Cosa si intende per razzializzazione: gli esempi nella storia e le conseguenze

La razzializzazione è un processo mediante il quale un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali e disumanizzanti ad altri individui - a loro volta dominati - sulla base di determinati "marcatori identitari", corroborando specifici rapporti di potere. Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

Esterno giorno. Una signora – bionda, occhi azzurri, bianca – attende l’autobus seduta sulla panchina della sua fermata. Mentre aspetta, vede avvicinarsi un ragazzo afrodiscendente.

La signora si guarda intorno: è mezzogiorno ma le persone sono poche, forse perché appena salite sul pullman che è passato pochi minuti prima. Il suo primo istinto è quello di stringersi la borsa al petto: movimenti impercettibili, che non offrono spazio al ragionamento, ma che le risultano istintivi, quasi intrinseci.

Il ragazzo, però, se ne accorge, e decide di far finta di niente. Arriva l’autobus: salgono entrambi, lui lontano da lei, seduti ai capi opposti del mezzo. La signora continua – pur senza rendersene razionalmente conto – a stringere la propria borsa con un’intensità diversa rispetto a quanto farebbe altrimenti. Arrivata alla sua destinazione, passa davanti al ragazzo, lo guarda distrattamente, e scende. Non lo rivedrà mai più, ma a lui, il suo gesto, non è passato indifferente.

La scena sopra descritta è, infatti, uno dei molteplici episodi che costellano le nostre vite quotidiane, e di cui possiamo fare sperimentazione, purtroppo, in qualsiasi contesto nel quale ci muoviamo all’interno della nostra società. Si tratta, appunto, di atteggiamenti di razzializzazione, un termine poco noto in Italia ma particolarmente diffuso.

Vediamo di che cosa si tratta.

Che cosa significa razzializzazione?

Il termine sorge nel corso degli anni Settanta del secolo scorso nel contesto delle università britanniche e, nello specifico, nella cornice della “sociologia delle relazioni razziali” che si stava via via sviluppando in quel periodo.

Il suo fautore principale fu lo studioso inglese Robert Miles, il cui obiettivo – come spiega il Ricercatore aggregato presso il Centro interdisciplinare “Scienze per la pace” dell’Università di Pisa Federico Oliveri – era quello di studiare il razzismo e le sue numerose trasformazioni nel corso delle diverse fasi del capitalismo, non assumendo, come dato di fatto, l’esistenza di gruppi etnico-razziali, bensì indagando la creazione di identità razziali nell’ambito del lavoro non libero e del lavoro migrante. Il concetto venne, in seguito, utilizzato negli studi anglosassoni sulla “razza“, pur ricevendo diverse critiche.

Di qui, la definizione di razzializzazione ideata da Miles, e riproposta da Angelica Pesarini, docente della New York University di Firenze:

La razzializzazione è un processo dialettico in base al quale è attribuito un significato a una particolare caratteristica biologica degli esseri umani. In seguito a questo processo, gli individui possono essere assegnati a una categoria generale di persone che si riproduce biologicamente. Il processo di razzializzazione degli esseri umani comporta la razzializzazione dei processi a cui partecipano e delle strutture e istituzioni che ne risultano.

Sebbene la definizione possa apparire, a prima vista, complessa, in realtà essa, come precisa Pesarini, può essere facilmente sintetizzata nel modo seguente:

La razzializzazione è il processo attraverso cui un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali, disumanizzanti e inferiorizzanti a un gruppo dominato, attraverso forme di violenza diretta e/o istituzionale che producono una condizione di sfruttamento ed esclusione materiale e simbolica. La parola razzializzata/o ci consente di vedere come la razza, che non esiste biologicamente, serva a mantenere rapporti di potere.

Esempi di razzializzazione nella storia

Sulla base della definizione di Miles, dunque, ne consegue che i processi di razzializzazione, operando mediante i meccanismi di gerarchizzazione, classificazione, punizione e discriminazione, creino delle “identità” e delle “difformità” tra gruppi – come precisa Oliveri – e diano luogo a delle differenziazioni unilaterali e arbitrarie.

Per farlo, la razzializzazione fa ricorso a determinati “marcatori identitari“, quali, per esempio, il colore della pelle, i tratti somatici, la provenienza geografica, le tradizioni culturali, la lingua, la religione, la classe, il corpo, il genere, ma anche gli stili di vita, l’orientamento sessuale, l’abbigliamento e lo status migratorio.

Una serie di parametri, dunque, che fungono da stereotipi e corroborano la generalizzazione propria di tali meccanismi, escludendo la dignità e la libertà di espressione dei soggetti coinvolti in questo processo di de-individualizzazione operato dal gruppo dominante.

Un esempio, riportato sempre da Federico Oliveri, è quello della “One Drop Rule” (“Regola dell’ultima goccia”), in vigore in alcuni Stati del Sud post-schiavista degli Stati Uniti e in base alla quale bastasse anche solo una goccia di “sangue nero” – identificando con essa, quindi, la presenza di un antenato discendente dagli schiavi – per essere identificati come black.

Ma l’emblema forse più evidente della razzializzazione fu il nazismo di Hitler, basato sulla convinzione che specifici marcatori identitari potessero avere “maggior valore” rispetto ad altri, coinvolgendo, così, in tale stigmatizzazione tutte le persone che presentavano i marcatori considerati privi di rispetto, riconoscenza e, appunto, valore.

Il risultato fu la creazione di una gerarchia in cui si credeva che determinati individui avessero una presunta dignità e superiorità derivanti da una sorta di “fondamento naturale“, mentre agli altri era riservato solo pregiudizio, disvalore e ghettizzazione.

Le conseguenze della razzializzazione

Come si evince da quanto esposto, le conseguenze della razzializzazione possono, perciò, essere diverse e molteplici. La più importante, grave ed evidente, tuttavia, è la delegittimazione cui va incontro il soggetto vittima del processo: è come se l’individuo razzializzato perdesse il diritto di far parte della comunità in cui si ritrova immerso, e dalla quale è allontanato ed escluso.

In questo modo, la vittima interiorizza la subordinazione e la disistima e contribuisce ad alimentare la posizione marginale che la società le riserva, iniziando a credere nell’indifferenza e nello scarso valore di sé attribuitole dagli altri e sviluppando, a livello psicologico, depressione, mancanza di autostima, auto-esclusione, ansia e altri sintomi similari.

Il soggetto razzializzato, quindi, crede di meritare la discriminazione che riceve, e si isola ulteriormente, confermando a se stesso l’inferiorità e la marginalizzazione che il resto della popolazione gli addita. Ne derivano, così, episodi di violenza fisica e psicologica – sia nei confronti delle persone razzializzate, sia verso coloro che dimostrano a esse solidarietà – e la dilagante mancanza di empatia che, ogni giorno, a molti fa restare indifferenti nei riguardi di ciò che succede nella società – dai caduti di guerra in zone lontane dall’Europa ai naufragi nel Mediterraneo.

Come superarla e combatterla

Ma come fare, allora, per evitare che la razzializzazione venga ancora attuata? Come sempre in questi casi, sarebbe necessario un lavoro di “ristrutturazione” della società, che vada a scuotere le fondamenta razziste su cui ancora si basa e possa capovolgere le gerarchie sociali in cui siamo incastrati.

Un processo lungo, graduale e pervasivo, che, tuttavia, si può avviare facendo anche solo dei piccoli passi, quali, per esempio, far notare a un’ipotetica signora dell’esempio posto in apertura che non c’è ragione di stringere la borsa al petto, e che il suo comportamento è frutto di un retaggio culturale infondato, irrispettoso e desueto.

O, ancora, se si assiste a un episodio di razzializzazione e di conseguente esclusione di un membro della società, si può intervenire facendo notare al gruppo fautore dell’atto i propri limiti e sbagli, offrendo, al contempo, supporto al “dominato”. Non è semplice, ma, un passo dopo l’altro, cambiare è possibile.

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