Patriarcato: per combatterlo dobbiamo rivoluzionare il concetto di famiglia

Soffocante e discriminatorio, il patriarcato vige ancora fiero nelle nostre società, ghettizzando uomini e donne in ruoli e stereotipi di genere che limitano libertà e autodeterminazione. Vediamone i dettagli.

Ne siamo immerse fin da bambine, governa le nostre vite ed è, per moltissime di noi, una lotta necessaria, politica e sociale da fronteggiare quotidianamente. Perché, nella maggior parte dei casi, rappresenta proprio la fonte primaria del disagio che proviamo a livello lavorativo, personale e relazionale.

Che cos’è questo “spettro” che si aggira nelle nostre esistenze e che, spesso e volentieri, le rovina? La risposta è tanto semplice quanto articolata, nelle sue molteplici conseguenze e diramazioni: si tratta del patriarcato.

Dalla professione ai compiti domestici, dalla libertà individuale al rapporto con i figli, non c’è, infatti, ambito nel quale esso non faccia percepire la sua influenza, condizionando – anche inconsciamente – le nostre azioni e perpetuando una dinamica di sottomissione e squilibrio di potere che non consente alle donne di progredire sia nella carriera, sia nella vita personale.

Ma quali sono le sue origini, cause e conseguenze? Scopriamone i dettagli.

Patriarcato: che cos’è e cosa comporta

Il termine patriarcato ha origine greca e deriva dalla crasi tra “patria”, intesa come “discendenza, stirpe” (a sua volta derivata da pater, “padre”) e il verbo “archein”, “comandare”. Letteralmente, dunque, il concetto designa la cosiddetta “legge del padre”, e indica, originariamente, il predominio dell’uomo (il “pater familias”) in ambito privato.

Il suo significato è, tuttavia, mutato nel corso dei millenni, giungendo a indicare, in età contemporanea, la detenzione del potere “sociale” da parte degli uomini, i quali non controllano più solo la propria famiglia, bensì risiedono in posizioni di privilegio e autocrazia a livello sistemico, legittimati, in tal senso, dalla società stessa in cui operano.

Tale discrepanza tra il controllo autoritario esercitato dal “padre” (in senso lato) e lo scarso margine di manovra detenuto dalla donna comporta, quindi, un dislivello in tutti i comparti dell’esistenza, a discapito, naturalmente, delle donne.

Dislivello che si manifesta in una molteplicità di sfumature: dal gender pay gap alla cultura dello stupro, dalla violenza (fisica, psicologica, economica) al catcalling, fino all’assenza di donne in ruoli apicali, al femminicidio e a una complessiva discriminazione di genere che ostacola il procedere professionale e personale delle sue vittime.

Storia e origini del patriarcato

Non è, però, sempre stato così. Studi antropologici dimostrano, infatti, che nelle società nomadi preistoriche vigesse una certa uguaglianza tra uomini e donne, e che tale condizione subì sostanziali modifiche solo in seguito al Pleistocene.

A caratterizzarne il cambiamento fu, appunto, l’insediarsi dell’agricoltura e dell’addomesticamento degli animali, e, nello specifico, l’interesse via via maggiore nei confronti della proprietà privata, come spiega il filosofo Friedrich Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato del 1884.

Come si legge su Bossy:

[…] nelle società primitive dell’Era della Pietra tra i sessi c’era uguaglianza e i compiti erano divisi di comune accordo: gli uomini fuori a caccia, le donne a prendersi cura della casa e delle provviste. Con l’avvento dell’Età del Ferro e della produzione (dal ferro sono derivati gli utensili, grazie ai quali è cominciata l’agricoltura), nella società ha fatto prepotentemente irruzione il bisogno di proprietà privata.

Perciò:

Gli uomini, mossi dalla brama di difendere il proprio patrimonio, hanno così messo in campo la propria superiorità fisica, schiavizzando agli uomini e sottomettendo le donne. Ciò è Patriarcato, da cui derivarono poi il matrmonio monogamico e la famiglia.

Non era della stessa opinione, invece, l’antropologo Claude Lévi-Strauss, che nel volume Structures élémentaires de la parenté fa risalire l’origine del patriarcato alla necessità primigenia di vietare l’incesto al fine di creare società atte alla sopravvivenza. In questo modo, le donne divennero le “pedine” di scambio per unire più famiglie e scambiarne i membri mediante il matrimonio.

Le teorie sulle origini dell’oppressione maschile sono numerose e talvolta divergenti, ma è indubbio che, qualunque ne sia stata la scaturigine, è a causa di essa che, fin dall’antica Grecia, le donne sono considerate inferiori agli uomini, proprietà di questi ultimi e perfetti “angeli del focolare”, brave solo a badare alla casa e alla prole.

Concezioni che molte persone, tutt’oggi, faticano ancora ad abbandonare.

Patriarcato e matriarcato

A ipotizzare una struttura sociale basata sul patriarcato fu anche il filosofo e giurista inglese Henry Summer Maine, il quale, come si legge su Treccani, nel 1861 pubblicò un testo dedicato all’evoluzione dei sistemi giuridici e delle società umane intitolato Diritto antico.

Come teorizzato da Lévi-Strauss, anche Maine pensava che l’organizzazione comunitaria fosse sorta da un gruppo formato da due o più coppie che vivevano insieme: una sorta di “famiglia estesa” in cui il maschio più anziano, ossia il patriarca, deteneva un potere illimitato. Solo dopo moltissimo tempo, poi, quest’ultimo sarebbe stato segmentato su base territoriale e suddiviso in tante autorità centralizzate.

Nello stesso anno, però, apparve anche un’ipotesi opposta, sostenuta dallo studioso svizzero di diritto romano Johann Jakob Bachofen e racchiusa nel volume Il matriarcato. Come suggerito dal titolo, Bachofen sostenne che la struttura primordiale della società civile fosse, appunto, un matriarcato, ossia di “dominio” femminile.

Con il succedersi delle fasi storiche, le donne avrebbero posto fine alla grande libertà sessuale degli uomini e alla loro presa di potere e li avrebbero costretti al matrimonio monogamico. Essendo, ora, al centro dell’organizzazione domestica e familiare, le donne avrebbero, quindi, ottenuto il potere politico e sociale, perso in seguito, a favore della supremazia patriarcale, con il diffondersi della monogamia e della certezza della paternità che da essa deriva.

Femminismo e patriarcato

Naturalmente si tratta di teorie e ipotesi, nei confronti delle quali, al momento, non vi è ancora certezza assoluta. Ciò che risulta certo e consolidato è, invece, la lotta che, soprattutto da qualche secolo a questa parte, accomuna le donne di tutto il mondo contro l’egemonia maschile.

La battaglia, come è noto, iniziò tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento con le suffragette: donne che si opposero al sistema patriarcale (fino a quel momento sostanzialmente mai messo in discussione e considerato quasi “naturale”) e rivendicarono il diritto di voto e quello di essere elette. In poche parole: di far parte della società in quanto cittadine e individui, smettendo di essere relegate a mere figure di cura e assistenza degli uomini e dei loro figli.

Le donne iniziarono, così, a combattere per la propria libertà e autodeterminazione, dando, poi, sfogo alle altre correnti e ondate che caratterizzarono il femminismo e che tuttora lo alimentano.

Dal ‘68 a oggi, infatti, la lotta femminista si è posta come obiettivo primario proprio quello di scardinare i presupposti del patriarcato, demolendo gli stereotipi e il binarismo di genere che lo popolano, reclamando il diritto di decidere sul proprio corpo e, in generale, affrancandosi dalla “potestà” maschile.

Il patriarcato oggi

Come sappiamo bene, tuttavia, i passi da compiere sono ancora innumerevoli. Nel mondo odierno, infatti, il patriarcato non accenna a scomparire e, anzi, si manifesta in modi spesso subdoli e in apparenza innocui.

Si pensi, per esempio, al sessismo benevolo, che cela, sotto forma di complimenti e attenzioni peculiari, un atteggiamento svilente e mortificante nei confronti della donna, considerata “non abbastanza” per un determinato compito o una certa azione (dal «Passami la busta, è troppo pesante per te» al «Sei una donna: giocare a calcio sarebbe faticoso»).

O, ancora, alla discrepanza – a parità di mansioni – dello stipendio tra uomini o donne, e all’immane difficoltà, per queste ultime, a raggiungere ruoli apicali. Per non parlare della cura domestica, ancora appannaggio delle figure femminili e causa di abbandono delle carriere o di soluzioni professionali part-time e mal retribuite.

Fino agli episodi più eclatanti, dove violenza e femminicidio manifestano il lascito di una cultura incentrata sul possesso e la mercificazione del corpo femminile, considerato ancora troppo spesso – e pericolosamente – alla stregua di un oggetto di cui poter disporre a piacimento, e al quale non prestar alcun rispetto.

Perché combattere il patriarcato

Risiedono, pertanto, in queste, e in moltissime altre ragioni, i motivi per cui è necessario demolire il patriarcato e le sue brutture. Combattere per la parità tra (tutti) i generi e garantire uguaglianza di trattamento e diritti contribuisce, infatti, a creare una società più equilibrata, sana e coesa, attenta alle esigenze dei singoli individui e al benessere della collettività.

Gli stereotipi e le discriminazioni culturali, sociali e politiche imposti dal patriarcato sono, inoltre, deleteri tanto per le donne quanto per gli uomini, dal momento che ghettizzano e incapsulano entrambi in ruoli, pensieri e atteggiamenti castranti e soffocanti, che limitano la libertà d’azione di ciascuna persona.

Liberarsi dalle gabbie del patriarcato fa bene a tutti. E tutti dobbiamo combattere per essere alleati e uniti in questa lotta.

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