Tiziana Cantone, la donna cui abbiamo negato l'umanità

Mentre il dubbio sulla reale morte di Tiziana Cantone, forse strangolata e non suicidata, fa riaprire il suo caso, noi tuttə dovremmo riflettere sul grande torto che le abbiamo fatto quando era in vita.

Pochissimi giorni fa la procura di Napoli Nord ha annunciato ufficialmente di aver riaperto il caso relativo alla morte di Tiziana Cantone, la donna di 31 anni che nel 2016 sembrava si fosse suicidata in seguito alla diffusione virale di alcuni video intimi di cui era protagonista; mai aveva dato il consenso alla loro pubblicazione online.

Come riporta anche la Stampa, c’è un fascicolo contro ignoti e l’accusa di omicidio volontario: perché secondo la perizia privata voluta dalla famiglia, svolta dal professor Mariano Cingolani (già coinvolto nel caso di Meredith Kercher) sul collo di Tiziana sono presenti due solchi incompatibili con le lesioni responsabili di un ipotetico suicidio. Tiziana potrebbe essere stata strangolata. E questo fa bruciare di nuovo tutto, fa sanguinare ancora la ferita (mai chiusa) di cinque anni fa, quando abbiamo letto, incredulə, la sua storia sui giornali.

Appare diverso, oggi, il calvario di Tiziana Cantone dal momento in cui si è presentata, fiduciosa, nella stessa procura di Napoli per denunciare la diffusione online di alcuni video che aveva girato durante un periodo in cui non si riconosceva più, video poi inviati a persone con cui aveva relazioni di tipo sessuale/romantico.

Perché nonostante vennero indagati cinque uomini, compreso l’allora fidanzato della survivor, il caso fu archiviato quasi istantaneamente. La immaginiamo ancora, speranzosa e testarda, mentre fa quindi richiesta al giudice civile di Aversa di ordinare la rimozione di quei video da diversi siti web, ottenendo soltanto l’oscuramento dai motori di ricerca e dai social del suo nome. Perché li avevano già visti centinaia di migliaia di persone, sicuramente esistevano delle copie e non sarebbe stato quindi utile a questo punto, secondo il tribunale. Fu inoltre obbligata a rimborsare diversi website per un totale di 20.000 euro.

La vediamo provare a vivere cambiando nome e città, cercare di tornare a una normalità, mentre il web graffiava, pugnalava, rideva di lei, del suo accento, della sua presunta “ingenuità”. Meme, canzoncine, foto, vip che ne approfittano per alzare l’engagement. Tiziana non voleva essere coraggiosa, nessunə di noi dovrebbe mai essere costretta a dimostrare quanto è forte in questo modo: Tiziana voleva continuare a camminare nelle sue scarpe, per i fatti suoi. Ma non le è stato permesso.

Poco dopo la sua morte, fu archiviata persino l’inchiesta su un’ipotetica istigazione al suicidio, nonostante i consulenti di parte abbiano sempre espresso dubbi sulla dinamica della morte: secondo i legali, infatti, non avrebbe potuto la pashmina con cui si sarebbe impiccata la Cantone reggere il peso del suo corpo senza rompersi.

Nel 2020, però, Teresa Giglio, la madre della vittima, ha richiesto la riesumazione della salma e l’analisi dei dispositivi elettronici di Tiziana, ottenendo il riscontro che conosciamo, prima attraverso le anomalie rilevate su cellulare e Ipad di proprietà della Cantone (cancellazione di messaggi e chiamate) e poi con il ritrovamento di DNA umano maschile sulla sciarpa. La mamma di Tiziana non ha mai creduto a niente di quello che è stato dato per certo: Tiziana, per chi la conosceva davvero, non sembrava assolutamente in procinto di suicidarsi. Finalmente, anche le prove scientifiche confermano quello che abbiamo sempre sentito tuttə nella pancia. Ma è una magra consolazione.

Il caso politico

La legge sul “revenge porn” (nota come Codice Rosso), fortemente voluta dalla deputata Laura Boldrini e ispirata dalla discussione parlamentare appunto in merito alla morte di Tiziana Cantone, è entrata in vigore il 9 Agosto 2019: il decreto 612 ter del Codice penale “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” recita pertanto che “Chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.”

È davvero abbastanza?

Cosa sappiamo veramente della vita di questa ragazza, una come tante, certo, se non per i particolari scabrosi, i meme, un frammento di video, un pezzettino di voce che ripete la stessa battuta ancora, ancora e ancora? La deumanizzazione collettiva di Tiziana Cantone, fin dal primo istante in cui i video sono stati caricati sulle piattaforme,  ha contribuito a creare un personaggio senza spessore, cristallizzandolo in un unico momento della sua esistenza, ricercandone ossessivamente le colpe. Perché se pensiamo che una donna sia in qualche modo responsabile di ciò che le è accaduto, come società ci arroghiamo lo squallidissimo diritto di cancellare, nei suoi confronti, ogni forma di empatia in noi rimasta. Ammesso che ci sia mai stata.

È così quando viene stuprata una sex worker, è così quando una donna gira un porno e poi decide che non vorrebbe più venisse diffuso. È così se ti molestano da ubriaca, se ti ammazzano dopo che hai tradito o abbandonato il povero marito distrutto dal dolore. Sarà sempre così se non lavoriamo prima sull’educazione e poi sulle leggi.

Il linguaggio

Parliamo del termine con cui ci riferiamo più comunemente a fenomeni di questo tipo, “revenge porn”: dovremmo smettere di usarlo e iniziare a preferire piuttosto “diffusione non consensuale di materiale intimo/privato”. Revenge vuol dire vendetta: parte dal presupposto che la vittima abbia fatto qualcosa di male, dal lasciare l’ex fidanzato che appunto si vendica, o semplicemente l’essersi fidata, o essere, ancora, “una puttana”.

Inoltre il termine non tiene conto di tantissimi fenomeni che rientrano nella stessa categoria: dalla pedopornografia alla diffusione su canali pornografici o di denigrazione (i famosi gruppi telegram dai titoli esplicativi come “stupro tua sorella” e simili) di foto e video assolutamente non “hot” presi dai social ma utilizzati allo scopo di sfogare il proprio odio nei confronti del genere femminile tutto. Inoltre, il termine porn è fuorviante perché il porno dovrebbe essere sempre consensuale e rispettoso di tutte le parti coinvolte (oltre che etico, ma questo è un altro discorso).

Imparare a usare un linguaggio giornalistico (e non solo) corretto porta a inquadrare i fenomeni in maniera corretta, è semplice (e lo stiamo vedendo in questi giorni, ancora, con le narrazioni dei “raptus” quando si parla di femminicidio). La realtà è strettamente collegata al modo in cui viene descritta, perché i concetti influenzano e cambiano le mentalità.

Avremmo voluto un mondo diverso per Tiziana. Un mondo in cui una donna con una vita sessuale è soltanto una donna con una vita sessuale, e basta. Una donna che non dovrebbe mai pagare con la vita il coraggio di denunciare l’abuso subito.

Il diritto alla sicurezza non può e non deve più passare attraverso le lenti del giudizio morale.

La diffusione non consensuale di materiale intimo uccide. Distrugge la vita delle persone e di tuttə quellə che le amano. Fa perdere lavori (ovviamente con un doppio standard spaventoso), può portare a ricatti economici, problemi di salute mentale, allontanamento dei figli. Non è “solo un video”, e potevamo pensarci prima. È la tua intimità violata.

La diffusione non consensuale di materiale intimo è stupro, e dobbiamo imparare a trattarla, pensarla e combatterla come tale. Con Tiziana nel cuore, sperando che la giustizia, finalmente, riconosca a lei e la sua famiglia, semplicemente, la verità e la pace che meritano.

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