Esiste la povertà mestruale: ha cause precise ed è ora di porvi fine!

Non solo nei Paesi del Terzo Mondo e in via di sviluppo, ma anche in quelli più ricchi e agiati, la “period poverty” si manifesta mediante la difficoltà economica relativa all’acquisto dei prodotti igienici utili alle proprie mestruazioni e, spesso, troppo cari. A essa si affianca, poi, nei casi più critici, l’assenza di bagni privati, di spazi per cambiarsi e prendersi cura di sé, di salviette e asciugamani e di tutto l’occorrente correlato al ciclo mestruale.

In base ai provvedimenti inseriti nella cornice della prossima legge di bilancio del 2022, l’Iva sugli assorbenti femminili dovrebbe essere ridotta, in Italia, dal 22% al 10%. Una manovra importante, cui si guarda con fiducia da diversi anni – nonostante siano stati molteplici i tentativi falliti: si pensi alla prima proposta di Pippo Civati avanzata nel 2016 e vergognosamente respinta – ma che, in ogni caso, non cambierà drasticamente la condizione di profonda iniquità correlata a questo tipo di tassazione.

Al momento attuale, infatti, gli assorbenti non sono ancora considerati beni di prima necessità, bensì prodotti “ordinari”, e non godono, dunque, dell’imposta al 4% di cui, invece, dovrebbero essere investiti in un paese che si profili come civile e rispettoso delle donne e delle loro necessità.

Il problema, però, non investe solo l’Italia, ma tutto il mondo, e si concretizza nella difficoltà ad accedere a prodotti igienici di cui si abbisogna per prendersi cura di sé nel corso delle mestruazioni.

Questa condizione ha un nome: si chiama povertà mestruale, e colpisce trasversalmente tutti i Paesi. Vediamo di che cosa si tratta.

Che cos’è la povertà mestruale?

Per povertà mestruale (o “period poverty”, in inglese) si intende l’impossibilità pecuniaria riscontrata da alcune persone con le mestruazioni nel procedere con l’acquisto di prodotti igienici, assorbenti e tamponi utili al proprio flusso mestruale.

Alla base della difficoltà vi è, quindi, una scarsa o assente autonomia economica, che negherebbe l’accesso a servizi di primaria utilità. Con conseguenze spesso disastrose: per far fronte alla necessità di occuparsi delle proprie mestruazioni, infatti, le donne si ritrovano, così, costrette a usare mezzi alternativi e “di fortuna”, come carta igienica, stracci, fogli di giornali, fango o terra, andando sovente incontro a infezioni e, soprattutto, alimentando lo stigma connesso, più o meno in tutte le parti del mondo, alle mestruazioni stesse.

Con l’espressione povertà sessuale, appunto, non ci si riferisce solo alle criticità economiche, ma anche alle condizioni in cui molte persone devono gestire il proprio flusso mestruale, con accessi limitati all’acqua pulita, a servizi igienici e a spazi per cambiarsi. Senza dimenticare, poi, il senso di imbarazzo e di vergogna che le accompagna, con la conseguente problematicità nel trattare adeguatamente il proprio corpo nel corso delle mestruazioni.

Nell’Africa subsahariana, per esempio, una ragazza su dieci, come riporta Il Sole 24 ore, è costretta a saltare la scuola per la mancata fruizione di prodotti mestruali o a causa dell’assenza di bagni privati e sicuri all’interno delle strutture educative. Le conseguenze sono evidenti: mancando assorbenti, asciugamani e toilette, le ragazze si ritrovano spesso obbligate a saltare le lezioni per la vergogna, con il rischio, sul lungo termine, di abbandonare del tutto la scuola – e andare incontro a matrimoni precoci.

O, ancora, si pensi all’antica pratica diffusa in Nepal del Chhaupadi, secondo la quale le ragazze e le donne erano costrette a dormire fuori casa se con il ciclo. Sebbene la tradizione sia stata eliminata nel 2017, nel 2018 si è ancora registrata la morte di una ragazza legata a questo motivo. Sintomo che, nonostante la legge, lo stigma è ancora pulsante.

Le cause della povertà mestruale

Come già esplicato nella sua espressione, la causa principale della “period poverty” è la povertà in cui versano le donne e le persone che ne sono colpite. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli assorbenti hanno un prezzo elevato, e sono, così, considerati beni di cui si può eludere la spesa, a vantaggio di prodotti alimentari e affini – soprattutto in questo momento di pandemia, in cui le priorità, per molte persone, hanno subito cambiamenti sostanziali.

Come ha raccontato la scozzese Kerry Wright al The Guardian nel 2017:

Se si tratta di scegliere tra elettricità, snack per bambini o assorbenti igienici… Anche quelle 2 sterline, alla fine del mese, sono importanti. Come fai a dire a qualcuno che non hai 2 sterline per i tamponi? Come lo verbalizzi?

Una situazione critica, delicata e diffusa non solo nei Paesi del Terzo Mondo o in via di sviluppo – ossia quelli più vessati dalla povertà economica –, ma anche nelle nazioni agiate e “benestanti”. Lo dimostra la ricerca condotta da Plan International UK nel 2016, in base alla quale

nell’Unione Europea la povertà legata al ciclo mestruale è un problema costante, in relazione al quale si stima che una ragazza su dieci non possa permettersi prodotti sanitari.

Su 100 ragazze tra i 14 e i 21 anni, appunto, il 15% ha dichiarato di non riuscire ad acquistare gli assorbenti, il 14% ha ammesso di averli chiesti alle amiche perché troppo cari mentre una su dieci ha confessato di fare ricorso ad “assorbenti fai da te” e una su cinque ha preferito prodotti sanitari di scarsa qualità, ma più convenienti a livello economico. Il 48%, inoltre, ha affermato di provare imbarazzo per le proprie mestruazioni, così come il 71% lo avverte nel momento in cui compra prodotti igienici.

A costituire le fondamenta della povertà mestruale vi è, dunque, una confluenza di fattori: da un lato, i prezzi non ancora accessibili ma “di lusso”, con tassazioni elevate e non commisurate a quelli che sono, a tutti gli effetti, beni essenziali; dall’altro, lo stigma che permea la società occidentale e, in generale, quella mondiale, alimentando il tabù delle mestruazioni sia per chi, le mestruazioni, le possiede, sia per chi delibera su di esse.

Come porre fine alla povertà mestruale

Tornando al caso italiano, un tentativo per abbattere la tampon tax e consentire un maggiore accesso agli assorbenti femminili è stato rappresentato dalla diminuzione dell’aliquota al 5% per quanto riguarda assorbenti biodegradabili e coppette mestruali. Una scelta che, naturalmente, non è ancora sufficiente, perché spesso questi ultimi sono proprio i prodotti più cari (e, quindi, ancora tali, nonostante la tassazione ridotta) e, inoltre, non rappresentano per tutte le donne la situazione più comoda o adeguata ai propri gusti e bisogni personali.

Per abbattere la povertà mestruale, quindi, è necessario intervenire su più aspetti. In primo luogo, una riduzione globale, sistematica e capillare della tassazione, affinché tutte le donne di tutto il mondo possano permettersi l’acquisto dei prodotti igienici con cui si sentono più a proprio agio nella gestione delle mestruazioni.

A essa segue, poi, un’operazione di sensibilizzazione ed educazione rivolta alla popolazione, che sia in grado di elidere il tabù e lo stigma connessi al ciclo mestruale e aiuti le donne che ne sono vittime a liberalizzare la discussione e a non avere timore a richiedere trattamenti più equi e rispettosi della dignità individuale.

Cui si aggiunge, inoltre, la necessità di diffondere detergenti, asciugamani e assorbenti in tutte le strutture in cui ve ne è particolare bisogno: dalle scuole ai posti di lavoro, dai ristoranti ai bagni pubblici, dai villaggi alle zone più povere del globo.

E, infine, come suggerisce anche Actionaid, tra le possibili soluzioni alla period poverty vi può essere l’adozione a distanza: un’alternativa che può consentire a tutte le ragazze del mondo di non sentirsi più in imbarazzo e di poter condurre una vita degna di questo nome. Senza più vergogne e paure per ciò che è profondamente naturale e, soprattutto, interessa l’esistenza di ogni donna.

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