La prima volta che sentii un amico declamare sornione “Stai facendo un video? Bravo” non capii la battuta. Dovettero spiegarmela, raccontandomi di quel video in cui una ragazza intenta in una fellatio si rivolgeva in quel modo al “cameraman”.

Ridacchiai, perché lo facevano tutti e non capii che mi stavo così rendendo complice di un atto orrendo, e con me nessuno di noi se ne rendeva conto.

Oggi lo capisco, fin troppo bene, ma molti ancora no, nemmeno a fronte dei terribili effetti, resi palesi a partire da quel 13 settembre 2016. Il giorno in cui Tiziana Cantone si è impiccata.

Sul suo caso sono state già spese molte parole. È già stato fatto ripetutamente notare come, al netto di denunce e dichiarazioni nebulose durante le indagini precedenti il suicidio, Tiziana non aveva in fondo compiuto alcun crimine.

Tiziana amava fare sesso. Forse era un’esibizionista, forse attraversava un momento difficile. Forse, come è ritenuto dalla madre, era stata spinta a fare quei “giochi” dal fidanzato dell’epoca. Tutto ciò non è però importante.

Tiziana non è certo morta per colpa di un pompino. Il colpevole non è stata la sua malizia o, come la chiamano alcuni, la sua “perversione”. Nemmeno gli uomini che erano con lei hanno la responsabilità della sua morte. Anzi, vi dico una cosa: quelli che condivisero quei video a persone a cui Tiziana non aveva mai dato il consenso sono rei di revenge porn e di altri ignobili crimini, ma non del suicidio di Tiziana.

Perché per la morte di Tiziana, i colpevoli siamo tutti noi.

A ucciderla sono stati infatti i pettegolezzi, i meme, le maldicenze, i commenti sussurrati, le dita che la indicavano…

L’aspetto grave è che fingiamo di non saperlo: ci trinceriamo dietro a una morale ipocrita per fingere di non avere responsabilità. Ripetiamo i mantra “Sì ma se ti fai filmare lo devi sapere che c’è il rischio che qualcuno ti veda” oppure “se fai la z******a devi assumerti le tue responsabilità” facendo, come sempre, ricadere la responsabilità del crimine sulla vittima.

E le vittime in questione sono sempre donne.

Lo sa bene per esempio anche Michela Deriu, la ventenne che ha avuto lo stesso tragico destino di Tiziana.

E se anche fossimo tra coloro che quel video non l’hanno visto, se anche non avessimo mai messo nemmeno un like a quegli stupidi meme, ogni qual volta pensiamo “quella è proprio una t***a” ci macchieremmo comunque dello stesso delitto: non perdonare alle donne la loro libertà.

Non concepiamo che possano fare sesso come preferiscono, che si filmino, anche peccando di ingenuità magari, mentre a un uomo concediamo la possibilità di fare e mostrare quel che gli pare, al massimo faremo solo apprezzamenti sulle sue dimensioni (ve lo ricordate il video onanistico di Gué Pequeno?).

La verità è che se Tiziana fosse stata trattata come un uomo, nemmeno sarebbe esistito il caso. Prova è il fatto che mentre il suo nome è ancora nella memoria di tutti, i nomi dei suoi compagni di giochi sono sconosciuti ai più.

Nemmeno il suicidio è bastato per farci aprire gli occhi. Ha sì fatto luce su quanto sia ignobile e diffusa la pratica del revenge porn (che ora per fortuna è reato) e di come la condivisione senza consenso di materiale intimo sia una violenza vera e propria; ma non è riuscito a convincere chi attribuisce a Tiziana la colpa della sua stessa morte, perché “troppo debole” per gestire le conseguenze delle sue (ignobili) azioni.

Non sopportando l’idea di sentirsi in colpa per aver guardato il video o averne riso, riescono a liquidare la faccenda come “roba che capita solo alle z*****e”.

È vero, ci sono donne che al posto di Tiziana avrebbero reagito in modo diverso. Ce ne sono alcune che avrebbero potuto persino guadagnarci in notorietà, quelle abbastanza forti da non farsi schiacciare dalla bigotta moralità italica, che condanna ciò che segretamente brama.

Perché per ogni acido insulto a Tiziana c’è stata una nuova condivisione dei suoi video. Perché in questo Paese si erge l’ipocrisia a virtù, felici di una semplificazione che vede le donne solo come sante o puttane.

Tiziana però non è riuscita a vedere oltre l’onta di vergogna che le è stata fatta ricadere addosso. Vergogna che in realtà era la nostra, perché nostra era la segreta bramosia di guardare i suoi video, di godere immaginandoci al posto di quegli uomini. Nostro è l’imbarazzo di ammette in piazza che il sesso piace a tutti, donne comprese.

Se è di fondamentale importanza punire coloro che violano l’intimità altrui condividendo foto o video senza consenso, è altrettanto necessario capire però che senza questa ipocrita moralità, nessuna donna arriverebbe a uccidersi per il video di un pompino.

In una società sana, nessuno si permetterebbe di giudicare qualcuno che non sta facendo del male a nessuno. Che si sta solo divertendo, nel suo sacrosanto diritto di vivere la sessualità come meglio crede.

Senza il timore di questo giudizio, non si avvertirebbe l’angoscia che accompagna ogni messaggio di sexting che gli adolescenti (ma non solo) si scambiano; non si avrebbe così paura di condividere un proprio scatto intimo con la persona che ci piace solo perché “e se poi la foto gira?”; non si nutrirebbe la certezza che a fronte di una violazione della propria privacy, invece che sostegno, si avrebbe dagli altri solo disprezzo.

Che poi è lo stesso morboso giudizio che porta a chiedersi com’era vestita l’ennesima vittima di stupro o quanto avesse bevuto. Perché, in apparente contrasto con l’imperante egemonia del maschio, questa società pare convinta che non può esistere atto sessuale senza l’avallo (magari implicito) della donna e, paradossalmente, quando la donna si fa sì padrona dei propri impulsi, ecco che non le si perdona tale libertà.

Alcuni penseranno quale sia mai il motivo per cui occorre fare “certe cose”. Perché qualcuno dovrebbe addirittura nutrire l’esigenza di filmarsi mentre le fa. Tuttavia non vi si chiede di capire. Nemmeno di condividere. Ognuno ha le preferenze che ha. Vi si chiede solo di porre le cose nel giusto ordine, di criminalizzare solo ciò che è in effetti un crimine e di lasciare tutto il resto là dove deve stare: tra gli affari altrui che non ci competono.

Il revenge porn punta all’umiliazione, ma è solo la pistola. Siamo noi a decidere se premere il grilletto. Spetta a noi decidere se aiutare la vittima o esserne gli assassini.

Per Tiziana, Michela e molte altre abbiamo scelto di macchiarci di sangue. Facciamo in modo che non si ripeta più.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!
  • Uomini che amano le donne