Gender rage gap: perché le donne provano più rabbia di genere

L'espressione gender rage gap si compone delle parole inglesi "gender", "genere", "rage", "rabbia", e "gap", "divario". Essa indica, dunque, il divario che sussiste, a livello di genere, nella manifestazione della propria rabbia, dove il "polo" che tende a esprimere maggiormente quest'ultima è costituito da quello femminile. Quali sono le sue caratteristiche? Scopriamolo insieme.

“Isterica”, “pazza”, “mestruata”, “esagerata”. Quante volte la rabbia femminile è stata tacciata di risultare eccessiva, inopportuna e “troppo” emotiva? E quante volte le donne si sono ritrovate costrette a ingoiare le parole che avrebbero voluto dire e le risposte che avrebbero voluto fornire, per non dare credito a quegli stessi stereotipi che volevano decostruire mediante la loro reazione irosa?

L’espressione della rabbia da parte delle donne è ancora un tasto dolente, spesso osservato con incertezza, titubanza e timore. Essa, però, esiste, e si manifesta con sempre più veemenza e fiducia, tanto da evidenziare uno scollamento della stessa rispetto a quella maschile, maggiormente giustificata ma meno presente.

In questo caso, si parla, dunque, di “gender rage gap”: di che cosa si tratta? Scopriamolo insieme.

Che cosa significa gender rage gap?

L’espressione gender rage gap si compone delle parole inglesi “gender”, “genere”, “rage”, “rabbia”, e “gap”, “divario”. Essa indica, dunque, il divario che sussiste, a livello di genere, nella manifestazione della propria rabbia, dove il “polo” che tende a esprimere maggiormente quest’ultima è costituito da quello femminile.

Lo dimostrano i dati. Secondo un’indagine promossa dalla BBC sulla base del Gallup World Poll – che, ogni anno, intervista più di 120.000 persone appartenenti a più di 150 Stati – e durata dieci anni, le donne, dal 2012 in poi, hanno dichiarato di arrabbiarsi molto di più degli uomini.

Complice anche il Covid19, che ha condotto la maggior parte di esse a rinunciare alle proprie posizioni lavorative e alla propria indipendenzaeconomica, professionale, personale – per acuire il lavoro di cura nei confronti di familiari e figli, sulla base del vecchio adagio per cui “le donne devono occuparsi degli altri e della casa”, in modo invisibile e scontato.

Le cause del gender rage gap

Ma alle donne è concesso arrabbiarsi? Fin da piccole, viene loro insegnato – da madri, nonne, zie, sorelle, amiche – che esprimere la propria rabbia le rende più “brutte”, perché un viso corrucciato non si addice a una “brava bambina”. Di qui, il rifiuto di qualsiasi manifestazione di (più o meno) estremo dissenso, e il conseguente soffocamento di qualsiasi tipo di sentimento che possa riecheggiare astio e disappunto.

Sono proprio questi stereotipi, però, a porsi alla base del gender rage gap: l’idea, cioè, che le donne debbano rispettare un pattern di comportamento che le conduca a essere sempre educate, sommesse, silenziose, raffinate e sorridenti, e a non andare mai controcorrente rispetto a ciò che viene detto loro.

Al contrario degli uomini, per i quali, invece, l’espressione della rabbia costituisce uno degli espedienti di maggior successo per imporre le proprie idee e la propria autorità, stagliandosi alla stregua di un emblema di assertività, potere e ambizione.

Come scrive Soraya Chemaly in La rabbia ti fa bella. Il potere della rabbia femminile:

È difficile valutare quanto sia problematico il trasferimento della rabbia, come risorsa, dalle ragazze ai ragazzi e dalle donne agli uomini, non solo per noi come individui ma anche per la nostra società. Questo trasferimento è fondamentale per mantenere la supremazia bianca e il patriarcato. La rabbia rimane l’emozione meno accettabile per le ragazze e le donne perché è la prima linea di difesa contro l’ingiustizia.

Insomma: perdere la calma, indignarsi ed esprimere il proprio livore sembrerebbero essere prerogativa maschile, e parrebbero, invece, inappropriati se provenienti da una donna. Non importa se, a supportarla, vi siano sessismo, gender pay gap o violenze di varia natura.

Come sfruttare la rabbia per il cambiamento

Al pari di qualsiasi altra emozione, tuttavia, anche la rabbia necessita di essere esperita, veicolata e dichiarata, anche da parte delle donne. A livello culturale, quindi, si impone l’esigenza di educare il contesto sociale in cui siamo immersi nei confronti della rabbia femminile, la quale, se opportunamente e intelligentemente incanalata, può, così, divenire un utile strumento di lotta e insubordinazione (si pensi al #MeToo).

La rabbia, infatti, può essere il motore propulsore del cambiamento: lo si evince fin dai primi movimenti femministi, mossi da un’insoddisfazione tellurica che li ha condotti a rivendicare diritti, giustizia e uguaglianza. Al punto che, anche nella società odierna, si può parlare di un vero e proprio movimento, inaugurato dalle generazioni più giovani e chiamato il female rage, il quale reclama il sovvertimento della percezione dell’astio femminile e intende leggerlo non come esacerbato e innaturale (secondo quanto affermato nei secoli scorsi), bensì come espressione di autorevolezza e potere (proprio come è accaduto a proposito degli uomini).

Arrabbiarsi – nei limiti del rispetto altrui – ci fa bene, e ci consente di porre in luce ciò che ci vincola, ci opprime e ci ostacola. Esprimere il nostro dissenso non può che essere funzionale per un cambiamento concreto e profondo, che sia davvero in grado di dare voce a tutte quelle persone che, per troppo tempo, sono state zittite ed emarginate.

La rabbia è passione, e solo esprimendola si può attuare una trasformazione culturale e sociale.

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