Studi di Genere, o Gender Studies: a che punto siamo in Italia

Intervista a Paola Panarese: la Presidente del primo corso di laurea magistrale in Italia dedicato a Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione. Com'è la situazione nel nostro Paese e a che punto siamo?

Fino a settembre 2022 non vi era, in Italia, nessun corso di laurea dedicato agli Studi di Genere, o Gender Studies. Una lacuna rilevante, soprattutto se raffrontata ad altri Paesi – in particolare gli Stati Uniti e i Paesi anglosassoni -, dove essi vantano, al contrario, una tradizione accademica duratura e un’offerta formativa particolarmente variegata e strutturata.

Le difficoltà incontrate a livello nazionale sono perlopiù culturali, e investono sia il contesto universitario, sia la percezione che si ha degli Studi di Genere – in un Paese, lo ricordiamo, dominato dalla cosiddetta “ideologia/teoria del gender” e da posizioni radicate ed estremo conservatorismo.

La situazione, però, è finalmente mutata, grazie al primo Corso di laurea magistrale in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione avviato alla Sapienza Università di Roma e risultato della collaborazione tra i Dipartimenti di Comunicazione e Ricerca Sociale, Lettere e Culture Moderne e Psicologia. Per capire meglio di che cosa si tratta e quali novità apporterà nel panorama accademico italiano, abbiamo approfondito il discorso con la Presidente del corso, la dottoressa Paola Panarese. Scopriamone i dettagli.

In quale periodo storico e, soprattutto, in quale terreno culturale, sociale e politico sono nati i Gender Studies?

Nati in Nord America alla fine degli anni Settanta, i Gender Studies sono sorti in un’epoca di grande fervore sociale e politico, caratterizzata dalla lotta per i diritti civili, il movimento per la pace, l’attivismo femminista prima e LGBT poi e si sono sviluppati all’incrocio tra l’antropologia, la sociologia e la filosofia, sulla base delle riflessioni del lavoro del femminismo degli anni Settanta, ma distaccandosene per l’ampliamento dell’oggetto di analisi al di là della sola condizione della donna. Sono emersi dal desiderio di esplorare, criticare e ridefinire le nozioni tradizionali di genere, in reazione al binarismo di genere, che imponeva rigide norme sociali sul comportamento e le aspettative basate sul sesso biologico.

Questo campo interdisciplinare ha gettato le basi per una critica radicale delle strutture di potere e delle disuguaglianze basate sul genere, esplorando temi come la sessualità, la rappresentazione mediatica di donne, uomini e altre soggettività, la violenza di genere e le dinamiche familiari.

I Gender Studies hanno introdotto un nuovo modo di pensare e analizzare il genere: hanno sfidato le visioni tradizionali che vedevano il genere come una semplice dicotomia uomo-donna, aprendo la strada a una comprensione più sfumata e complessa, esplorando, inoltre, l’intersezione di genere con altre categorie sociali come la razza, la classe sociale e la sessualità.

Essi sono, quindi, sviluppati in un periodo di grande vivacità, in cui la società stava affrontando una serie di sfide culturali fondamentali, in un terreno sociale e politico che ha fornito l’ispirazione e il contesto necessari per l’inizio di un movimento accademico che ha cambiato il modo in cui comprendiamo e affrontiamo le questioni di genere.

A quali esigenze hanno risposto gli Studi di Genere? E come sono stati accolti dalla comunità scientifica – e intellettuale nel complesso?

Gli Studi di Genere sono nati per rispondere a diverse esigenze emerse nel contesto sociale e accademico, come, tra le altre, la necessità di analizzare, evidenziare e (idealmente) decostruire le disuguaglianze basate sul genere presenti nella società e la valorizzazione delle esperienze e delle voci delle donne, spesso trascurate o marginalizzate nei percorsi e nei documenti scientifici del passato.

Riguardo all’accoglienza da parte della comunità scientifica e intellettuale, gli Studi di Genere hanno affrontato, soprattutto in una fase iniziale, una certa resistenza e un diffuso scetticismo da parte di alcuni settori accademici più tradizionali, che guardavano a tale ambito di studi come un campo “ideologico” e “non scientifico” e ne mettevano in discussione la validità e la rilevanza.

Tuttavia, nel corso degli anni, gli Studi di Genere sono stati sempre più riconosciuti come un campo di studio legittimo e importante. Sono stati istituiti dipartimenti universitari, insegnamenti e corsi di laurea, è cresciuto il numero di pubblicazioni e si sono moltiplicate le conferenze e associazioni scientifiche dedicate al tema.

Oggi, gli Studi di Genere sono parte integrante del panorama accademico e hanno influenzato molte discipline, tra cui sociologia, antropologia, storia, letteratura e psicologia. Sebbene possano ancora incontrare qualche critica, sono stati accolti da una comunità scientifica internazionale sempre più ampia, che riconosce l’importanza dello studio del genere e le sue profonde implicazioni nella società.

Quali sono gli assi precipui lungo i quali si muovono i Gender Studies? Vi sono “correnti” al loro interno, e, in caso affermativo, come si strutturano e si differenziano tra loro?

I Gender Studies si muovono lungo diversi assi che contribuiscono alla comprensione e analisi del genere. Tra questi il costruttivismo sociale, che sostiene l’idea che il genere non sia una caratteristica innata o biologica, ma una costruzione sociale e culturale che si evolve nel tempo e varia tra le diverse società. Altro asse portante degli Studi di Genere è la critica al binarismo e all’eteronormatività: in tale prospettiva, si mette in discussione la visione del genere come sistema dicotomico diviso in maschile e femminile. Questa critica si estende alla concezione delle identità di genere, aprendo la strada a una prospettiva più fluida e inclusiva che riconosce la diversità delle identità di genere e la presenza di persone transgender e non binarie. Anche l’intersezionalità è un altro asse centrale dei Gender Studies: essa implica l’analisi delle interconnessioni tra il genere e altre categorie sociali come la razza, la classe sociale, la sessualità e la disabilità, riconoscendo che le esperienze e le disuguaglianze di genere sono complesse e plasmate dall’interazione con altre forme di oppressione e privilegio.

A proposito delle correnti interne ai Gender Studies, ce ne sono diverse che si differenziano per approcci e focus di studio. Tra le principali si annoverano: i Feminist Studies e Women’s Studies, i Queer Studies e i Men’s Studies.
I primi sono focalizzati sul femminile e articolati in prospettive diverse accomunate, però, dall’attenzione per i diritti delle donne, la critica ai sistemi di oppressione patriarcale e la promozione della parità di genere. Sono differenti, tuttavia, i femminismi che orientano tali studi; tra questi possiamo citare, a titolo d’esempio, il femminismo radicale, il femminismo intersezionale o il femminismo postcoloniale, caratterizzati da prospettive e obiettivi parzialmente divergenti.
I Queer Studies, invece, si concentrano sugli orientamenti sessuali e le identità sessuali, mettendo in discussione le norme e le aspettative eteronormative, esplorando la fluidità e la complessità delle identità sessuali e di genere.
I Men’s Studies si concentrano, infine, sull’analisi delle rappresentazioni e delle pratiche maschili, esaminando i diversi modelli culturali di maschilità, le relazioni di potere tra i generi e le dinamiche di costruzione ed evoluzione delle identità maschili nella società.
È importante sottolineare che queste correnti non sono rigide e separate, ma spesso dialogano e si intersecano contribuendo a un dibattito vivace e stimolante.

A settembre 2022, alla Sapienza Università di Roma, è stato istituito il primo Corso di laurea magistrale in Italia in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione – di cui Lei è, appunto, Presidente. Perché la sua comparsa ha tardato così tanto ad arrivare, nel nostro Paese? Quali sono stati gli ostacoli principali alla sua fondazione, nei decenni precedenti?

Il ritardo dei Gender Studies in Italia, rispetto ad altri Paesi, può essere attribuito a diversi fattori, tra cui il primo e forse il più ingombrante è il contesto culturale, in cui sono radicate norme di genere tradizionale e che ha esercitato un’influenza significativa sulla società italiana, rendendo più difficile l’emergere dei Gender Studies come campo di studio accademico.

Gli Studi di Genere hanno a lungo lamentato una presenza fragile nel Paese, causata anche da una tardiva legittimazione istituzionale rispetto ad altri contesti europei. Tra le cause di tale ritardo sono comprese, probabilmente, due dimensioni correlate, quali alcune posizioni assunte dal movimento femminista italiano degli anni ‘70 e ’80, da un lato, e le dinamiche e le forme del sistema accademico nazionale, dall’altro. Si pensi, nel primo caso, a Luisa Muraro, esponente del pensiero femminista di quegli anni e ricercatrice presso l’Università di Verona, che rifiutò gli avanzamenti di carriera come protesta nei confronti di un’istituzione principalmente maschile, che poco tendeva ad accogliere le innovazioni teoriche legate ai Gender Studies. O si guardi al fatto che anche negli anni ’90 la valutazione dell’opportunità di inserire gli Studi di Genere tra i percorsi formativi polarizzò le posizioni di chi vedeva grandi benefici dalla loro istituzionalizzazione e di chi, invece, invitava alla coerenza con le scelte del “femminismo precedente”, orientato a creare spazi di confronto e autodeterminazione diversi da quelli dominati dagli uomini. Proprio in quel decennio, comunque, gli studi femministi, già praticati in Italia da ricercatrici e pensatrici di diversi ambiti disciplinari, iniziarono ad avere alcuni primi e timidi spazi nell’accademia, senza guardare ancora, però, ai (feminist) media studies, diffusisi in Italia con lentezza.

Ancora, qual è stato il motore propulsore che ha condotto alla nascita del Corso di laurea magistrale in Gender Studies? E qual è la motivazione alla base dell’accostamento tra gli Studi di Genere e il mondo della comunicazione?

Probabilmente il motore propulsore che ha condotto alla nascita del Corso di laurea magistrale in Gender Studies, culture e politiche per i media e la comunicazione è stata la sensibilità della prima Rettrice donna in oltre settecento anni di storia della Sapienza, Antonella Polimeni, cui si è affiancata la presenza di diverse/i docenti che si sono occupati e occupate per anni di Studi di Genere in differenti ambiti disciplinari (dalla sociologia alla psicologia, dall’economia al diritto, dalle scienze politiche alla semiotica e alla linguistica, ecc.), che hanno trovato modo di confrontarsi ed elaborare un progetto formativo condiviso.

Quali sono i corsi che caratterizzano il percorso magistrale in Gender Studies? Al momento attuale, inoltre, qual è l’affluenza studentesca e quali sono i temi maggiormente “sentiti” – e, dunque, frequentati – da parte degli allievi? In futuro, avete intenzione di aggiungere altri insegnamenti? Se sì, quali?

Prima di indicare gli insegnamenti che caratterizzano il percorso magistrale in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione, occorre dire che esso rappresenta una novità nel panorama italiano. È il primo corso di laurea magistrale in Italia a occuparsi di Studi di Genere per i media, ossia di formazione di figure professionali capaci di promuovere immagini e narrazioni di genere equilibrate, inclusive e mai discriminatorie, lontane da quelle che troppo spesso di vedono in tv, sui giornali e anche in rete.

Promosso dai Dipartimenti di Comunicazione e Ricerca Sociale, Lettere e Culture Moderne e Psicologia, il corso di laurea ha un approccio multidisciplinare. Mira, infatti, a trasmettere conoscenze sui processi culturali, sociali, politici ed economici sulla base dei quali si producono squilibri e disuguaglianze fondate sul genere, per poi applicare tali saperi all’analisi e allo sviluppo di contenuti comunicativi gender sensitive.

Tra gli insegnamenti, compaiono: Gender and media studies, Gender Sensitive Journalism, Lingua, linguaggio e genere, Statistiche di genere, Analisi sociale della gender equality, Sociologia dei media digitali – con un laboratorio sul contrasto all’online violence.

Il corso ha, inoltre, un taglio anche pratico, poiché prevede diverse attività laboratoriali all’interno degli insegnamenti. Al momento, gli iscritti sono circa cinquanta, ma gli insegnamenti sono spesso seguiti anche da studenti e studentesse di altri corsi di laurea interessati/e al tema.

Un argomento che sembra raccogliere particolare interesse è quello della relazione tra la dimensione del genere e altre categorie sociali e culturali, quali quelle di classe, orientamento sessuale, etnia o età, che operano simultaneamente nella produzione e riproduzione di differenze e discriminazioni e vengono lette da una prospettiva intersezionale, che, sebbene non sempre coltivata o condivisa, rende conto di multidimensionalità, simultaneità e pluralismo delle costruzioni sociali che riguardano femminilità, maschilità e altre identità.

Il corso in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione come è stato accolto dagli altri Dipartimenti universitari della Sapienza? Vi sono stati degli ostracismi interni? E, in generale, quali sono state le critiche – interne ed esterne – mosse nei confronti del progetto?

Il corso in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione è stato promosso da diversi Dipartimenti, quale quello di Comunicazione e Ricerca Sociale, che si occupa anche della sua gestione, quello di Lettere e Culture Moderne e tre diversi Dipartimenti di Psicologia. Inoltre, coinvolge tutti quei docenti e quelle docenti esperti/e del tema in altri ambiti disciplinari, come quello dell’economia, della statistica o del diritto che hanno conoscenze ed esperienze nello studio del genere.

Essendo frutto di un’estesa condivisione di competenze, è stato accolto positivamente in Ateneo e sta raccogliendo sempre maggiori proposte di collaborazione dentro e fuori l’Università.

Per quanto riguarda il contesto esterno all’università, fatta eccezione per qualche attacco di scarso rilievo sui social media di gruppi conservatori l’estate scorsa, il corso ha suscitato una buona attenzione dei media, delle istituzioni culturali e di organizzazioni private, con cui stiamo stipulando accordi di collaborazione, certamente utili per arricchire esperienze e possibilità professionali di studenti e studentesse.

In quale modo, poi, secondo Lei, il Corso di laurea magistrale in oggetto potrebbe promuovere la discussione e la sensibilizzazione sociale intorno alle tematiche di genere? Quali sono i risultati auspicati?

Oltre a sensibilizzare i frequentanti del corso di laurea e i pubblici dei diversi eventi organizzati sui divari e le discriminazioni connesse alle tematiche di genere, si intende formare giornalisti e giornaliste, social media manager, copywriter, content creator o designer di contenuti e servizi multimediali, in grado di operare nelle industrie mediali e culturali, favorendo una più equa e corretta rappresentazione di maschilità, femminilità e altre soggettività, con rispetto per le specificità di genere. Questo mi pare sia il risultato più ambizioso e importante.

A luglio 2022, infine, l’ateneo ha anche aperto, al suo interno, un Centro antiviolenza gestito dal Telefono Rosa: come è stata accolta l’iniziativa? Il Centro è già stato di supporto, nell’arco di questi mesi?

Considerata la breve vita del centro penso sia presto per fare bilanci, anche se mi sembra che l’accoglienza sia stata positiva e la collaborazione tra Sapienza e CAV proficua, soprattutto sul piano della sensibilizzazione al tema tra studenti e studentesse. Il CAV ha collaborato con diversi docenti per attività condivise di sensibilizzazione e divulgazione delle tematiche connesse alla violenza e ha organizzato con gruppi studenteschi specifiche occasioni di supporto e consulenza.

L’esistenza di un centro antiviolenza legato alla Sapienza offre, dunque, opportunità importanti e preziose, che spaziano dal supporto alle vittime di violenza di genere, funzione tipica dei centri antiviolenza, indirizzata in questo caso alla comunità del più grande Ateneo d’Europa, alla sensibilizzazione e prevenzione della violenza, attraverso eventi, workshop, seminari e campagne di informazione.
In ogni caso, si tratta di una risorsa importante per la comunità universitaria e per la società nel suo complesso nel promuovere un ambiente più sicuro e inclusivo.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!