Se il giudice chiede “Perché non hai tenuto le gambe chiuse?” alla donna stuprata

"Perché non hai tenuto le gambe chiuse?", "Portava le mutandine?", "Le è piaciuto?". L'orrore che le donne stuprate sono costrette a sentirsi chiedere da chi, anziché cercare giustizia, sembra voler trovare per forza una colpa anche nelle vittime.

Il “blame the victim” sembra ormai essere tristemente diventato lo sport (inter)nazionale quando si parla di violenza sulle donne. Anche di fronti ai casi più eclatanti di stupro, infatti, sembra difficile, per molti, ammettere senza remore la certezza della colpa per l’aggressore, o almeno l’univocità della stessa e, in un contorto gioco di poteri, maschilismo e retaggi culturali duri a morire, pare preferirsi sempre la soluzione che, pur di concedere il beneficio del dubbio al carnefice, anche laddove evidentemente non possa esistere, è disposta ad accettare l’idea della condivisione di colpevolezza, della corresponsabilità della vittima.

No, non è un discorso assurdo, e no, non bisogna essere “femministe esasperate” per notare come nella quasi totalità dei processi – giudiziari, a volte, mediatici, quasi sempre – si punti a instillare il sospetto nei confronti della vittima, a screditarne la parola o l’esperienza, a banalizzarne il dolore per far emergere che, da qualche parte, pure lei debba aver sbagliato.

I commenti che serpeggiano, spesso ahinoi proprio da donne in primis, del tutto privi non solo di empatia e solidarietà, ma soprattutto di umanità, le domande dei giudici ai processi per stupro – che, se possibile, è un aspetto ancora più grave – tutto dà tristemente da pensare che le donne non possano aspettarsi mai di essere protette al 100%, neppure di fronte a un’evidenza, a una situazione che è chiara in maniera imbarazzante.

Ma se, come detto, quelle frasi, quelle parole, “Anche tu, che esci vestita così”, “Beh, ci sei andata in camera da letto, che ti aspettavi?”, “Sei uscita da sola con un extracomunitario, è logico che ti stuprasse”, fanno male, e sono un pugno nello stomaco per ogni vittima che si sente improvvisamente catapultata al banco degli imputati, le domande dei magistrati e dei giudici durante i processi pesano ancor di più, perché arrivano da chi dovrebbe essere garante di legalità e invece finisce con il mettersi dalla parte di chi punta il dito verso la donna stuprata.

“Non poteva tenere le gambe chiuse?”

Il giudice Robin Camp (Fonte: CNN)

È quello che una ragazza di appena diciannove anni si è sentita chiedere dal giudice della Corte Federale Canadese Robin Camp, che è stato naturalmente travolto da un’ondata di proteste e rischia di vedersi togliere il posto dalla corte di competenza.

Il caso che ha fatto finire nell’occhio del ciclone Camp è accaduto nel 2014, quando lui era ancora giudice provinciale, ma riportato nel 2016 dalla CNN dopo le indagini che si sono svolte su di lui; il magistrato si trovava di fronte una ragazza stuprata su un lavandino del bagno durante una festa in casa.
Secondo i registri del processo , Camp le ha chiesto perché non avesse “inclinato il bacino” o spinto il sedere verso il lavandino per evitare la penetrazione. Le ha quindi chiesto apertamente perché non avesse potuto tenere “le ginocchia chiuse”.
Riguardo al sesso in generale, e al sesso fra giovani in particolare, il giudice avrebbe aggiunto che

Le giovani donne vogliono fare sesso, specialmente se sono ubriache.

In una parte diversa del processo, avrebbe anche detto

A volte sesso e dolore vanno insieme… Non è necessariamente una brutta cosa.

Camp ha assolto l’uomo accusato del crimine, dicendogli: “Voglio che tu dica ai tuoi amici, ai tuoi amici maschi, che devono essere molto più gentili con le donne. Devono essere molto più pazienti e devono stare molto attenti. Per proteggersi, devono stare molto attenti”.

Adesso, quella sentenza è stata annullata in appello, e un nuovo processo è in previsione a novembre. Camp si è giustificato spiegando di ignorare la legge penale canadese sulla violenza sessuale, essendosi concentrato prevalentemente, durante la carriera, su cause finanziarie ed economiche, ed essendosi trasferito nel paese americano dal Sudafrica alla fine degli anni ’80. Camp ha chiesto scusa alla donna per i suoi commenti, definendoli “maleducati e offensivi”, e ha ripetuto le scuse pubbliche a tutti, ma questo non è stato sufficiente per fargli mantenere il posto, dato che il Canadian Judicial Council lo ha rimosso dal ruolo di giudice, e il Parlamento ha confermato la sospensione, con 19 voti a favore contro i 4 appena che si sono schierati con lui.

Il suo caso, però, come detto, non è unico, purtroppo: molti fatti di cronaca italiani ci hanno ricordato quanto la credibilità femminile di fronte a un racconto di stupro venga messa in dubbio.

“Se fosse rimasta a casa non sarebbe successo nulla”

Fonte: web

Nel 1979 la RAI mandò in onda, per la prima volta, il documentari su un processo per stupro; il caso riguardava Fiorella, una diciottenne, lavoratrice in nero, che fu sequestrata da un conoscente, Rocco Vallone, e da altri 3 uomini, con la scusa di un’offerta di lavoro stabile, per essere poi violentata per un intero pomeriggio. Al momento dell’arresto i quattro confessarono, poi ritrattarono tutto sostenendo, in istruttoria, che il rapporto fosse stato pattuito con la ragazza per un compenso di 200.000 lire.
La vittima rifiutò i due milioni di lire offerti dagli avvocati difensori come risarcimento danni, chiedendo un risarcimento simbolico di 1 lira, ma la verità.

I quattro imputati, condannati a pochi anni di reclusione, furono subito rilasciati in libertà condizionale, ma la cosa orribile è che, durante il processo, gli avvocati difensori chiesero alla vittima dettagli pruriginosi, come se avesse mai avuto prima rapporti carnali con il principale imputato, mentre alla madre di lei chiesero giustificazioni rispetto al fatto che la figlia si fosse incontrata con un uomo che non le aveva presentato. L’avvocato Angelo Palmieri lo disse chiaramente:

Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente.

Tina Lagostena Bassi, che nel processo era avvocato difensore della parte civile, nella sua arringa disse parole impossibili da dimenticare, che testimoniano quanto l’abitudine di cercare la colpa anche nella vittima, nei casi di violenza sessuale, sia tristemente radicata e impregni la società a partire da chi dovrebbe, invece, essere esempio di imparzialità piena e totale.

[…] nessuno di noi avvocati—e qui parlo come avvocato—si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!»
Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. […] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna.

“Lei ha goduto?”

Fonte: web

Ne fece un monologo teatrale, Franca Rame, dello stupro subito a Milano il 9 marzo del 1973, ma anche delle domande che medici, avvocati e poliziotti le rivolsero dopo l’accaduto. La testimonianza della Rame fu talmente forte che quando il monologo fu presentato, nel 1975, molte donne svennero nel sentire quel racconto così brutale e agghiacciante di violenza e ingiustizia.

Ne riportiamo uno stralcio, tratto da un’intervista per Oggi, come abbiamo fatto in questo articolo.

MEDICO Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere, una inconscia soddisfazione?
POLIZIOTTO Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione?
GIUDICE È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?
MEDICO Si è sentita eccitata? Coinvolta?
AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI Si è sentita umida?
GIUDICE Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?
POLIZIOTTO Lei ha goduto?
MEDICO Ha raggiunto l’orgasmo?
AVVOCATO Se sì, quante volte?

“Trova sexy gli uomini in divisa?”

Fonte: web

Le due studentesse americane violentate dai carabinieri a Firenze nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2017 sono state sottoposte a 12 ore e 22 minuti di interrogatorio, costrette in un’aula bunker, separate dai legali. Ogni ragazza avrebbe dovuto rispondere a 250 quesiti, ma il giudice ne ha scartati molti, non ammettendoli. Fra questi, ce n’erano alcuni che abbiamo riportato anche qui.

Avvocato Cristina Menichetti (difensore del carabiniere Marco Camuffo): “Lei trova affascinanti, sexy gli uomini che indossano una divisa?”. Giudice: “Inammissibile, le abitudini personali, gli orientamenti sessuali non possono essere oggetto di deposizione”..

Avvocato: “Lei indossava solo i pantaloni quella sera? Aveva la biancheria intima?”. Domanda non ammessa.

Avvocato Giorgio Carta (difensore del carabiniere Pietro Costa): “In casa avevate bevande alcoliche? Lei ha bevuto dopo che i carabinieri sono andati via?”. (L’avvocato cita nuovamente in modo esplicito la presunta violenza sessuale, ndr).
Giudice: “Non l’ammetto, non torno indietro di 50 anni”.

[…] Avvocato: “È la prima volta che è stata violentata in vita sua?”. Domanda non ammessa.

Avvocato: “È stata arrestata dalla polizia negli Stati Uniti? Ha precedenti penali?”.
Giudice: “Domanda non ammessa. Non si può screditare un teste sul piano della reputazione, lo si può fare sul contenuto delle dichiarazioni. Se un teste non è una persona sincera lo dobbiamo rilevare dal contenuto delle dichiarazioni”..

[…] Avvocato: “Ha scambiato il numero di telefono con il carabiniere quella sera? Ha promesso a un militare di rivedervi nei giorni successivi? Prima che le venisse sequestrato il telefono ha cancellato una telefonata?”.

Avvocato: “Non le è sembrato strano che i carabinieri accompagnassero a casa le persone?”. Domanda non ammessa.
Avvocato: “Il carabiniere si è accorto che lei era ubriaca?”.
Giudice: “Non va bene avvocato, stiamo chiedendo a una persona ubriaca, affermazione senza offesa visto che l’ha detto lei, se avesse la capacità di rendersi conto del suo interlocutore”.

Avvocato: “Ha mai detto al carabiniere che non avrebbe voluto fare sesso con lui?”. Domanda non ammessa e riformulata.
Ragazza: “Dopo che lui ha tirato giù il top volevo che smettesse”. Avvocato: “Il carabiniere ha insistito per avere contatti con lei? Ha insistito silenziosamente, con gesti e parole, perché uno insiste a un no…”.
Giudice: “Ha manifestato questo non gradimento con comportamenti espliciti?”.
Ragazza: “No, non avevo forza nel mio corpo”.
Giudice: “E con questa risposta non accetto più domande così invadenti”.
Avvocato: “Perché dobbiamo privarci di scoprire la verità, la ragazza muore dalla voglia di dire la verità, sentiamola se è salita a piedi…”.
Giudice: “Che ironia fuori luogo, ora sta andando oltre il consentito. C’è una persona che secondo l’accusa ha subito una violazione così sgradevole e lei fa dell’ironia? Io credo che non sia la sede”.

Avvocato: “Cosa diceva esattamente la sua amica quando urlava? Erano urla di parole o semplicemente urla di dolore?”.
Giudice: “No, fermiamoci qui, il sadismo non è consentito”.

“Perché hai denunciato così tardi?”

Fonte: getty

È un’altra delle domande più frequenti che viene fatta in caso di stupro alle vittime. Come se esistesse un tempo, ci fosse un time-out entro cui denunciare la violenza, e dopo, scaduto quel periodo, ci si dovesse aspettare di sentirsi messe in dubbio, guardate di traverso, considerate le arrampicatrici sociali di turno che desiderano spillare soldi o avere il quarto d’ora di celebrità di Warhol. È successo ad Asia Argento, quando la gente, anziché preoccuparsi delle bestialità compiute da Weinstein non solo su di lei, ma su altre donne più o meno famose, si è interrogata su come fosse possibile restare insieme all’uomo che ti ha violentata, per cinque anni. Dubbio lecito, per carità, che forse è venuto un po’ a tutti, ma che non è sufficiente per screditare del tutto o quasi un racconto di violenza e, forse, di sudditanza psicologica. È successo a Christine Blasey Ford, che paga la volontà di portare allo scoperto un fatto avvenuto ai tempi del liceo ma denunciato solo ora, in concomitanza con l’ascesa al potere di Brett Kavanaugh, con l’accusa di essere una pedina politica contro Trump e il suo giudice repubblicano, peraltro eletto comunque alla Corte Suprema, a riprova del fatto che la sua testimonianza ha sì agitato le acque, ma nemmeno troppo, alla fine.

“Cosa indossavi?”

Fonte: web

Se a questo aggiungiamo l’insistente sadismo di chiedere a una donna vittima di stupro cosa indossasse il giorno in cui è avvenuta la violenza, si sostiene l’aberrante tesi che un paio di jeans indichino in un certo qual modo un certo grado di consensualità verso un approccio sessuale rispetto a una minigonna che, assurdamente, rende la vittima “più meritevole di essere creduta”, o si giudica l’abbigliamento di una donna come se la rendesse più “appetibile” agli occhi di un aggressore e quindi meno vittima, dobbiamo necessariamente prendere atto del fatto che parlare di giustizia, nell’accezione più piena e totale del termine, sembra ancora piuttosto utopico. Per questo, forse, si rende necessario tirare fuori idee discutibili come la pistola urticante messa in vendita con il giornale, piuttosto che discutere della necessità di educare generazioni di uomini – e donne -, forse futuri giudici e avvocati, al rispetto della persona, e alla sua tutela. Che poi, alla fine, un dubbio sorge spontaneo. Al prossimo caso di violenza, dovremmo aspettarci che alla vittima verrà chiesto perché girava con una pistola al peperoncino, se era sua intenzione aggredire qualcuno, se lo ha fatto perché aveva cattive intenzioni?

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