Cosa è la blackface e perché è offensiva e razzista

Il termine blackface deriva dalla lingua inglese e significa, letteralmente, "faccia nera". Il suo utilizzo si declina in diversi ambiti, dall'intrattenimento al teatro, dal cinema alla televisione, e consiste nel dipingersi il volto al fine di imitare, in modo spesso caricaturale e offensivo, persone nere. Vediamo insieme di che cosa si tratta.

Quante volte ci è capitato, nel corso della vita, di vedere volti dipinti di nero a raffigurare una persona di colore o afrodiscendente? E quante volte abbiamo visto delle persone ridere di fronte a questi volti, senza rendersi conto del portato fortemente derogatorio e ricco di pregiudizi che questo gesto recava con sé?

La “blackface” è una pratica ormai nota in tutto il mondo, ma non tutti sembrano conoscerne significato e conseguenze. Vediamo, allora, di che cosa si tratta, e quali ne sono origine ed emblemi.

Che cosa significa blackface?

Il termine blackface deriva dalla lingua inglese e significa, letteralmente, “faccia nera”. Il suo utilizzo si declina in diversi ambiti, dall’intrattenimento al teatro, dal cinema alla televisione, e consiste nel dipingersi il volto al fine di imitare, in modo spesso caricaturale e offensivo, persone nere.

Gli esempi, infatti – come vedremo più avanti -, sono molteplici e apparentemente innocui (per chi li attua), sebbene siano correlati a chiari riferimenti al colonialismo e allo schiavismo, e perpetuino, quindi, fenomeni di razzismo e di discriminazione basata sull’etnia.

La sua fruizione, fortemente radicata in passato, continua, purtroppo, a mostrare la sua eredità anche nel mondo contemporaneo, influenzando negativamente la nostra cultura e diffondendo ancora stereotipi obsoleti, dannosi e irrispettosi nei confronti degli individui coinvolti.

L’origine della blackface

Ma da dove ha avuto origine la blackface? Naturalmente, negli Stati Uniti. Più precisamente, negli Stati Uniti della prima metà dell’Ottocento, grazie alla diffusione dei cosiddetti Minstrel Show: gli spettacoli dei “menestrelli” nel corso dei quali attori bianchi – e solo saltuariamente neri – dipingevano il proprio volto (con carbone, sughero bruciato o altri materiali scuri) e imitavano schiavi africani liberati, tratteggiati mediante una serie di luoghi comuni e rappresentati al pari di animali da zoo, raffigurati con labbra rosse e rimarcate e lineamenti somatici grotteschi.

Come si legge su Il Post, infatti:

Queste rappresentazioni caricaturali, che ridicolizzavano gli schiavi e li identificavano con pochi tratti, spesso esagerati o inventati, ebbero un’influenza notevole sul modo in cui vennero considerati gli afroamericani nei decenni successivi. Furono gli spettacoli in “blackface” che costruirono il mito dell’africano pigro, superstizioso, pavido e buffone, che durò molto a lungo nella cultura popolare americana e che fu riproposto, per esempio, da molti cartoni animati della prima metà del Novecento. La cosiddetta “iconografia darky”, quella che dipingeva gli africani con la pelle nerissima, le labbra rosse e i denti e le mani bianche, ebbe, inoltre, molto successo anche nei giocattoli per bambini per diversi decenni.

Il primo artista a rendere nota la blackface fu, nello specifico, Thomas D. Rice, considerato il “padre dei minstrel show”, il quale divenne celebre con il personaggio di Jim Crow, uno schiavo afroamericano scaltro e claudicante di cui l’attore ha raccontato le peripezie nella canzone omonima – ispirata ai canti e alle danze africane, reinterpretate, però, in termini umilianti ed razzisti.

I casi ed esempi di blackface più controversi

Come accennato in precedenza, gli emblemi di blackface sono tristemente innumerevoli e ancora largamente diffusi. Si pensi, per esempio, al conduttore Jimmy Fallon, che in un episodio del Saturday Night Live del 2000 ha imitato l’attore Chris Rock in blackface, per poi scusarsi pubblicamente per la performance offensiva quando la clip è riemersa nel 2020.

O ancora, per quanto concerne l’Italia, tutte le imitazioni (o caricature?) di cantanti neri proposte da Tale e Quale Show, o Aldo, del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, interprete di un immigrato afrodiscendente nel film Il ricco, il povero e il maggiordomo, oppure, in tempi più lontani, il celebre Totò, mascherato da ambasciatore del Paese (inesistente) del Catonga in Totòtruffa (dove, oltre a comparire con il volto dipinto di nero, l’attore imita anche la dizione delle persone nere considerata “usuale”, ossia la sostituzione della “p” e della “t” con molteplici “b” e “d”).

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Perché è offensiva e razzista?

I motivi per cui la blackface è razzista e offensiva sono, dunque, numerosi, e riguardano motivazioni sociali, culturali e storici. Tra le più importanti, si annoverano:

  • stereotipi degradanti: la blackface si ricollega, pur quando apparentemente innocua, alla sua origine, ossia gli spettacoli di Minstrel del XIX secolo, in cui attori bianchi dipingevano il proprio viso di nero per rappresentare caricature offensive e stereotipate degli afroamericani, raffigurandoli come pigri, ignoranti, superstiziosi e felici della loro condizione di schiavitù, rafforzando, così, gli stereotipi negativi e acuendo la discriminazione razziale;
  • disumanizzazione e derisione: la blackface ridicolizza le persone nere, trasformando le loro caratteristiche fisiche e culturali in oggetti di scherno, e ignorando, quindi, la complessità e l’umanità delle persone vittime di derisione, ridotte, così, a mere caricature;
  • appropriazione culturale: l’uso della blackface rappresenta una forma di appropriazione culturale, causata dal fatto che persone non nere adottano aspetti della cultura nera senza dimostrare rispetto o comprensione del loro significato, sfruttando la cultura e l’identità di un gruppo storicamente oppresso e sfruttato;
  • trauma e sofferenza: proprio per il motivo sopracitato, la blackface richiama dolorose memorie relative alla schiavitù, alla segregazione razziale e alle continue ingiustizie subite dalle persone nere, motivo per cui la sua presenza nei media può riaprire ferite e traumi storici.

Blackface e appropriazione culturale

Come detto, la fruizione della blackface è un chiaro esempio di appropriazione culturale, la quale si verifica nel momento in cui un gruppo dominante prende “in prestito” alcuni elementi culturali da un gruppo minoritario e oppresso senza chiedere il permesso e senza mostrare comprensione o rispetto nei confronti delle pratiche, dei simboli o degli atteggiamenti scelti selettivamente.

Nel caso della blackface, dipingersi il volto e imitare, in maniera spesso caricaturale, le persone nere appiattisce la diversità e l’umanità di queste ultime, di cui viene presentata, al contrario, una versione riduttiva, semplicistica e derogatoria.

Utilizzare, per mero scopo di intrattenimento o satira, elementi fisici, storici e simbolici di una cultura oppressa da parte di persone che, di essa, non fanno parte, continua, infatti, a perpetuare le discriminazioni etniche e a rafforzare la forbice tra gli individui dotati di privilegio e quelli che, al contrario, sono ancora vittime di stereotipi e pregiudizi.

Il risultato è una reiterazione della marginalizzazione e dell’esclusione delle persone nere, alle quali non è concesso di godere di una rappresentazione autentica, rispettosa e a tutto tondo. E che sono costrette, in tal modo, a subire ancora discriminazione e razzismo.

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