Immaginate di aver subito uno stupro. Immaginate che per la legge questo non sia un crimine contro di voi, ma contro la morale pubblica. Infine, immaginate di essere costrette a sposare il vostro stupratore, così che il suo reato sia cancellato.

Se vi sembra uno scenario da incubo o la trama di un romanzo distopico, sappiate che la realtà è ancora più inquietante: questa, infatti, era l’Italia di appena 40 anni fa, prima che il matrimonio riparatore venisse cancellato dal Codice Penale.

La storia del matrimonio riparatore

L’articolo 544 del Codice Penale dell’Italia repubblicana – che regolava appunto il cosiddetto matrimonio riparatore – altro non era che un’eredita del ventennio fascista. Il Codice Rocco, redatto durante la dittatura mussoliniana, rifletteva la visione patriarcale e sessista del fascismo, che voleva l’uomo padre e padrone e la donna sottomessa.

Per questo, le leggi nate durante questo periodo e arrivate senza soluzione di continuità nel dopoguerra equiparavano la donna quasi a un oggetto, a una proprietà maschile, in particolare nei casi dei cosiddetti “delitti contro la moralità pubblica”, come era ad esempio la violenza sessuale.

In questi casi, infatti, a essere tutelata non era vittima, quanto piuttosto il buon costume sociale, che doveva essere salvaguardato anche a costo della libertà di scelta delle donne che avevano subito violenza.

Matrimonio riparatore: quando era previsto

Il matrimonio riparatore ha rappresentato, fino alla sua abolizione nel 1981, una via d’uscita per gli stupratori: bastava, infatti, che il colpevole si dichiarasse intenzionato a sposare la vittima, pagare il matrimonio  addossandosi altresì tutte le spese della cerimonia e senza pretendere alcuna dote – anche se minorenne – perché il reato decadesse:

Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

La violenza sessuale e i suoi effetti penali, quindi, si estinguevano completamente nel momento in cui vittima e carnefice contraevano matrimonio, anche in caso di una eventuale condanna. Condanna che, in ogni caso, era spesso difficile da ottenere: la violenza carnale, infatti, veniva riconosciuta come tale solo in presenza di una chiara, profonda e dimostrabile penetrazione, mentre più spesso il reato veniva declassato a un semplice atto di libidine.

A spingere per il matrimonio riparatore, però, non erano solo lo stupratore e la sua famiglia, anzi. Le pressioni più forti venivano spesso dalla famiglia della vittima, che la voleva sposa di chi l’aveva violata per poter ripristinare il suo onore perduto. Ad avallare questa concezione e questa prassi, era però anche la Chiesa, che alimentava la mentalità per cui nessun uomo avrebbe più potuto sposare una donna ormai “disonorata”, che “qualcuno aveva già usato”.

La storia di Franca Viola

La prima a ribellarsi a questa legge ingiusta, e a porre le basi per la sua abolizione, fu la diciottenne Franca Viola. Cresciuta in un paesino della provincia trapanese, il il 26 dicembre 1965 era stata rapita, segregata e stuprata per otto giorni dall’ex fidanzato Filippo Melodia, prima in un casolare di campagna e poi a casa della sorella di lui.

Invece di ricorrere al matrimonio riparatore – o al delitto d’onore, lavando con il sangue l’offesa e uccidendo lo stupratore – la famiglia di Franca Viola si rivolge alla giustizia: Melodia finisce in carcere, sicuro di tornare un uomo libero e impunito al momento delle nozze.

Nozze che, però, non ci saranno: Franca rifiuta di sposare il suo stupratore, appoggiata dalla famiglia. Dopo un lungo e difficile processo che, come troppo spesso accade nei casi di stupro, ha messo sul banco degli imputati la vittima piuttosto che lo stupratore, Melodia è stato condannato a 11 anni per violenza carnale, la violenza privata, le lesioni, le minacce e il ratto a scopo di matrimonio. Franca, invece, si è felicemente sposata pochi anni dopo.

Quello di Franca Viola è stato un gesto di coraggio che, sfidando le tradizioni consolidate, ha dato inizio a un nuovo corso. Essendo diventato un caso di rilevanza nazionale, infatti, ha aperto la discussione sulla necessità di ripensare la legge: Oronzo Reale, allora ministro della Repubblica, propose l’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore, ma ci sono voluti quasi altri 15 anni perché questo finalmente accadesse.

L’abolizione del matrimonio riparatore

Il 5 settembre 1981, con la legge con la legge n. 442, vengono finalmente abolite due delle leggi più discriminatorie e sessiste dell’ordinamento italiano: il matrimonio riparatore e il delitto d’onore.

Dopo un decennio di successi per l’emancipazione femminile – dal divorzio alla riforma del diritto di famiglia, passando per la legge sull’aborto – arriva quindi una nuova vittoria, anche se incompleta: bisognerà attendere ancora, infatti, perché lo stupro non sia più un delitto contro la morale.

È solo con la legge n. 66 del 15 febbraio 1996, “Norme contro la violenza sessuale“, che per la prima volta si afferma nell’ordinamento giuridico italiano il principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona, che viene forzata nella sua libertà sessuale, e non contro il buon costume.

Il matrimonio riparatore oggi

Sono passati quarant’anni dall’abolizione del matrimonio riparatore e quindici da quando, finalmente, una nuova legge ha regolamentato in maniera diversa la violenza sessuale. Come ci raccontano i tanti, troppi casi di cronaca, però, la situazione per le vittime di stupro e le survivor non è ancora quella che dovrebbe.

Certo, non si è più obbligate a sposare lo stupratore né il leso onore è un’attenuante in caso di omicidio, ma possiamo davvero dire che la giustizia e la cultura siano eque con le donne? O forse, piuttosto, il retaggio patriarcale della nostra società e ancora troppo forte e quando diciamo che maschilismo e cultura dello stupro non esistono più – che sono solo ossessioni delle nazifemministe – stiamo negando la nostra storia più recente e le origini da cui veniamo, che sono ancora molto vivi nella mentalità comune?

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