti di questo atteggiamento.

  • Il primo esempio riguarda la questione femminista, e, in particolare, le quote rosa in un settore come quello geek, prevalentemente ad appannaggio degli uomini. A pronunciarlo è stato nel 2009 Martin Krafft, che rispondeva regolarmente ai post dei blog femministi geek con dei concern trolling. Il seguente è uno di questi: “Penso che le donne e gli uomini dovrebbero avere le stesse opportunità, e penso che il mondo dell’IT (tra gli altri) abbia ancora un po’ di strada da fare per far sì che ciò accada. Tuttavia il wiki del femminismo geek mi mette piuttosto a disagio, e mi fa sentire come se qualcuno stesse legando una corda al passato e al presente per rendere più difficile andare avanti. Partendo dal presupposto che la maggior parte delle persone vorrebbe andare avanti verso una comunità di pari opportunità, in che modo tenere traccia meticolosa di tutti i problemi del passato e del presente aiuta?”.
    Come potete notare, ci sono alcuni dei classici elementi che ricorrono in questa pratica: la premessa iniziale che suona come un mettere le mani avanti in cui si avalla il pensiero che poi si va ad attaccare (e che corrisponde più o meno nel concetto alla formula “Premetto che”), poi rinforzata ulteriormente dalla frase “partendo dal presupposto che”, dove, di nuovo, si sostiene la tesi della controparte, per poi passare all’attacco.
  • Passando ai temi della fat acceptance e grassofobia, citiamo nuovamente un estratto del libro Belle di faccia, che ci consegna degli esempi molto efficaci:

    “Frasi come “Il body shaming è una cosa orribile, però pensiamo anche alla salute!“, “Io sono assolutamente body positive, ma senza esagerare che non è salutare!“, “Io rispetto tutti i corpi, ma l’obesità è una malattia e basterebbe alzare il culo dal divano e tapparsi la bocca per stare meglio” sono all’ordine del giorno quando si affrontano questi temi, persino negli ambienti più progressisti, perché la concezione del corpo grasso come un problema da risolvere, un fardello per la società, un peso per la salute pubblica è inestricabile dalla persona grassa ed è impossibile per i più evitare di mettere le mani avanti anche quando si parla di lotta alla grassofobia.”

  • Per la questione razzista, citiamo un esempio che riguarda il ruolo e la percezione dello sport del basket nella cultura americana. Secondo alcuni, la crisi degli ascolti delle partite dell’NBA, che si riscontra, come già successo in passato, anche nell’ultimo periodo, sarebbe da imputare alla scelta di molti giocatori – in prevalenza neri – di denunciare la brutalità della polizia in America e di tacere invece sugli abusi dei diritti umani in Cina, Paese partner della società. Questo atteggiamento poco coerente, a detta di alcuni, sarebbe all’origine di un allontanamento dei fan della Lega.
    Qui il concern trolling è più subdolo rispetto ai due esempi precedenti, ma altrettanto potente: in questo caso, cioè, l’idea sottesa è che sarebbe la politica personale di LeBron James e degli altri giocatori neri ad allontanare i fan – politica “colpevole”, tra l’altro, di tentare di fermare il razzismo, mentre non ci si focalizza su un dettaglio centrale: il razzismo di quella parte di spettatori.
    In questo caso, dunque, il concern trolling è un atteggiamento volto a dirottare le colpe nella direzione sbagliata, per distogliere lo sguardo dal razzismo imperante nella cultura americana. Un puntare un dito altrove per sentirsi sollevati da colpe e responsabilità. Ma più banalmente si può pensare alla tendenza italiana a sottovalutare termini e pratiche razziste, come la black face o frasi “Io non sono razzista, ma non penso che ne*ro sia un termine offensivo, si è sempre usato”.

Le “tattiche” dei concern troll

I concern troll possono essere facilmente identificati perché, come accennato, adottano alcuni comportamenti standard che si ripetono. Ecco i principali:

  • Il tone policing. Con questa tattica il concern troll fa un appunto sul tono di voce dell’interlocutore, che contesta perché troppo animato, concentrandosi maggiormente sull’emozione di quest’ultimo piuttosto che sul suo messaggio. È un modo per togliere credibilità alla tesi dell’interlocutore, ridurla a irrazionalità priva di fondatezza, e ha più lo scopo di salvaguardare il privilegio di cui il concern troll gode in quanto parte della maggioranza che di silenziare davvero l’interlocutore, in genere portavoce dei diritti di una minoranza. Eccone un esempio: Calmati, così possiamo parlarne da persone adulte.
  • Un’altra tattica diffusa è ritirarsi dalla discussione piuttosto che continuare a parlare una volta ottenute delle risposte dalla controparte o continuare a porre ripetutamente una certa domanda senza mai assorbire i punti di vista e le argomentazioni ottenute.
  • Ritenere che alcuni argomenti meritino maggiore interesse rispetto ad altri, tattica particolarmente utilizzata nei topic femministi, volta a togliere importanza alle cause, equiparandole ad altre di apparente maggiore gravità. Un esempio: sostenere che le rappresentazioni delle donne nei media non dovrebbero essere criticate mentre la violenza contro le donne continua.
  • Il ricorso all’argomento “più mosche con il miele che con l’aceto”, formula che allude alla possibilità di ottenere più facilmente ciò che si vuole usando un atteggiamento educato piuttosto che modi meno pacati e più insolenti. Questa tattica può considerarsi una variante del tone policing e fa leva nuovamente più sul modo con cui ci si esprime, piuttosto che sul contenuto. L’idea di base è che le argomentazioni se non sono esposte in maniera educata e indulgente non meritano di essere ascoltate, lo stesso, se arricchite da provocazioni offensive o esagerate. Lo scopo è però quello di spostare il focus sull’aspetto della forma, a discapito del contenuto, per delegittimare e togliere credibilità al messaggio di cui si fa portavoce l’interlocutore.
  • Il ricorso all’argomento dell’emotività: siamo di fronte a un’altra variante del tone policing, che chiama in causa un atteggiamento troppo irrazionale ed emotivo, che toglierebbe lucidità alle tesi esposte. Una delle argomentazioni usate dai concern troll in questi casi sono le seguenti: “sei ipersensibile”, “sei priva di senso dell’umorismo”, “stai reagendo in modo eccessivo” o “sei isterica”.
  • Tirare in ballo l’argomento “danneggiare la comunità” per screditare la tesi dell’interlocutore: ossia, sostenere che con quell’atteggiamento si va a “rovinare il lavoro e la reputazione della comunità”. Questa tattica è particolarmente diffusa laddove si sollevino questioni di discriminazioni di genere soprattutto in ambienti che sono maggiormente maschili: un classico esempio è il mondo geek e dei gamer.
    Alle donne viene spesso detto che ci sono modi più produttivi per cambiare la cultura geek, perché criticare e denunciare viene spesso visto come un tentativo di danneggiare il buon lavoro della comunità. Insomma, una sorta di monito a “lavare i panni sporchi in casa”. Queste sono alcune delle motivazioni a cui adducono le persone che usano questa tattica per convincere l’interlocutore della loro idea: perché può scoraggiare altre donne dall’unirsi al lavoro del gruppo; perché ci si sta concentrando solo sulle azioni di una piccola minoranza di partecipanti (un atteggiamento vicino al classico #notallmen); perché si dà in pasto ai media mainstream l’opportunità di criticare la comunità nel suo complesso.
  • Usare l’argomento della “carta vincente” dell’esperienza maschile (anche in questo caso utilizzato perlopiù per tematiche femministe). Il fulcro di questa tattica è che, poiché un ragazzo o un uomo non ha sperimentato ciò che viene sostenuto e portato avanti dall’interlocutore, in genere portavoce di una minoranza sottorappresentata, semplicemente questo non esiste o non esiste nel modo in cui la persona lo ha descritto. Si tratta nuovamente di minimizzare una situazione poiché vista dal punto di vista della maggioranza che non vive sulla sua pelle, né conosce davvero, quella discriminazione di cui è oggetto il gruppo minoritario. Questa situazione si basa sul fatto che siamo ancora in una società in cui l’esperienza del maschio bianco, etero, cisgender viene presa come la norma e considerata la misura oggettiva di tutte le cose.
  • Per il tema della grassofobia, come visto in precedenza, una tattica ricorrente è il ricorso all’argomento della salute.

Concern trolling, femminismo e inclusività

Alla luce di ciò che abbiamo detto, il concern trolling si presenta quindi come una modalità di chi vuole bloccare il proliferare di certi atteggiamenti e modi di pensare virtuosi e inclusivi, che intendono aprire le porte alle minoranze e alle categorie vessate e discriminate, tra cui le donne, le persone grasse, le persone di razze ed etnie diverse, giusto per citare quelle maggiormente bersaglio della pratica.

I concern troll mettono quindi in moto un atteggiamento e modalità anti-inclusive, però nascoste dietro ad argomentazioni e comportamenti subdoli e non del tutto espliciti e di immediata percezione.

Lo abbiamo visto chiaramente con le tematiche e le argomentazioni femministe. È un modo per fingere di appoggiare e sostenere la causa femminista, ridicolizzando, sminuendo o sgonfiando le argomentazioni facendo ricorso alla vulnerabilità e irrazionalità dell’interlocutore, o meglio, dell’interlocutrice e non affrontando mai davvero il fulcro tematico della discussione.

Lo spiegano bene i meme femministi di Nicole Tersigni nel suo libro “Uomini da evitare nella vita e nell’arte”, con cui si ironizza su alcuni emblematici atteggiamenti maschilisti, tra cui il mansplaining e, appunto, il concern trolling.

In genere però, la missione dei concern troll è quella di arginare ogni tipo di cambiamento nell’ottica dell’inclusione, perché ancorati a una cultura conservatrice che tutela i privilegi della maggioranza ed esercita ostruzionismo nei confronti dell’accoglienza del nuovo e del diverso e dell’estensione dei loro diritti.

Come abbiamo accennato in precedenza, il concern trolling è una pratica diffusissima nell’ambito della questione grassofobia. Qui, i concern troll si agganciano più di ogni altra cosa, all’argomento salute, arrivando a sostenere non di rado che promuovendo un certo tipo di fisicità, si va a glorificare o normalizzare l’obesità. Con queste argomentazioni diffuse, però, i concern troll diffondono l’idea (malsana) che il peso di una persona determini il suo valore, andando a rafforzare il falso stereotipo che solo le persone magre siano valide. Si tratta di un modo di pensare che provoca però il proliferare di un rapporto problematico con il corpo e che spinge ulteriormente le persone a disordini alimentari.

Uno studio fatto da JAMA Network su un campione di adulti dai 20 anni in su, mette in luce che “il 51,3% degli adulti in sovrappeso e il 31,7% degli adulti obesi presi in esame erano metabolicamente sani”. Al contrario, il 23,5% degli adulti normopeso partecipanti erano metabolicamente anormali. Lo studio evidenzia quindi che non sempre si può determinare la salute di una persona in base al suo peso. Eppure, questa argomentazione viene sempre più utilizzata, in modo più o meno consapevole.

Non possiamo non parlare poi degli adolescenti, per i quali la questione è ancora più sensibile. Secondo il Polaris Teen Center, “il 50% delle ragazze adolescenti e il 30% dei ragazzi adolescenti usano comportamenti malsani di controllo del peso”. Una piaga sociale che, di certo, l’atteggiamento e la mentalità dei concern troll non aiuta.

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