Cosa si intende per mascolinità fragile e perché non c'è forza nel machismo

Con l'espressione "mascolinità fragile" ci si riferisce a una serie di comportamenti e modi di pensare che si affrancano dalla mascolinità considerata "normale" e, per questo motivo, risultano malvisti, presi di mira e osteggiati. Vediamo di che cosa si tratta nello specifico e quali sono i suoi legami con la mascolinità tossica.

Fin dalla più tenera età, pende sulle teste degli uomini una spada di Damocle che, pur non volendolo, mostrerà la sua ombra per tutta la loro vita: il timore della vulnerabilità, che si tramuta, di conseguenza, in un suo diniego.

La “fragilità” maschile non può – e non deve – avere modo di esprimersi, pena il rischio di essere additati come “femminucce”, “fr*ci”, “sfigati” e affini. Immersi in una cultura profondamente patriarcale e machista come quella odierna, gli uomini sono, infatti, chiamati, già da piccoli, a rispettare stereotipi e ruoli di genere improntati alla forza, al predominio e all’assenza di emozioni e sentimenti – perlomeno “palesi” agli occhi degli altri.

Se questi canoni non vengono rispettati, si parla, appunto, di mascolinità fragile. Ma che cosa significa e come può essere decostruita? Vediamolo insieme.

Che cosa si intende per mascolinità fragile?

Con l’espressione “mascolinità fragile“, dunque, ci si riferisce a una serie di comportamenti e modi di pensare che si affrancano dalla mascolinità considerata “normale” e, per questo motivo, risultano malvisti, presi di mira e osteggiati.

Nello specifico, un uomo è considerato “fragile” ogniqualvolta in cui, per esempio, mostra la propria vulnerabilità (con pianti, commozione e simili), parteggia per cause “estranee” al mondo maschile (i diritti delle donne, la parità di genere, il congedo parentale e così via), o presenta atteggiamenti distanti rispetto a quelli considerati “appropriati” per un uomo, sinonimo, questi ultimi, di coraggio, prestanza e machismo.

La mascolinità fragile, quindi, è considerata tale se l’uomo dà voce alla propria sensibilità, prendendo, così, le distanze da un modello di azione che contraddistingue il cosiddetto “maschio alfa“, sorretto da agonismo, vigore e supremazia.

Mascolinità fragile e mascolinità tossica

Ma da dove deriva tale concezione della natura maschile? A plasmarla, vi sono secoli e secoli di mascolinità tossica, la quale affonda le proprie radici – e, al contempo, ne alimenta gli effetti – nel sessismo insito nella società patriarcale, basato su una presunta superiorità del genere maschile su quello femminile.

Dinamiche di potere che si sono tramandate nel corso del tempo, e che interessano non solo il rapporto tra i generi, ma anche quello tra gli uomini stessi, come si evince dal modo in cui vengono trattate le persone che si discostano da un paradigma imposto di maschilità forte, sempre pronta sessualmente, competitiva e spesso aggressiva.

Come spiega il filosofo femminista Lorenzo Gasparrini:

La vita dei maschi diventa quindi una sorta di prova agonistica: in ogni momento, in ogni gesto, in ogni relazione e in ogni situazione devono mostrare, esprimere, esibire i caratteri della mascolinità in modo che essa sia evidentemente presente e funzionante. I maschi appaiono così in perenne competizione, con se stessi o con altri, per qualcosa: potere, donne, denaro, traguardi – tutto diventa una scusa e una possibilità per dimostrarsi “uomini”. In questo consiste la fragilità maschile: il loro mondo è dominato dall’ansia da prestazione, dalla continua ossessiva possibilità di fallire.

Ciò conduce gli uomini a eludere in qualsiasi modo accenni di debolezza e qualsiasi segnale che possa allontanarli dal modello del “vero uomo”. Continua Gasparrini:

[…] I maschi non devono essere né sembrare effeminati nei gesti o nel linguaggio, non devono mostrarsi deboli in nessuna situazione, non devono esibire sentimenti o emozioni non assertive, non devono avere relazioni amicali con chi non è maschio, non devono fallire mai nelle prestazioni sessuali, non possono smettere, a nessuna età, di dimostrarsi maschi. “Fr*cio” è il primo insulto che si scambiano da bambini; “sfigato” (letteralmente, “incapace di avere una f*ga”) è la cosa che non devono essere mai.

Accettare la vulnerabilità

In un contesto di questo tipo, dove gli uomini sono educati, fin da giovanissimi, a evitare “atteggiamenti da femminuccia” e a dimostrare, in qualsiasi contesto, di “avere le palle“, mostrare la propria vulnerabilità e, soprattutto, accoglierla e accettarla si staglia a tutti gli effetti come un vero e proprio gesto rivoluzionario.

Lo delineano con delicatezza e accuratezza le testimonianze raccolte da Abbatto i muri, che, lanciando l’hashtag #MascolinitàFragile, ha invitato gli uomini a narrare la propria esperienza di maschilità al fine di decostruire e disimparare il machismo e i suoi dettami.

A costellare le narrazioni di questi uomini vi è il senso di inadeguatezza percepito nel sentirsi soggiogati a un ruolo di genere che non rispecchia il loro modo di essere autentico, e che, al contrario, si distanzia molto da ciò che pensano, credono e desiderano davvero. Come racconta S., per esempio:

Disimparare il machismo è difficile ma è un percorso che ti ripaga di tante cose. […] Vorrei sapere se altri uomini vivono quello che ho vissuto io. Se hanno pensato mai di essere prigionieri di un ruolo imposto e se si sentono abusati perché si pretende da loro quello che non vorrebbero mai essere, fare, pensare. Dire queste cose secondo me è importante e non per avere il consenso delle femministe, delle quali, se permetti, mi interessa ben poco. È importante per me stesso, per quello che voglio essere e che voglio diventare.

A essere percepita, dunque, è una generale sensazione di solitudine, che sembra, appunto, colpire tutti coloro che non si riconoscono nel modello machista. Oltre, naturalmente, alla sofferenza provata per non poter manifestare apertamente le proprie emozioni, come invece si concede alle donne. Ne parla anche la testimonianza di G.:

[…] Ti scrivo adesso, dopo avere, finalmente, pianto, avendo desiderato di piangere per tutta la giornata senza riuscirci. Senza riuscirci perché l’idea di piangere in pubblico attiva la mia modalità stoica e blocca qualsiasi emotività. Occhi asciutti, singhiozzo scomparso, ma mai scomparso davvero, nascosto, rimosso, per un po’. Perché non basta essere chiuso da solo in un ufficio o solo nella propria stanza o per strada in mezzo agli sconosciuti per scacciare il timore di essere visto piangere.

Le conseguenze della mascolinità fragile

Le conseguenze che si annidano nel considerare “fragile” una mascolinità che non rispecchia i dogmi del machismo sono molteplici. Come abbiamo visto, un primo sintomo può essere quello del discomfort e dell’inadeguatezza, che conduce gli uomini a porre in ombra alcune parti di sé e a evitare certe argomentazioni o situazioni pur di non attirare l’attenzione e i giudizi negativi dei loro pari.

Una mascolinità oppressiva e fondata sul concetto della forza come sinonimo di dignità, autorevolezza e rispetto, inoltre, può anche portare a un maggior rischio di sviluppare atteggiamenti violenti e aggressivi, che possono trovare sfogo anche su coloro che non presentano comportamenti simili, con insulti, minacce e, talvolta, aggressioni fisiche nei confronti dei cosiddetti “maschi fragili“.

Senza dimenticare, infine, le accuse di “devirilizzazione” che possono colpire tutti coloro che, invece, cercano di distruggere le fondamenta della mascolinità tossica. Proprio come è successo, ad esempio, in seguito alla pubblicità promossa da Gillette nel 2019, dove al concetto di “The best a man can get” (“Il meglio che un uomo possa ottenere”) è stato sostituito quello di “The best a man can be” (“Il meglio che un uomo possa essere”), con riferimenti agli effetti dannosi del sessismo sugli stessi uomini e la veicolazione di messaggi alternativi di sostegno reciproco, denuncia del bullismo, fratellanza e rifiuto generico degli stereotipi.

A dimostrazione che cambiare si può, poco per volta, insieme e con determinazione e fiducia.

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