Il senso di identità ha a che fare con una serie di caratteristiche che ci rendono identificabili, ma anche con il senso di appartenenza alla società che ci circonda, ma se è vero questo è vero anche il suo contrario, l’identità può essere tale in opposizione all’appartenenza a un determinato gruppo.

Ho voluto fare un giro in po’ largo per iniziare a parlare di disforia di genere, ma credo sia doveroso ribadire qualche concetto prima.

In una società occidentale come quella in cui viviamo, la narrazione dell’identità di genere è limitata e ostracizza tutto ciò che non è conforme ai due generi che sono stati posizionati ai poli opposti, tutto è diviso in maschile e femminile, rette parallele che non s’incontrano mai, e così fin da subito ci spiegano che la nostra identità di genere deve combaciare con il sesso attribuitoci alla nascita, un concetto che viene dato per fisso, insindacabile, rigido ed immutabile, ma così non è.

Questa è una visione colonialistica del genere, infatti in moltissime civiltà del passato, che poi son state colonizzate, non era raro vedere persone che vivevano attraverso i generi, era anzi molto ricorrente che queste persone fossero ritenute persone di conoscenza, messe in posizioni di rilievo, avevano infatti a che fare con la religione o la medicina.

Con l’arrivo della cultura occidentale colonialista si è voluto cancellare tutto questo e sono stati fissati esclusivamente due generi perseguitando chiunque non si riconoscesse in questa visione dicotomica.

Tornando ora al concetto d’identità, è facile quindi capire come la propria identità si possa rispecchiare e definire nella non appartenenza a un gruppo, a una comunità o a tutto il sistema di divisione e aggregazione della suddetta.

Non bisogna immaginare la transizione di genere come il voler andare da un punto A ad un punto B, come abbiamo visto, seppur brevemente, i generi non sono due, ma considerato lo spettro del genere, non c’è dunque solo bianco o nero, ma un’infinità scala di grigi che li collega.

La disforia di genere è il senso di non appartenenza al genere che ci è stato assegnato, è il non riconoscere il proprio corpo poiché questo ci lega a un’idea di genere preconfezionata, è quella sensazione di insofferenza, di repulsione, di disagio che può focalizzarsi su parti precise del corpo o in maniera diffusa rispetto al proprio corpo.

È fondamentale però capire che la disforia di genere non è uguale per tutte le persone trans, ne varia l’intensità, la durata, può essere vissuta rispetto a parti differenti del proprio corpo e no, non per forza è focalizzata sui genitali.

Non tutte le persone trans sono intenzionate a intraprendere un percorso per la riassegnazione del genere o a raggiungere uno standard di femminilità o maschilità per come lo conosciamo, la disforia è qualcosa di estremamente personale, può essere costante e creare un malessere continuo o presentarsi solo dopo situazioni trigger o pensieri intrusivi, può tranquillamente anche essere vissuta a momenti alterni, oscillando tra disforia di genere ed euforia di genere, che rappresenta esattamente il sentimento opposto, ovvero riconoscersi nel genere a cui apparteniamo, a prescindere dal sesso biologico.

È essenziale dire anche che la disforia parte da noi e riguarda noi, non importa quanto dall’esterno persone amiche o parenti possano tentare di alleviare la cosa o rincuorarci in qualche modo, la disforia sta nei nostri occhi, per questo è fondamentale essere sostenutə da un percorso di tipo psicologico o psicoterapeutico – sebbene l’accessibilità a questi servizi per le persone trans spesso sia davvero complesso – perché può davvero aiutarci a capire molto della percezione che abbiamo di noi, nel nostro corpo e della nostra identità, ma attenzione a pensare che sia un disturbo mentale, perché non lo è.

La depatologizzazione da parte del mondo psichiatrico ha infatti rimosso i processi di transizione di genere dalla categoria di disturbo mentale nei manuali diagnostici ICD e DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e questo insieme a una crescente consapevolezza da parte delle persone trans e a una maggiore – seppur insoddisfacente- rappresentazione del mondo trans nei media, sta contribuendo a eliminare lo stigma sociale che ci attanaglia, ma spoiler: c’è ancora moltissimo lavoro da fare a livello socioculturale.

La disforia può presentarsi fin dalla giovanissima età ed è per questo che sarebbe opportuno formare le famiglie, ma non solo, anche chi si occupa della crescita e dell’educazione di queste giovani persone, per questo quando si parla di transfobia bisogna assolutamente ricordare che è un problema sistemico e sistematico, che parte da una mancanza da parte dello stato nel fare della corretta informazione e che fa sì che le persone trans siano ancora viste come qualcosa di “contronatura” e soprattutto che questo senso d’inadeguatezza rispetto alla società si trasformi spesso in transfobia interiorizzata che ostacola le persone trans e disforiche nel riconoscersi nella propria identità in quanto variazione dai generi imposti.

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