L’ultima, in ordine di tempo, è la polemica che si è creata intorno al live action Disney de La Sirenetta che uscirà nel maggio 2023. Le prime invettive sono giunte in seguito al rilascio del teaser trailer, nel quale ricorrono tutti gli elementi caratteristici della favola disneyana. Eccetto uno.

A interpretare Ariel, infatti, non vi è una donna bianca con i capelli rossi e gli occhi azzurri – come da “tradizione” –, bensì Halle Bailey, attrice 22enne afroamericana. Una scelta che ha visto il pubblico dividersi in due fazioni: da un lato, gli entusiasti, felici di vedere finalmente rappresentata anche l’“altra parte” della popolazione, in una pellicola degna di essere definita inclusiva e politicamente corretta; dall’altro, i detrattori, nostalgici della versione originale e assolutamente contrari a qualsiasi forma di modernismo.

Alcuni sono addirittura giunti a parlare di blackwashing. Ma che cos’è quest’ultimo? Scopriamone i dettagli.

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Che cosa significa blackwashing?

Il termine “blackwashing” è stato coniato nell’ambito dell’industria cinematografica per designare la pratica che sullo schermo assegna ruoli, appartenenti originariamente a etnie occidentali, ad attori afrodiscendenti.

Il concetto vede il suo opposto – e nasce proprio dalla contrapposizione con quest’ultimo – nel “whitewashing”, espressione con cui ci si riferisce, al contrario, allo stratagemma utilizzato nei primi decenni di vita della settima arte per compiacere il pubblico occidentale, in base al quale personaggi di specifiche etnie venivano interpretati da attori bianchi (appositamente truccati e, spesso, caricaturizzati).

Negli ultimi anni, dunque, si è assistito a un processo di inclusione sempre maggiore di protagonisti di colore, nato per educare il pubblico alla diversity e contribuire alla lotta contro le disuguaglianze e il razzismo sistemico che ancora soffoca la nostra società.

Blackwashing e cancel culture

Alcuni, tuttavia, non sono totalmente d’accordo, e hanno manifestato il timore che la scelta di ricorrere a protagonisti di colore (soprattutto quando, come nel caso della Sirenetta, si tratta di remake) sia talvolta “esasperata” e quasi forzata, in quanto compiuta solo per adeguarsi alle regole del politically correct e dell’inclusione della diversità.

Un discorso che si lega strettamente a quello della cancel culture, forma di boicottaggio che tende a “cancellare”, appunto, tutto ciò che concerne una determinata persona, azienda o serie di individui (soprattutto famosi) colpevoli di aver manifestato opinioni opinabili e/o distanti dal pensiero progressista – non solo nel presente, ma anche in un remoto passato.

Applicata perlopiù online, la cultura della cancellazione riguarda, in particolare, questioni relative a razzismo, omofobia e sessismo, e si prefigge di difendere e porre in risalto i diritti delle minoranze, promuovendo uguaglianza e parità di genere.

Il blackwashing nel cinema e nella tv

Ma come riconoscere ciò che è blackwashing – e fa, quindi, l’occhiolino al progressismo, senza, però, credere davvero nei valori dell’inclusione e della diversità, come accade spesso – da ciò che tale non è?

Naturalmente, non è semplice sondare le profonde e genuine intenzioni di produttori, registi e sceneggiatori, ma per farsi un’idea di ciò che offre il mercato audiovisivo – con correlati rischi di blackwashing e affini – è sufficiente dare uno sguardo alle principali piattaforme streaming.

Un esempio recente: la serie Netflix Troy. Fall Of A City, dove Achille, Patroclo e Zeus sono interpretati da attori di colore, in evidente contrasto con quanto tramandato dalla tradizione omerica. O, ancora, la valchiria nera Tessa Thompson, presente nel film Thor: Ragnarok, e la Regina Charlotte della serie targata Shonda Rhimes Bridgerton.

Come commenta su Il Foglio Pier Giuseppe Fenzi, esperto di cultura pop:

Trovo più che altro ridicolo che si annuncino con squilli di trombe cambiamenti di questo tipo. Si arriva al paradosso di deità norrene di colore, con una valchiria nera e alta un metro e sessanta, andando contro non solo all’iconografia fumettistica, ma anche a quella classica. Sono forzature evidenti, delle quali non c’è bisogno: non ci sono eroi di colore a sufficienza? Creiamone di nuovi, non trasformiamo quelli già profondamente consolidati nell’immaginario collettivo.

Blackwashing e whitewashing

Ed è proprio questa una delle posizioni più accreditate: è davvero necessario scardinare l’immaginario collettivo basato su narrazioni cristallizzate nel tempo e appartenenti a tradizioni letterarie (si pensi ai Fratelli Grimm, Hans Christian Andersen, Charles Perrault e simili) o si rischia di “eccedere” nel politicamente corretto, affidando ad attori di colore ruoli che, in origine, tali non erano?

Forse, come si legge sul sito dell’Università di Padova,

sarebbe necessario, invece che scritturare attori di colore per ruoli originariamente bianchi e viceversa, arricchire il panorama cinematografico con storie che parlino delle altre culture o con protagonisti di altre etnie che facciano parte del nostro quotidiano, senza sfociare nella rappresentazione stereotipata a cui abbiamo comunque assistito negli ultimi anni, che relega gli attori di colore a ruoli da macchietta, spesso a supporto di protagonisti occidentali, che falsano la realtà.

Mutare i ruoli originari è davvero uno strumento di inclusione, o rischia, al contrario, di recare con sé nuovi sentimenti razzisti proprio come il whitewashing? Come accennato, quest’ultimo era solito escludere gli attori di colore (che, a quel tempo, di certo non erano ancora accolti sui set cinematografici), facendone interpretare i personaggi ad attori bianchi e dando luogo a risultati caricaturali mediante il blackface, ossia con trucco e parrucche apposite e il volto dipinto di nero (con un’ampia area di pelle bianca intorno alle labbra), atto a simulare le fattezze africane.

In seguito, e grazie, ai movimenti per i diritti civili, gli attori di colore iniziarono a essere inseriti nell’industria cinematografica, e anche la coscienza del pubblico iniziò a mutare. Tuttavia, è solo negli ultimi tempi che i ruoli da protagonista assegnati agli attori neri iniziano a emergere.

È, dunque, fondamentale acuire questo aspetto, consentendo a tutte le componenti della popolazione di riconoscersi e rispecchiarsi con i protagonisti presenti nelle pellicole, lavorando alacremente affinché tutte le raffigurazioni abbiano modo di vivere serenamente sullo schermo.

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