Sentiamo parlare di razzismo, sessismo e omofobia, ma non sono le uniche discriminazioni rivolte all’essere umano: l’abilismo è purtroppo un altro fenomeno estremamente diffuso che alimenta pregiudizi e tabù.

Abilismo: cos’è?

Nel vocabolario Treccani troviamo la definizione di “abilismo”, dall’inglese “ableism”, che viene descritto come:

l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità.

L’introduzione del termine nella lingua italiana è molto recente e la si deve a Sofia Righetti, atleta paralimpica e attivista per i diritti delle persone con disabilità che abbiamo avuto il piacere di intervistare in passato. Nell’abilismo è radicato il pregiudizio basato sulla convinzione che le abilità tipiche siano superiori e che le persone con disabilità debbano di conseguenza essere “aggiustate” in quanto esseri umani di serie B.

Le forme in cui si manifesta l’abilismo sono svariate, ma tutte hanno in comune l’intrinseca natura discriminatoria.

Come si manifesta l’abilismo nelle abitudini?

Ashley Eisenmenger, PR Coordinator di Access Living, evidenza alcuni comportamenti abilisti tipici che rientrano a tutti gli effetti nella nostra dimensione quotidiana:

  • Utilizzare il bagno riservato alle persone disabili: sembra banale, eppure lo si fa più spesso di quanto si creda. Se non si ha nessun tipo di disabilità perché usufruire di un bagno dedicato alle specifiche necessità di altri?
  • Scegliere un luogo inaccessibile per un incontro o un evento: in questo modo i partecipanti con difficoltà motorie e in carrozzina vengono automaticamente esclusi a priori.
  • Guardare alla disabilità come qualcosa di tragico o ispiratore di storie di cronaca: tv, film e i media in generale delle volte contribuiscono attivamente nella rappresentazione distorta del mondo dei disabili alimentando negli spettatori un sentimento di becero pietismo.
  • Trattare una persona disabile come se fosse un bambino: un altro comportamento piuttosto diffuso è legato alla convinzione che tutte le persone con disabilità debbano essere trattate come se fossero dei bambini, nella convinzione a prescindere che non capiranno quello che si sta dicendo e che sia necessario decidere e parlare per loro conto.
  • Supporre che le persone con disabilità sono tali solo se la disabilità è visibile: un altro luogo comunque è quello secondo il quale la disabilità è solo quella palesata sul piano fisico e psichico, tralasciando tutte quelle sfumature che denotano la complessità dello spettro.

Marina Cuollo, Laureata e dottoressa di ricerca in Scienze biologiche, scrittrice, content creator, speaker radiofonica e promotrice di un’educazione alla disabilità, approfondisce la questione in un’intervista facendo luce anche sull’ambito lavorativo:

Spesso le persone agiscono con leggero paternalismo verso le persone con disabilità. Magari danno per scontato che nella loro professione non siano bravi, che si trovino lì solo perché hanno un’agevolazione. Poi ci sono i casi più eclatanti in cui ti trattano come se fossi un bimbetto. Però in generale questo comportamento tende a sminuire le persone con disabilità, a considerarle più fragili o inferiori, meno capaci e soprattutto poco professionali. Quindi non adatte a ruoli di lavoro dirigenziali o di potere perché considerate ultima ruota del carro. Dunque tutti quei piccoli atteggiamenti che tendono a non considerare la tua voce o darti ragione per compassione.

Come si manifesta l’abilismo nel linguaggio?

Ci è capitato sicuramente di sentire frasi del tipo: “Sei proprio un ritardato!” oppure “Tizio quando si comporta così mi fa diventare bipolare”. Questi sono classici esempi di linguaggio abilista volto a negativizzare le persone con disabilità.

Lydia X.Z. Brown, avvocatessa, attivista per i diritti della disabilità autistica e attualmente presidentessa del Massachusetts Developmental Disabilities Council, sostiene che

Se crediamo che le persone con malattie mentali (e non solo) non dovrebbero essere sul nostro posto di lavoro, nella nostra vita, nella nostra famiglia o nel nostro quartiere, allora è più facile razionalizzare l’uso di parole abiliste.

Quella che diventa un’abitudine più o meno conscia alimenta il pregiudizio nei confronti delle persone con disabilità.

Allilsa Fernandez, attivista per la salute mentale e la disabilità, presidentessa e fondatrice di Peer Mental Health Alliance, evidenzia come l’abilismo inserito nelle conversazioni funga quasi da pretesto per evitare un reale confronto e un’argomentazione approfondita su un determinato argomento. Ad esempio:

Quando si dice che Trump è un tale psicopatico per la sua posizione sull’immigrazione, si finisce per concentrarsi su quelle parole specifiche, senza affrontare il vero problema: ciò che non ti piace della politica sull’immigrazione.

Sei pensieri e atteggiamenti tipici dell’abilismo

Ecco alcuni esempi tipici di atteggiamenti e pensieri abilisti:

1. I disabili sono asessuati

La supposizione errata secondo la quale le persone con disabilità non provino pulsioni sessuali, non abbiano una vita sessuale e tanto meno delle relazioni sentimentali scaturisce dall’idea eteronormativa del sesso e di ciò che è considerato naturale.

Una ricerca ricerca intitolata Attitudes and perceptions towards disability and sexuality ha rilevato come la mancanza di informazioni e di educazione sulla sessualità e sulla disabilità è uno dei principali fattori che contribuiscono allo stigma legato alla combinazione di queste due tematiche.

2. Inspiration porn

Questo termine è stato coniato dall’attivista per i diritti della disabilità Stella Young che durante il suo TED speach approfondisce il tema. Per inspirational porn si intende una visione pietistica della rappresentazione delle persone con disabilità che diventano fonte di ispirazione proprio per la loro disabilità. Questo approccio muove la persona con disabilità a creatura straordinaria anche nel compimento di azione quotidiane e del tutto ordinarie, come studiare o diventare genitori.

L’inspiration porn è un atteggiamento che spesso viene accentuato dai media e sfocia in microaggressioni da manuale, ad esempio: “Complimenti per il coraggio, al posto tuo io non riuscirei ad uscire di casa”.

3. Negare la disabilità

Come hanno rilevato gli studi di Derald Wing Sue, professore di psicologia alla Columbia University, la negazione della disabilità e dell’esperienza di disabilità è un atteggiamento ricorrente. Questa inclinazione è racchiusa in frasi come “Quando ti guardo la carrozzina scompare” che tentano, più o meno consciamente, di andare oltre la disabilità nella convinzione di restituire una presunta “umanità perduta” all’interlocutore.

4. Dare per scontato la mancanza di autonomia

Un tipico atteggiamento abilista e che potrebbe essere in parte equiparato alla sindrome della crocerossina, dove la persona “abile” cerca freneticamente di aiutare la persona con disabilità mossa dalla certezza che da sola non saprà cavarsela. Ovviamente questo atteggiamento si manifesta quando la persona oggetto di tali attenzioni non le ha minimamente richieste.

5. La disabilità predice l’intelligenza

Questo pensiero abilista pretende di prevedere l’intelligenza di una persona a seconda della sua disabilità. L’impatto della disabilità viene gonfiato drammaticamente estendendosi ben oltre il nesso logico tra menomazione e limitazione funzionale ampliandone la gravità.

Questo atteggiamento accentua il luogo comune secondo il quale le disabilità sarebbero ugualmente gravi, senza distinguerne le caratteristiche. Inoltre, sempre su questa linea, si muove il pensiero che alcune tipologie di disabilità debbano estendersi ad altre aree sensoriali come nel caso delle persone sorde, che non sono necessariamente anche mute.

6. Sminuire la disabilità

Le persone che non sono informate e quindi non conoscono le sfaccettature della disabilità sono portate a pensare che in realtà essa non sia poi così grave, della serie: “Dai, tutti abbiamo delle disabilità”. Questa visione particolarmente distorta contribuisce ad alimentare un atteggiamento non inclusivo, accantonando completamente le necessità e le rivendicazioni da parte di queste persone.

Come sconfiggere l’abilismo

A questo punto sorge spontanea una domanda però: come si può fare a sconfiggere l’abilismo? Sofia Righetti in un suo articolo scrive:

Riconoscere che siamo tutti esseri umani, che avere una disabilità non rende migliori o peggiori. Riconoscere che una protesi, un bastone o una carrozzina non rende meno stronzi. Sarebbe troppo facile. Lottare per i diritti, per una società inclusiva, dove nessuno si senta discriminato per il fatto di avere abilità diverse. Esigere la parità di opportunità e di trattamento. Considerare le molteplici abilità come normalità nell’eterogeneità delle sfaccettature umane.

In quest’ottica diventa fondamentale la conoscenza delle disabilità e la voglia di approfondire ciò che non si conosce, solo così si potrà essere realmente in grado di mettersi nei panni di queste persone.

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