Ruoli di genere e stereotipi nella storia

I pregiudizi e le discriminazioni di genere continuano a dominare la nostra società e a imporre modi di comportarsi, vestirsi e agire che non sempre collimano con la propria identità. Ma quali sono i ruoli di genere e come si possono superare?

«Guidi bene per essere una donna!», «Non piangere», «Corri come una femminuccia». Fin dai nostri primi anni di vita, siamo immersi in discorsi pregni di stereotipi di genere e indicazioni su come “dovremmo” comportarci in società in base al nostro sesso biologico.

I ruoli di genere, infatti, plasmano profondamente la nostra vita, divenendo spesso causa delle sofferenze che accompagnano molti di noi nella vita adolescenziale, prima, e adulta, dopo. Una tendenza a incasellare, definire ed etichettare che risulta trasversale e, soprattutto, presente in tutti i tipi di società e comunità, con differenze più o meno lievi in base alla nazione presa in oggetto e alle epoche storiche.

Proprio la pervasività dei ruoli di genere rende, dunque, necessario intervenire affinché questi cessino di condizionare la vita degli individui e a inficiarne la spontaneità. È un processo lungo, ma, con l’impegno di tutti, non impossibile da portare a termine.

Ma quali e che cosa sono, esattamente, i ruoli di genere? Vediamone i dettagli.

Che cos’è il ruolo di genere?

Con l’espressione “ruoli di genere” ci si riferisce a quell’insieme di credenze, norme e stereotipi associati culturalmente e socialmente al maschile e al femminile. Nello specifico, quindi, si tratta di comportamenti, attitudini e inclinazioni che si reputano essere “propri” di un determinato genere, a prescindere dall’identità e del carattere della persona in esame.

In questo senso, i ruoli di genere possono, così, essere giudicati alla stregua di una “aspettativa” della società nei confronti dei membri che la compongono, rivolta al modo in cui essi dovrebbero parlare, agire, vestirsi e comportarsi sulla base, appunto, del genere affidato alla nascita a seconda del sesso biologico.

Ne consegue che i ruoli di genere siano strettamente binari – maschio, da un lato, e femmina, dall’altro – e non prendano, perciò, in considerazione la ricca e variegata gamma di identità di genere esistenti: un approccio piuttosto riduzionista, che mira a rendere immediatamente riconoscibili le persone che ci circondano avvalendosi di pregiudizi tramandati nel corso del tempo ma totalmente infondati e, perlopiù, offensivi.

Tuttavia, è bene ricordare un dettaglio, rimarcato dall’autrice e teorica di genere Kate Bornstein sul Time:

Se c’è un vantaggio per il futuro del genere, questo sarà capire che esso è relativo al contesto. Atteggiamenti geografici, religiosi e familiari sono tutti fattori contestuali, che possono alterare la propria percezione del genere come determinante dell’identità. Finché manteniamo l’idea che il genere sia una costante, continueremo a fare le cose per mantenere la bugia. Ma il fatto è che il genere non sta in piedi da solo ed è sempre relativo a qualcosa. Quindi, il trucco per spogliare queste norme del loro potere dannoso è deriderle ed esporle sia per la loro fragilità che per la loro rigidità.

Ossia: i ruoli di genere si costruiscono e veicolano nel tessuto sociale, ma, modificando quest’ultimo, è possibile cambiare anche i ruoli di genere stessi. Basta solo rendersene conto e agire insieme.

Stereotipi e ruoli di genere femminili

Ma quali sono i ruoli di genere e, contestualmente, gli stereotipi più diffusi? Per quanto riguarda il comparto “femminile”, il più inflazionato è sicuramente quello che concerne tutto ciò che afferisce all’ambito della cura.

Fin da tempi immemori, infatti, è tesi comune che le donne siano maggiormente portate e “votate” al ruolo di caregiver (ossia chi si occupa di una persona non autosufficiente) e, in generale, al ruolo di “angeli del focolare”, uniche e sole detentrici del benessere domestico e della prole.

Ne deriva, dunque, che le donne non debbano essere competitive in ambito lavorativo, e che la loro principale occupazione – e preoccupazione – debba essere meramente quella familiare. Lo dimostrano con preoccupante evidenza i dati emersi nel corso della pandemia, la quale ha condotto a una acuita discrepanza professionale tra uomini e donne e a un abbandono ingente da parte di queste ultime delle proprie posizioni, a favore, ovviamente, della famiglia.

Al contempo, alle donne è richiesto anche di essere gentili, accomodanti, accoglienti, “materne”, passive, evitando, così, di adottare comportamenti assertivi, aggressivi e dominanti e di essere “troppo” determinate e ambiziose – proprio “come gli uomini”. Devono, inoltre, essere aggraziate, educate e di bell’aspetto, e devono prediligere professioni inerenti – come accennato – all’assistenza, all’arte (ballerine et similia), alla creatività e, in generale, alla cultura (l’insegnante, la bidella, la cuoca e così via).

E guai ai colori: la sfumatura femminile per eccellenza è – ancora oggi, incredibile a dirsi – quella del rosa, tono dell’amore, del romanticismo e dell’affetto – di cui ci si aspetta che le donne siano fautrici indiscusse. Romanticismo che, per molti, si declina ancora in termini di galanteria, con cene rigorosamente pagate dagli uomini, regali, sempre ricevuti e quasi mai donati, e “primi passi” e “iniziative” che non devono mai provenire dalle donne, ma sempre e solo dai loro partner maschili (sarebbe disdicevole il contrario).

Senza dimenticare, infine, la passione per gli sport “maschili” (calcio e affini) e le materie scientifiche (STEM), predilezione indubbia solo degli uomini, e mai delle donne – considerate “strane” ed “eccentriche” o, peggio, giudicate in base a volgari insinuazioni circa il proprio orientamento sessuale («Se giochi a calcio sei un maschiaccio: sei lesbica?»).

Stereotipi e ruoli di genere maschili

Come nel caso delle donne, anche per gli uomini i pregiudizi e i ruoli di genere a essi associati sono così tanti che la lista risulterebbe infinita. I più accreditati, tuttavia, vogliono il maschio aggressivo, forte, muscoloso, macho ed esigente.

Gli uomini, da questo punto di vista, dovrebbero essere – senza distinzione – insensibili, sessualmente esperti, mondani, amanti delle belle donne e delle belle macchine, ambiziosi e curati fisicamente, ma non troppo – perché, altrimenti, sarebbero troppo “femminili”.

I loro campi lavorativi riguardano la finanza, la fabbrica, i mestieri “pesanti”, cui si affiancano, naturalmente, anche i ruoli apicali, rigorosamente maschili, dalla medicina all’ingegneria, dalla politica alla direzione aziendale.

La loro vita professionale è, dunque, troppo impegnata per potersi occupare delle incombenze domestiche e, di conseguenza, dei propri figli: non sarebbe, infatti, “opportuno” porre in secondo piano il lavoro rispetto alla famiglia, perché, come si è visto, quest’ultima è mera prerogativa delle donne.

Il “vero uomo” deve, poi, essere sempre sessualmente voglioso, etero, cisgender e, soprattutto, amare il calcio, non piangere e non mostrare debolezze di alcun tipo, essere sempre rassicurante e protettivo nei confronti delle donne ed essere pronti a mostrare la propria rabbia e gelosia se un altro uomo si avvicina troppo alle “proprie” fidanzate – dove con “proprie” ci si riferisce al concetto di proprietà di un oggetto, e non di un rapporto tra esseri umani alla pari.

Qual è il rischio? Ha un nome preciso: mascolinità tossica. In questo caso, gli stereotipi associati al maschile sono così esacerbati da condurre a un’esasperata manifestazione degli stessi, il mancato rispetto dei quali si può tramutare in episodi di bullismo, marginalizzazione o, nei casi peggiori, aggressione fisica e violenze.

Ruolo di genere e identità di genere

Sebbene non siano la stessa cosa, i ruoli di genere sono intimamente connessi alle identità di genere. Prima, però, è opportuno specificare anche il secondo termine del discorso.

Con identità di genere si intende, infatti, la percezione che ciascuna persona ha di sé. Lo spettro delle identità è amplissimo e in continua evoluzione e (ri)scoperta: un individuo può essere cisgender, transgender, non binario, agender, queer o gender fluid. Può, cioè, avere una percezione di sé che corrisponde al proprio sesso biologico (e, quindi, al genere affidato alla nascita), che si identifica con quello opposto, che si riconosce in un genere intermedio tra il femminile e il maschile, che non si associa a nessun genere o che, in generale, rifiuta tutti gli stereotipi a esso connessi.

Le identità sono molteplici, e possono, inoltre, mutare nel tempo e anche nell’arco di vita di una medesima persona. Per questo motivo, per molti individui il binarismo imposto dai ruoli di genere risulta offensivo e deleterio per il proprio benessere psicofisico, perché, appunto, impone una serie di atteggiamenti, gusti e modi di stare al mondo che non sempre collimano con la percezione che si ha di sé.

Ed è proprio per questo motivo che, dunque, appare ancora necessario e fondamentale abbattere gli stereotipi di genere e le discriminazioni a essi collegate: affinché ognuno possa essere libero di esprimersi e identificarsi con ciò che gli garantisce il maggior agio, senza avere il timore di incorrere in violenze, vessazioni o insulti perché “non conforme” a ciò che è stato arbitrariamente deciso da altri.

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