Il pregiudizio di sopravvivenza: l'importanza di quelli che non ce l'hanno fatta

Il pregiudizio di sopravvivenza, o survivorship bias, è un errore di valutazione che commettiamo in un processo di analisi e che ci porta a maturare convinzioni ottimistiche determinate da una tendenza a ignorare i fallimenti.

Per favorire il progresso e una società sempre più evoluta ed equa è fondamentale lo studio e l’analisi delle dinamiche della storia passata e presente. Spesso, però, il nostro sguardo e la nostra attenzione si focalizzano maggiormente su alcuni aspetti, tralasciandone invece altri, altrettanto fondamentali ai fini di un’analisi il più fedele e completa possibile, che sia in grado di proiettarci verso conclusioni utili e avvicinarci a quell’idea di progresso – in ogni ambito del vivere civile – a cui da sempre aspiriamo.

Questa attenzione parziale si traduce molto spesso in un errore di valutazione, o bias cognitivo, che ci porta a ignorare in fase di analisi gli aspetti negativi e fallimentari e a focalizzarci solo su dinamiche positive e vincenti. Questa tendenza ad escludere dall’oggetto di ricerca quelli che non ce l’hanno fatta risponde al nome di pregiudizio di sopravvivenza, e nasce molto tempo fa da un’intuizione di un matematico ungherese nello scenario della Seconda Guerra Mondiale.

Pregiudizio di sopravvivenza: cos’è?

Il survivorship bias o pregiudizio di sopravvivenza è un errore logico che si commette quando in un processo di analisi – inerente a diversi ambiti o temi – si prendono in considerazione solo alcuni elementi (persone o cose) che hanno superato un determinato processo di selezione, trascurando i restanti. Significa cioè, considerare solo le casistiche vincenti che sono resistite nel tempo, dimenticando quelle negative e fallimentari e portando così ad analisi e conclusioni imparziali, viziate e non veritiere.

Come accennato in apertura, la sua teorizzazione è opera di un matematico e statistico ungherese, Abraham Wald, che individuò questo bias cognitivo in ambito militare, durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre studiava con il suo gruppo di ricerca un modo per perfezionare le strategie e le attrezzature dell’esercito, portando così alla nascita di quello che sarebbe poi stato chiamato pregiudizio di sopravvivenza.

Lo Statistical Research Group (SRG), il gruppo della Columbia University di cui Wald faceva parte, stava studiando come ridurre le perdite degli aerei in guerra sotto il fuoco nemico e in quali punti questi necessitassero di essere rinforzati. Dalle analisi condotte sui danni ricevuti dai loro aerei di ritorno dal conflitto, notarono che la maggior parte di questi riportavano fori di proiettili sulle ali e sulla coda e che il motore veniva risparmiato. Ne dedussero quindi che queste fossero le due parti più vulnerabili e pertanto quelle da rinforzare. Wald giunse a conclusioni diverse: era necessario corazzare il motore.

Wald nella sua analisi, considerò che i bombardieri superstiti sottoposti allo studio, che avevano riportato danni su ali e coda, erano stati in grado di rientrare alla base proprio perché erano stati colpiti in due aree non fondamentali. Dedusse cioè che c’erano molti altri aerei che non avevano fatto ritorno alla base perché colpiti in altre aree – queste invece fondamentali – che avevano causato la perdita totale del mezzo. Una di queste aree era il motore. Da qui la scelta di potenziare il motore, una parte meno vulnerabile ma fondamentale, per poter garantire il rientro alla base dei velivoli, che potevano “permettersi” di essere colpiti su ali e coda – delle parti più vulnerabili ma meno fondamentali.

Ecco cos’era successo nel processo di analisi: i ricercatori tenevano conto solo dei bombardieri rientrati dalle missioni, quelli cioè sopravvissuti, e non di quelli che erano andati persi e distrutti completamente, e quindi indisponibili per valutazioni fisiche, cioè i non-sopravvissuti. Erano cioè caduti nel pregiudizio di sopravvivenza.

L’intuizione di Wald è stata fondamentale per l’allora nascente branca della matematica applicata, nota come ricerca operativa o teoria delle decisioni, quella disciplina, cioè, che studia il processo di analisi, per arrivare a individuare, attraverso metodi e modelli matematico-statistici, le soluzioni migliori tra le varie alternative possibili.

Il survivorship bias, teorizzato nell’ambito della ricerca in campo militare, può però verificarsi in qualsiasi altro settore, come la ricerca clinica, la finanza, le questioni di genere ma può influenzare anche atteggiamenti e considerazioni ben più comuni, come la scelta di ammirare determinate persone o celebrità, proprio per via di questo bias cognitivo, o errore di valutazione, che ci porta a maturare convinzioni eccessivamente ottimistiche determinate da una tendenza a ignorare i fallimenti.

In che ambiti si applica il survivorship bias?

Come abbiamo detto, sono molti gli ambiti in cui viene applicato inconsapevolmente il pregiudizio di sopravvivenza. Questo può succedere sia in analisi dal più ampio respiro, che riguardano decisioni e sistemi organizzativi più complessi, in grado di incidere a livello universale e in settori di primo piano, come la ricerca clinica o i mercati finanziari, sia in considerazioni meno rilevanti, di carattere più personale. Ecco ora alcuni campi in cui viene applicato il survivorship bias.

Linguaggi architettonici e sistemi di costruzione

In questo ambito, il survivorship bias è considerare in modo generalista l’architettura dei tempi passati migliore di quella attuale, basandosi appunto sul pregiudizio di sopravvivenza che ci porta ad analizzare le sole strutture giunte fino ai giorni nostri, e a non prendere in considerazione i tanti edifici che non hanno superato questa selezione, perché ritenuti non funzionali, esteticamente meno gradevoli, andati distrutti o eliminati volontariamente.

I primi, dunque, sono solo i superstiti di un insieme ben più ampio che contiene anche un’infinità di elementi oggi invisibili, perché non sopravvissuti.

Dire che l’architettura di un’epoca passata è migliore strutturalmente o esteticamente rispetto a quella attuale è sbagliato e imparziale: dovremmo piuttosto dire che ciò che vediamo oggi è solo l’eccellenza  architettonica di quell’epoca, non dimenticandoci dei moltissimi elementi che non abbiamo la possibilità di considerare per fare un’analisi più precisa e puntuale.

Ricerca clinica

Nel 2010 a Boston, un team di ricercatori della Harvard Medical School e il Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) analizzava una serie di pazienti sopravvissuti a un trauma e metteva a punto soluzioni per evitare che questo provocasse nei giorni a seguire coagulopatia – ossia una coagulazione anormale del sangue – un fenomeno frequente in questi casi che impedisce di arginare qualsiasi emorragia, aumentando la possibilità di morte.

Il team di ricercatori ha così cercato di capire se somministrare in aggiunta nei soggetti alcune proteine naturali, già presenti nel nostro sangue e in grado di favorire la coagulazione, potesse migliorarne la sopravvivenza. Lo studio aveva però incluso solo i pazienti che erano sopravvissuti al loro incidente iniziale e avevano avuto il tempo di ricevere almeno 4 sacche di sangue nel dipartimento di emergenza prima di andare in terapia intensiva. Erano stati esclusi nell’analisi i pazienti che erano morti prima di raggiungere l’ospedale o nel dipartimento di emergenza. Lo studio, quindi, era inutile, perché considerava solo quella parte di pazienti che già ce l’avevano fatta.

Anche in questo caso, dunque, il survivorship bias ha invalidato le analisi e impedito di raggiungere conclusioni utili ai fini della ricerca. Questo tipo di pregiudizio, purtroppo, in ambito medico è ben più diffuso di quel che si pensi. Ad esempio, sebbene il 90% dei decessi per trauma avviene nei paesi meno sviluppati, le ricerche continuano ad essere fatte perlopiù nelle Major Trauma Unit dei Paesi occidentali.

Finanza

Spesso le analisi delle prestazioni finanziarie escludono società e fondi di investimento che non esistono più e si focalizzano solo su quelli attualmente esistenti o che sono sopravvissuti a condizioni economiche avverse. Ma per avere un quadro puntuale e preciso della situazione, si dovrebbero considerare anche i fondi di investimento e le società costrette a chiudere.

Facendo un esempio un po’ più pratico e semplice, potremmo tradurre il concetto in questo modo: scegliere di aprire un’attività in una città – come un bar, un ristorante o una libreria – perché in quel luogo quel tipo di attività funziona e resiste. Questo è nuovamente un pregiudizio di sopravvivenza: non si prendono i considerazione nel processo di analisi i tanti ristoranti, bar o librerie che possono essere falliti, e che sono quindi non visibili.

Questioni di genere

Uno studio del 2017, condotto dalla California Polytechnic State University e della North Carolina State University, che ha analizzato i codici di sviluppo di software open source – quei codici cioè progettati per essere accessibili, letti e modificati pubblicamente e che di norma vengono sottoposti alla revisione senza rendere noto il genere dell’autore – ha messo in luce che venivano maggiormente accettati i codici programmati da donne: la percentuale era del 78,6% contro il 74,6% dei programmatori uomini. Da questa analisi, si dedusse che le donne erano in percentuale più brave degli uomini a programmare. Ma, ancora una volta, siamo di fronte a un survivorship bias.

I dati sono infatti parziali e le analisi non esaustive e complete. Un sondaggio del 2013 mostra che soltanto l’11% dei programmatori di software open source negli Stati Uniti è donna. Nello studio del 2017, quindi, non si tiene conto del fatto che quelle erano solo una parte della platea femminile, erano solo le donne superstiti; manca tutta una parte di dati, ossia le donne che hanno affrontato difficoltà in una comunità in larga parte composta da uomini e che hanno abbandonato l’impresa.

Non si tiene conto, ad esempio, del fatto che laddove venga reso noto il genere del programmatore, i supervisionatori tendevano ad accettare con maggiore probabilità i codici creati da programmatori uomini, né si considera il confidence gap, ampiamente in atto nei settori considerati prettamente maschili – come succede di norma dei percorsi scolastici o nelle professioni STEM – e che porta le donne a sottostimarti e in questo caso specifico a non voler sottoporre il proprio lavoro al controllo pubblico sulle piattaforme di sviluppo di software open source.

Modelli di riferimento e personaggi celebri

Esercitiamo un pregiudizio di sopravvivenza anche quando portiamo ad esempio da imitare e idolatrare qualche esponente di quel gruppo esiguo di personaggi celebri, sportivi, imprenditori miliardari che ce l’hanno fatta, non considerando invece le migliaia di persone che hanno seguito lo stesso percorso e che hanno fallito.

Persone come Mark Zuckerberg o altri nomi con un patrimonio da capogiro e una carriera degna di nota, diventano case history di successo e vengono spesso citati come esempi da cui lasciarsi ispirare per seguirne orme e scelte. Ma appunto, si tratta di un gruppo ridotto di sopravvissuti, divenuti in questo caso vincenti, a fronte di un insieme ben più ampio di persone che non ce l’hanno fatta.

Le conseguenze del pregiudizio di sopravvivenza

Sono molte le implicazioni di un atteggiamento che ci porta a trascurare nel processo analitico gli aspetti negativi e a focalizzarci solo sulle prospettive vincenti e ottimistiche. Questo approccio parziale e limitato di fatto si limita ad analizzare solo la punta dell’iceberg del processo evolutivo, ossia solo le manifestazioni, gli aspetti e gli elementi che hanno superato le avversità, gli ostacoli e le imperfezioni che potevano trovare sul percorso, tralasciando tutto ciò che, proprio in mancanza di queste doti e caratteristiche positive, è stato lasciato cadere sul fondo dell’oceano, metaforicamente parlando.

Il vizio formale di prestare attenzione solo ad alcuni elementi ci porta a prendere decisioni sbagliate, a non andare nella giusta direzione, a non compiere progressi in ogni ambito, sia nell’ambito di scelte e percorsi personali, sia in quelli ben più rilevanti che riguardano questioni di carattere universale, come ad esempio il campo della ricerca clinica, il settore economico e finanziario o le questioni di genere.

Si pensi all’impatto che il pregiudizio di sopravvivenza ha nelle questioni di genere: non considerare che oltre al banco di analisi della realtà che ci troviamo ad analizzare, ci siano dei fattori fondamentali che determinano quella realtà, di fatto da questi falsata per via di una disparità di genere che sta a monte, ci porterebbe ad avere una percezione distorta della società reale, a sottovalutare la condizione maggiormente penalizzata delle donne e a non provvedere ad accorciare quel gap che condiziona ogni ambito del nostro sistema socio-economico e culturale.

Oltre a questo aspetto centrale, specie negli ambiti legati all’immaginario comune e al mondo dello spettacolo e dei media, il survivorship bias porta a sdoganare in maniera ossessiva la cultura del vincente, a non concepire il fallimento, inteso come occasione per crescere e migliorare, maturando un nuovo modo di interpretare e vivere le cose. Ma questo, in fondo, significa  raccontare solo una parte della storia, e tralasciare ciò che, più di quella parte vincente, può indicarci dove si trovi la giusta via per arrivare al vero progresso.

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