"Le domande dei bambini di fronte al sangue mestruale": intervista a Michela Marabini

Anche nei discorsi più evoluti sulle mestruazioni, non si parla mai di normalizzazione del ciclo mestruale in famiglia e di educazione mestruale dei bambini sin da piccolissimi. Lo abbiamo fatto qui con la Marketing Manager Intimate Hygiene di Essity, cui appartiene anche il brand Nuvenia, con la quale abbiamo parlato anche di stigma mestruale, pinkwashing e sostenibilità.

È un argomento di cui non si parla mai e, forse, è il più tabù di tutti i tabù che ruotano attorno alle mestruazioni: la scoperta del sangue mestruale da parte dei bambini è qualcosa che non si racconta o si racconta poco e male. Se ne parla in termini educativi, in relazione più che altro alle bambine in età pre-puberale; ma sembra che non riguardi i bambini, che possono attendere ben oltre l’infanzia per ricevere un’educazione mestruale o, più probabilmente, non la riceveranno mai davvero.

“I miei figli sin da piccolissimi mi hanno fatto domande sulle mie mestruazioni.
È stato normale: andavo in bagno, loro mi seguivano e vedevano che, ogni mese, c’erano dei giorni in cui mi cambiavo l’assorbente. Ovvio che erano incuriositi dal sangue mestruale: il sangue è associato in genere a una ferita, ed è qualcosa da fermare con un cerotto.
Quindi i bambini fanno domande, alle quali ho sempre risposto con onestà. Certo, bisogna usare un linguaggio adatto alla loro età, ma non è nulla da nascondere: sia che siano maschi sia che siano femmine”.

Quando la primavera scorsa Michela Marabini raccontò quest’aneddoto dal palco della seconda edizione del Festival del Ciclo Mestruale – nonostante fosse lì per parlare di mestruazioni e gender gap, e ci fosse nel ruolo di Marketing Manager Intimate Hygiene di Essity, cui appartiene il brand Nuvenia (main supporter dell’evento) –  molte persone presenti si sono rese conto che stavano ascoltando qualcosa che non siamo abituati a sentirci dire. Ed è una strana omissione, a pensarci bene.

Anche nei discorsi più evoluti sulle mestruazioni, quelli in cui si affrontano macro temi social come il period gap e la period poverty, la mestrusomnia, l’healthy gap e persino le mestruazioni delle persone trans o, appunto, l’educazione mestruale, non si parla mai di quel bambino di un anno o due che vede l’assorbente sporco e chiede cos’è quel sangue che solo sangue non è. E neppure del fatto che, pare non poche persone, quell’assorbente macchiato durante l’infanzia non l’abbiamo mai visto, o lo abbiano colto quasi per caso, in un gesto furtivo della madre che già lo aveva ripiegato e sottratto alla vista.

Per questo, ci è sembrato utile tornare sul tema e impiegare la disponibilità e la professionalità di Marabini per superare l’ennesimo bias in termini di narrazione e rappresentazione delle mestruazioni. Ne è nata l’intervista che segue.

Dopo avere ascoltato il suo aneddoto, ho fatto un mini indagine senza alcun valore statistico tra una trentina di persone che conosco, che vanno dai 25 ai 50 anni circa. Un campione peraltro scarsamente rappresentativo, visto che si tratta di amici e/o colleghi per lo più provenienti da ambienti di cultura e reddito medio-alti. In ogni caso: la maggior parte degli adulti maschi dice di non aver mai visto un solo assorbente sporco della loro madre. Alcuni interlocutori e alcune interlocutrici hanno precisato che, pur avendo avuto nell’infanzia ‘libero accesso’ al bagno in concomitanza con i genitori, erano esplicitamente banditi e bandite durante i giorni delle mestruazioni o, più spesso, la persona mestruante (nonna, mamma, zia, sorella, altro…) faceva in modo di nascondere l’assorbente. L’esperienza della vista delle mestruazioni durante l’infanzia, secondo il mio mini sondaggio, sembra riservata più che altro alle sole femmine, chi prima e chi dopo, e sempre in ottica educativa, intesa come volontà di preparare la piccola a quando toccherà pure a lei. Non è strana questa paura di esporre i bambini al sangue mestruale?

Mi sorprende. Non ho mai vissuto le mestruazioni con pudore rispetto ai miei figli. Posso aver avuto altri bias, ma non questo. Ho trovato anzi naturale non nascondere loro nulla, così come mi sono sempre parsi naturali la curiosità e anche la preoccupazione iniziale alla vista del sangue. Non può che essere così: le mestruazioni sono un evento fisiologico. A seconda delle età, sono mutate le spiegazioni o le occasioni per parlare, per esempio, di come nascono i bambini e, quindi, di cosa succede a quell’ovulo quando non viene fecondato.

Mio figlio, che ora a 7 anni e mezzo, ha sempre assistito a cambi assorbenti, etc. In alcuni casi ha fatto domande, in altre no. C’è in lui, come in tutti noi, una fascinazione e un timore del sangue, ma mi piace l’idea che cresca con cognizione di causa sul tema, e che non si trovi a pensare che le mestruazioni e i temi affini non lo riguardano. Eppure quando riferisco tra conoscenti alcune domande di mio figlio alla vista delle mie mestruazioni, mi capita spesso di cogliere disagio e il dubbio che un bambino di pochi anni non dovrebbe essere messo di fronte al sangue mestruale.

Che il sangue mestruale possa fare impressione a un bambino o generare domande è ovvio, per i motivi già accennati. Ma, facendo riferimento alla mia esperienza, non è certo una cosa che li abbia impressionati, né un trauma. La normalizzazione del ciclo mestruale è passata anche per l’abitudine di chiedere sin da piccolo a mio figlio, per esempio, di andare a prendermi un assorbente, quando lo dimenticavo in una borsa o in un altro bagno. E credo sia molto importante, affinché possa avere oggi o domani la stessa naturalezza nei confronti di un’amica, di una collega o di una compagna. Trovo molto traumatiche invece le esperienze di menarca che ci vengono raccontate spesso da alcune ragazze quando andiamo nelle scuole: mi sorprende che tutte ricordino con una dose di disagio la loro prima mestruazione, e che molte di loro raccontino cose tipo: “Ho avuto paura di morire dissanguata”.

Abbiamo paura di esporre i bambini al sangue mestruale. Eppure essi vengono esposti sin da piccoli a scene di violenza grondanti sangue, vero o finto, in continuazione. Parlo di tg, film, tv, videogiochi, etc. Eppure dovrebbe farci più paura quel tipo di sangue?

Che invece troppo spesso è normalizzato, con tutto il corredo di violenza che ne deriva. Questo nascondere le mestruazioni, come facevamo con gli assorbenti nelle maniche a scuola e ancora oggi molte ragazze fanno, ha a che fare con il nascondere sotto il tappeto alcune cose che riguardano le donne e le persone con mestruazioni. L’idea che sia una sfera privata che si manifesta in una maniera stereotipata all’esterno, vedi il cliché della donna mestruata isterica, è una cosa che mi fa rabbia, perché è una narrazione che delegittima le reazioni di dissenso delle donne e, al tempo stesso, decolpevolizza l’interlocutore.
Lo stereotipo è talmente diffuso che molte donne anche emancipate lo hanno assunto come reale. Da questo punto di vista, continuiamo a dare molto credito alle donne che ‘sclerano’ durante le mestruazioni, e poco a chi – artiste, atlete e scienziate, per esempio – ci dice che, spesso, la mestruazione corrisponde a un momento di maggiore creatività o performance fisica e intellettuale. Da questo punto di vista, anche lo ‘sclero’ da mestruo sembra più una maggiore assertività, che però non piace molto in una società che vuole le donne gentili e carine, quando non docili e remissive.

Perché le mestruazioni e le tematiche a esse legate, e che hanno a che vedere con il gender gap, non sono solo “roba da donne”? Possiamo provare a chiarirlo una volta per tutte?

Sembra che gli uomini non se ne vogliano rendere conto, ed è un tema su cui condivido la frustrazione di molte donne. Mestruazioni vuol dire intimità, procreazione, contraccezione, sessualità… Le mestruazioni riguardano la salute riproduttiva di tutte e di tutti: non sono solo una cosa da femmine come ci hanno detto a lungo, e ancora qualcuno vuole farci credere.
D’altro canto, gli uomini sembrano non interessarsene, ma perché alla fine quello del controllo riproduttivo è un tema di potere che interessa loro fin troppo e che non vogliono perdere. Mi sembra che gli uomini siano molto a disagio sia di fronte alla richiesta di autodeterminazione delle donne, da una parte, sia di fronte a una responsabilizzazione degli uomini sui temi inerenti le mestruazioni.
C’è un filo neppure troppo sottile che collega questa volontà di lavarsene le mani con il potere e la discriminazione per cui succede che, mentre a scuola le donne sono sempre più brave e più preparate, poi nel mondo del lavoro sono le segretarie di qualche uomo illustre, quelle che lasciano il lavoro dopo il primo o il secondo  figlio, o se arriva una pandemia.

Durante l’anno scolastico, fate molta attività divulgativa nelle scuole. Che ruolo ha un brand come Nuvenia nel tema dell’educazione?

Per noi fare educazione significa fare educazione mestruale e, quindi, dare spazio a persone ed esperte o esperti nei temi della sessualità, della sociologia, della psicologia. Significa usare le proprie risorse per fare da megafono a chi ha una competenza scientifica e per parlare alle nuove generazioni. Posso confermare che è un’attività necessaria: parlare con ragazzi e ragazze ci conferma che in molte case non si parla di mestruazioni, che per molte restano un evento traumatizzante.
L’educazione mestruale e sessuale, del resto, è un argomento difficile da portare nelle scuole. Molti genitori sono terrorizzati dall’idea che si tratti di un incitamento al sesso; invece si tratta proprio di parlare di consenso, emozioni, gestione dell’imbarazzo, informare su come funziona il nostro corpo, sull’esistenza dei consultori.
Laddove manca un’educazione sessuale, si diffonde un’anti-educazione sessuale, fatta di stereotipi, pornografia, cultura machista… Eppure, i genitori hanno più paura dell’educazione che della diseducazione sessuale.

Le chiedo ancora, rispetto stavolta al tema della rappresentazione, qual è il ruolo di un brand come Nuvenia.

Il ruolo è proprio quello di normalizzazione e rappresentazione della realtà.
Campagne come Blood Normal hanno mostrato per la prima volta un liquido rosso, non viola, non blu. Viva la Vulva ha raccontato la differenza dei nostri corpi, in modo autentico, mai volgare, intelligente. Il tabù, la cosa di cui non si può parlare, non è mai qualcosa di per sé volgare o sporca, ma una realtà che va raccontata con i dovuti modi e sensibilità, per essere strappata all’ignoranza e alla vergogna.

Eppure non siete stati esenti da critiche rispetto ad alcune campagne. In alcuni casi addirittura censurate. 

Purtroppo sì, siamo stati censurati sia nel caso di Blood Normal, sia nel caso di Viva la vulva. La campagna Mestrusomonia, sulle ore di sonno che perdiamo a causa delle mestruazioni, è stata bannata dalla Rai e mandata su altre tv solo in fascia protetta. La censura non è cosa da poco: vuol dire “non ti mando in televisione”, “non diffondo il tuo messaggio”. La motivazione del Comitato di Sorveglianza Rai? Il contenuto di queste campagne è stato ritenuto offensivo.
Chiaramente non è offensivo, è semplicemente autentico. Dirompente proprio perché autentico. È stato scioccante subire la censura su campagne che fuori dall’Italia sono state ritenute geniali, educative e pluripremiate. Ma questo non può che motivarci, ulteriormente.

La metto su una sedia scomoda: cosa risponde a chi vede nelle multinazionali come Essity, e in particolare in un brand come Nuvenia, dei generatori di pinkwashing, e quindi di finte forme di attivismo per mero tornaconto e business?

Rispondo che non conoscono la realtà di Essity: intendo proprio come azienda e cultura aziendale. Siamo un’azienda svedese e la cultura svedese è molto diversa di quella italiana. Mi rendo conto che per chi è abituato a confrontarsi con la gestione del lavoro italiana possa vedere nei messaggi associati a Nuvenia pinkwashing, ma la realtà aziendale che vivo ogni giorno è invece molto aderente e da molto prima che fosse di moda ai valori che veicoliamo. Sia a livello di numero di donne, non solo impiegate ma in ruoli di leadership, sia in termini di welfare e work-life balance, sia per quanto riguarda la maternità e la mentalità family first. Ho fatto due figli: non solo non è stato di intralcio alla mia carriera, ma non mi è mai stato fatto pesare e non ho mai avuto problemi a dare la priorità alla famiglia, quando per i più svariati motivi, ho dovuto scegliere.

La metto su un’altra sedia scomoda e nomino l’altro elefante nella stanza: la sostenibilità. Oggi tutti i prodotti usa e getta sono oggetto di interrogativi, critiche, boicottaggi e impongono una riflessione, per i motivi che sappiamo. Il tema, oltre che politico, è etico e, a ogni evidenza, inderogabile.

Rispondo volentieri, e mi sembra un’occasione per fare chiarezza. Noi abbiamo degli obiettivi chiari e quantitativi su tutti i brand. Nel dettaglio: dobbiamo ridurre del 50% l’emissioni di carbonio entro il 2030 (rispetto al 1998), e arrivare all’impatto zero entro il 2050. La base di partenza per noi non è stata il 2015, né il 2020, né i Fridays for Future: abbiamo studi e dati che risalgono ai primi anni ’90. Di nuovo, l’essere un’azienda svedese legata alla salute delle foreste per la carta, la cellulosa, etc, ha fatto sì che il discorso della sostenibilità fosse preso in seria considerazione in tempi non sospetti.
Infatti, ad oggi tutte le fabbriche sono alimentate esclusivamente con energia da fonti rinnovabili, lavoriamo tantissimo a livello di packaging e abbiamo lanciato le mutandine lavabili che, al momento, sono un po’ l’unica vera alternativa, essendo che mancano, almeno in Italia, disposizioni nazionali per il compostaggio di assorbenti usati, e che per la presenza di sangue rientrano quindi nei rifiuti speciali.

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