Un po’ di tempo fa un nostro lettore ci ha segnalato che il termine “persona affetta da autismo” è sbagliato. Grazie alla sua segnalazione abbiamo capito molto sull’autismo. Ecco cos’è successo:

Una volta pubblicato l’articolo “Music”, il film “caricatura dell’autismo” di Sia che ha offeso il pubblico sulla nostra pagina Facebook, siamo rimasti colpiti da un commento:

Usare le parole giuste è sempre difficile ma necessario, quindi abbiamo voluto approfittare del nostro errore per capire e saperne di più. È corretto utilizzare il termine “persone con autismo” o “persone autistiche”? Il primo è un esempio di person first language, ovvero il linguaggio che mette al primo posto la persona e non la sua disabilità, l’autismo in questo frangente; il secondo caso invece, esprime a pieno il senso dellidentity first language, quel linguaggio che considera la disabilità come parte integrante della propria identità, anche in un’ottica di attivismo.

Trattandosi di due visioni diametralmente opposte, ci siamo interrogati su quale delle due tipologie di linguaggio venga preferita dalla comunità delle persone autistiche e la risposta del nostro lettore è stata davvero illuminante.

Sul tema Conner Kent (alias Niccolò Scarnato, che sulla sua pagina si occupa attivamente per promuovere una migliore conoscenza sull’autismo) ha citato un articolo molto interessante scritto da Fabrizio Acanfora, consulente indipendente, divulgatore scientifico ed esperto in comunicazione inclusiva. A seguito di un’indagine sull’argomento, è stato rilevato che la maggioranza delle persone autistiche (79,8%) preferisce essere definita autistica, utilizzando quindi l’identity first language, mentre il 15,5% degli intervistati non ha espresso una preferenza. Il restante 4,7% invece, utilizza il person first language, definendosi una persona con autismo.

L’opinione della maggioranza della comunità è sposata anche da Fabrizio Acanfora, il quale scrive:

Trovo che l’autismo sia parte di me, non è qualcosa che possa essere eliminata né che abbia bisogno di essere “riparata”, e quindi mi definisce come persona insieme a tante altre caratteristiche. […] dover specificare che oltre all’autismo c’è una persona equivale a voler dire che quella serie di caratteristiche che mi contraddistinguono dalla maggioranza della popolazione sono dei difetti, degli errori, e che al di là di quelle imperfezioni che vorrei non vedere su di me, esiste una persona normale, sana, senza l’autismo insomma. […] non credo che determinate caratteristiche possano essere eliminate e non vedo perché dovrebbero, dal momento che in qualche modo io sono la persona che sono anche grazie a esse, nel bene e nel male. Essere definito autistico, e non persona con autismo, significa per me che quelle differenze che mi contraddistinguono dalla maggioranza sono appunto delle differenze alla quali non associo alcun giudizio morale o di valore: i miei sensi sono “differenti”, non deficitari; la mia modalità sociale e comunicativa è “differente”, non difettosa.

Come in ogni minoranza il diritto all’autodeterminazione anche in termini linguistici è fondamentale per contrastare espressioni sempre più spesso scorrette e superficiali. L’utilizzo di un linguaggio inclusivo è così importante proprio perché consente di identificare, dare un nome, e quindi una voce, a persone, minoranze che altrimenti verrebbero asfaltate da qualunquismi e luoghi comuni di cui tutt’ora continuiamo a leggere proprio in riferimento alla comunità delle persone autistiche.

[…] l’autismo rappresenta e costruisce l’intera personalità della persona autistica che quindi vede nella separazione da sé stesso operata da altri una grossa incomprensione della sua persona, – spiega Conner Kent –  come avete fatto notare ci sono persone autistiche che invece preferiscono il linguaggio person first ma ammontano al 4.7% della comunità autistica, io penso che sia un dato presente perché comunque lo stigma sociale e la disinformazione che gira sull’autismo (tante persone sono convinte che nessun Autistico sia in grado di parlare addirittura) ha effetti patologizzanti anche su diversi di noi che conseguentemente si sentono malati perché la società ci tratta da malati.

La confusione attorno all’autismo delle volte è tale da definire erroneamente quello che è semplicemente un diverso funzionamento del cervello come una malattia profondamente debilitante. L’autismo è totalmente distaccato dalla “comorbidità”, ovvero la presenza di disabilità o patologie, la quale non è riscontrabile in tutti gli autistici e quando si manifesta può farlo in modi differenti da soggetto a soggetto.

I media e la società spesso perpetrano questi errori, contribuendo alla diffusione di una rappresentazione distorta dell’autismo e non solo di quello. Il potere del linguaggio infatti, è tale da sminuire, negare, ridicolizzare e stereotipare l’essere umano in tutte le sue sfaccettature: dal punto di vista sessuale, etnico, in riferimento all’appartenenza di genere e alla disabilità. Un esempio è costituito proprio dall’abilismo, ovvero l’insieme di comportamenti ed esternazioni discriminatori nei confronti delle persone con disabilità.

Gli attacchi nei confronti di qualsiasi tipo di minoranza, le microaggressioni, prendono forma quotidianamente, nei contesti più disparati e spesso magari, neanche ce ne accorgiamo: “Non sono omofobo, ho tanti amici gay”, “Questo non è un lavoro da donne”, “Il razzismo non esiste nella società di oggi” sono solo alcuni esempi.

Per contrastare la disinformazione e i pregiudizi la comunicazione inclusiva svolge quindi un ruolo fondamentale e quando si sbaglia è giusto farne tesoro. Per questo siamo convintə che sia sempre necessario porsi in atteggiamento di ascolto nei confronti delle critiche e chiedere quando non si sa. Un enorme grazie va a Conner Kent per averci mostrato l’errore e ancor di più per la pazienza e la genuina disponibilità nell’averci fatto comprendere meglio la comunità delle persone autistiche, aiutandoci a migliorare.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!