Femminicidio, il vizio atroce nella storia dell’uomo di uccidere le donne libere

I dati relativi ai casi di femminicidio in Italia nel 2018 sono davvero allarmanti. Cosa si può fare per frenare l'orribile mattanza delle donne che chiedono libertà e autonomia e vengono massacrate da uomini incapaci di lasciarle andare?

Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.
Uccisione di una donna o di una ragazza“.

Così sul dizionario viene definita la parola femminicidio, purtroppo diventata estremamente usata per descrivere gli atti di violenza, culminati con la morte, nei confronti delle donne.

Femminicidio: le statistiche italiane

Secondo i risultati della banca dati dell’Eures ci sono state 142 vittime di femminicidio nel 2018, 119 in famiglia. Nei primi 10 mesi del 2019 sarebbero già 94. Nel 2017 furono 141.

In termini relativi le vittime femminili raggiungono nel 2018 il valore più alto mai censito in Italia, il 40,3%, a fronte del 35,6% dell’anno precedente (29,8% la media del periodo 2000-2018). Negli ultimi venti anni (dall’anno 2000 a oggi), le donne uccise in Italia sono state 3.230, di cui 2.355 in ambito familiare e 1.564 per mano del proprio coniuge/partner o ex partner.   

Il rapporto continua:

Ad aumentare nel 2018 sono soprattutto i femminicidi commessi in ambito familiare/affettivo (+6,3%, da 112 a 119) – dove si consuma l’85,1% degli eventi con vittime femminili -, ma anche le vittime femminili della criminalità comune (17 nel 2018 rispetto alle 15 del 2017), mentre diminuiscono gli omicidi maturati negli ambiti “di prossimità” (da 13 nel 2017 a 6 nel 2018 le donne uccise da conoscenti, in ambito lavorativo o di vicinato nel 2018).

Anche nel 2018 la percentuale più alta dei femminicidi familiari è commessa all’interno della coppia, con 78 vittime pari al 65,6% del totale (+16,4% rispetto alle 67 del 2017): in 59 casi (pari al 75,6%) si è trattato di coppie “unite” (46 tra coniugi o conviventi), mentre 19 vittime (il 24,4% di quelle familiari) sono state uccise da un ex partner. Stabile o in flessione la presenza di altre figure: le madri uccise scendono infatti da 18 a 14, le sorelle da 5 a 3, mentre le figlie uccise passano da 12 a 13.

Il principale movente risulta quello della gelosia e del possesso, nel 32,8% dei casi.

Sono in costante aumento negli ultimi cinque anni anche le violenze sessuali denunciate, che nel 2018 sono state 4.886, con una crescita del 5,4% sul 2017 e del 14,8% sul 2014. Di queste il 25,9% del totale, risultano minorenni.

Per quanto riguarda quindi i dati relativi alla violenza contro le donne in generale, i dati sono se possibile ancor di più agghiaccianti. Stando alle statistiche rilasciate dalla Polizia di Stato, ogni giorno nel nostro Paese 88 donne sono vittime di atti di violenza, una ogni 15 minuti in pratica. Le vittime italiane sono l’80,2% dei casi, i carnefici sono italiani nel 74%.

Anche se di femminicidio si parla moltissimo negli ultimi anni, ovviamente non è un fenomeno sociale recente: purtroppo, sono molte le donne che nel tempo hanno trovato la morte per mano di partner, ex o attuali, corteggiatori violenti o conoscenti. Monia Del Pero, ad esempio, aveva solo 19 anni quando è stata trucidata nel 1989 dall’ex fidanzato.

Noi abbiamo ascoltato sua madre, Gigliola Bono, che ha ricevuto 7.200 euro di indennizzo per la morte di sua figlia. Tanto vale la vita di una ragazza massacrata per un folle gesto di gelosia.

Il “rimborso” è, del resto, corrispondente a quanto sancito con la direttiva Europea CE/2004/80, quella che ha imposto a tutti gli Stati membri di dotarsi, appunto, di “un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime” (capo II, art. 12).

E, per quanto sembri irrisorio, c’è da contestualizzarlo nel quadro legislativo italiano, che, a ben pensarci, ha provveduto a promulgare una legge ad hoc contro il femminicidio solo nel 2013.

L’influenza degli stereotipi di genere sulla violenza verso le donne

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Fonte: web

A fronte di dati tanto allarmanti le cose vengono peggiorate dalla percezione generalmente diffusa a livello sociale sui motivi che scatenano la violenza, che sono fortemente influenzati dagli stereotipi di genere.

Secondo il report  sui ruoli di genere diffuso dall’Istat in occasione del 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, quasi un cittadino su quattro, fra uomini e donne, pensa ancora che la causa della violenza sessuale sulle donne sia imputabile al modo di vestire. Addirittura il 39,3% della popolazione italiana è convinta che davvero si possa evitare un rapporto sessuale che non si vuole, mentre il 15% ritiene che la donna che subisce uno stupro perché sotto l’effetto di alcol o di droghe sia in parte responsabile.

C’è persino di peggio: per il 10,3% della popolazione le accuse di violenza sessuale sono spesso false (più uomini, 12,7%, rispetto alle donne, 7,9%); per il 7,2% “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì“, mentre un 62,% crede che le donne serie non vengano violentate. Il 7,4% degli intervistati ritiene accettabile, sempre o in alcune circostanze, che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo“, il 6,2% ammette la possibilità che in una coppia possa scappare un ceffone ogni tanto. Il 17,7% delle persone ritiene accettabile, sempre o in alcune circostanze, che un uomo controlli abitualmente il cellulare o l’attività sui social network della propria compagna.

Solo l’1,9% – e questo è l’unico dato positivo – ritene che non esista lo stupro coniugale, e quindi che non ci sia violenza se un marito obbliga una moglie ad avere un rapporto sessuale contro la volontà di quest’ultima.

Se invece volessimo tracciare un profilo delle regioni “più tolleranti” verso la violenza avremo la Valle d’Aosta (17,4%) e la Sardegna (15,2%) agli ultimi posti, Abruzzo  (38,1%) e Campania (35%) ai più alti.
Al Sud resistono stereotipi che invece hanno meno presa nel Nord est ( 67,8 contro il 52,6%), soprattutto per ciò che riguarda l’approccio al lavoro e alla famiglia: per il 32% degli intervistati “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” , per il 31,5% “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche“, mentre per il 27,9% “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia“.

Femminicidio: significato e controversie

In realtà il termine femminicidio non ha una formulazione così recente, dato che le prime a usarlo, nell’accezione di “uccisione di una donna da parte di un uomo per motivi di odio, disprezzo, piacere o senso di possesso delle donne” sono state, nel 1990, la docente femminista di Studi Culturali Americani Jane Caputi e la criminologa Diana E. H. Russell.

Quest’ultima, peraltro, nel successivo libro del ’92, scritto con Jill Radford Femicide: The Politics of woman killing, lo identificò come una categoria criminologica vera e propria, in cui la violenza era frutto delle tendenze misogine che portavano l’uomo a colpire le donne “perché donne”.

Come ben scritto da detta_lalla su wumingfoundation.com, il femminicidio

è l’uccisione di una donna per motivi inscindibili dal suo essere donna, da parte di un uomo per motivi inscindibili dal suo essere uomo. Significa che l’appartenenza di genere e il ruolo sociale che tale appartenenza configura sono condiciones sine quibus non nell’uccisione. Se un uomo spara a caso nella folla e uccide una donna, non è un femminicidio. Se una donna vede un uomo mentre commette un crimine e questi la uccide in quanto testimone, non è un femminicidio, perché quell’uomo avrebbe ucciso allo stesso modo e per lo stesso motivo anche un testimone uomo.

Il femminicidio è dunque da ricercarsi in una volontà mirata e razionale di colpire la donna in quanto tale, o in virtù di ciò che rappresenta per l’uomo: ex moglie/fidanzata, compagna, amante, donna corteggiata ma che ha rifiutato le avances.

Eppure, attorno al termine è nata più di una controversia. Qui ne riportiamo una, di cui ha parlato lo stesso Wuming Foundation, basandosi sull’articolo Il femminicidio non esiste, pubblicato sul blog di Astutillo Smeriglia, pseudonimo di un regista di cortometraggi, citato perfino in pubblicazioni accademiche e basato su complicate formule matematiche che qui, ovviamente non staremo a spiegare.

Ci limiteremo a proporre un sunto dell’articolo stesso, in cui, sostanzialmente, si cerca di dimostrare su basi statistiche che il femminicidio non esista, nel senso che a essere uccisi, per mano degli uomini, sono altri uomini e donne indistintamente.

Il fatto che ci siano più omicidi aventi per vittime donne rispetto al passato, o che se ne parli di più, – e questa è, in generale, una delle cose che si sente più spesso dire da chi porta avanti questo atteggiamento negazionista – dipende, secondo l’articolo, solo dalla maggiore libertà che le donne hanno acquisito negli anni. Cosa che le porta a conoscere uomini che, in quanto violenti per natura, le ammazzano.

Se la pericolosità generica degli uomini rispetto a quella delle donne, che l’autore chiama V, resta costante nel tempo, ma si hanno più omicidi con donne come vittime, significa che a incidere su tali statistiche non siano l’atteggiamento o la cultura maschilista, ma semplicemente il fatto che oggi le donne escano di più rispetto a prima, e quindi abbiano aumentato le proprie possibilità di incontrare qualche malintenzionato.

È chiaro che un’argomentazione di questo tipo presenti molte falle in più punti, ma la questione più importante è che in realtà è piuttosto limitativo ricondurre il femminicidio nell’ambito della violenza generica, perché ciò che lo contraddistingue è la presenza di un movente specifico: gelosia, difficoltà ad accettare la fine di una relazione, possessività, violenza domestica. Tutto ciò che mette psicologicamente in discussione l’egemonia maschile sulla controparte femminile e che sia giudicato intollerabile. Come appunto la fine di un rapporto, un rifiuto, o la “disobbedienza”.

E questi sono elementi dove la cultura maschilista innegabilmente gioca un ruolo fondamentale.

Chiariamo anche un altro punto, per rispondere a quanti rispondono alle notizie sui femminicidi dicendo “Sì, ma degli uomini ammazzati dalle donne nessuno parla?”.

Sì, se ne parla. Perché la violenza e gli omicidi compiuti per motivi passionali, di possesso o gelosia non sono diversi se compiuti da uomini e donne. Noi, ad esempio, più di una volta abbiamo scelto di occuparci di storie di violenza con uomini come vittime, rendendo anche un quadro preciso delle forme di violenza esercitate dalle donne sugli uomini, come in questo articolo

O in questo, in cui abbiamo affrontato il tema della misandria.

Non si tratta di squilibri sessisti, dunque, ma resta un dato oggettivo: le donne rappresentano meno del 3,5% degli autori di omicidi familiari o passionali, questi moventi sono invece alla base di un femminicidio nel 90% dei casi. A dirlo sono i dati raccolti dal Ministero dell’Interno tra il 1992 e il 2016.

Femminicidio: cosa dice la legge

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Fonte: web

Il termine “femminicidio” è stato introdotto nell’ordinamento penale italiano con il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 (convertito nella legge 15 ottobre 2013, n. 119) recante “Nuove norme per il contrasto della violenza di genere che hanno l’obiettivo di prevenire il femminicidio e proteggere le vittime“.

Tale legge prevedeva un inasprimento della pena nei confronti del femminicidio ma, in generale, anche della violenza di genere, e un ulteriore inasprimento nelle misure cautelari. Ad esempio, è stato introdotto per la prima volta l’arresto in flagranza per i reati di maltrattamenti in famiglia e stalking, e la possibilità per la polizia giudiziaria, previa autorizzazione del PM, di allontanare il violento dall’abitazione familiare e dalla persona offesa.

Tuttavia, molte critiche sono state mosse alla legge, che si è dimostrata lacunosa in alcune delle fattispecie previste. Non è un caso, infatti, se il numero di femminicidi e di violenze domestiche è rimasto costante dal 2016 ad oggi, mentre il numero di denunce è addirittura sceso del 12%, dimostrando quindi che le denuncianti, evidentemente, non si sentono abbastanza tutelate. Peraltro, spesso le denunce si rivelano assolutamente inefficaci, come hanno dimostrato moltissimi casi di cronaca, che hanno dimostrato come le ripetute richieste di aiuto da parte di alcune vittime di molestie o stalking non si siano rivelate sufficienti per impedire che la vicenda avesse un tragico epilogo. Ne citiamo due: Marianna Manduca

E Marisa, uccisa dopo la separazione dal marito e infinite denunce rimaste inascoltate.

Fra questi, c’è anche il caso eclatante di Carmine Buono che, dopo essere stato condannato in tutti e tre i gradi di giudizio per l’omicidio di Antonia Bianco, nel 2012, tre anni più tardi è addirittura tornato in libertà per decorrenza dei termini di custodia. Salvo poi vedersi riaprire le porte del carcere per, guarda caso, una nuova denuncia di violenza.

Che il quadro sia preoccupante lo dimostra anche il fatto che esiste una divergenza impressionante tra il numero di delitti denunciati e le condanne, o che, nei casi di femminicidio, laddove ci siano queste ultime siano spesso irrisorie. E questo nonostante le sanzioni attualmente in vigore, in caso di aggravanti (maltrattamento, violenza sessuale), possano prevedere anche pene come l’ergastolo.

Un esempio su tutti? Yoandris Medina Nunez, che il 16 novembre 2016 uccise la ex fidanzata Nicole Lelli, è stato condannato dal Tribunale di Roma a 20 anni. 20 anni per aver tolto la vita, sparandole in faccia, a una ragazza ventitreenne che lo aveva lasciato.

Dato che per la legge italiana non esiste la parola “femminicidio”, è chiaro che quest’ultima fattispecie non sia giuridicamente considerabile, e che perciò non possa godere di una discipina a sé stante. Tanto che, dall’entrata in vigore della legge, non è stato neppure previsto un sistema di integrazione e di raccolta dei dati sul femminicidio. I femminicidi continuano a rappresentare un quarto di tutti gli omicidi commessi sul suolo italiano.

Femminicidio nel mondo

Per quanto i dati italiani relativi al 2017 suscitino più di un pensiero, purtroppo si rivelano perfettamente “in linea” con la media europea e mondiale di femminicidi.

I dati infatti mostrano che nel 2017 87 mila donne sono state intenzionalmente uccise, 50 mila, più della metà (58%), per mano di compagni (30 mila, più di un terzo, è stato ucciso dal partner attuale o precedente) o membri della famiglia.

Ciò significa che 137 donne nel mondo sono uccise da un membro della propria famiglia ogni giorno.

Nel 2017 il numero maggiore di donne uccise per mano di familiari o partner nel mondo è stato in Asia (20 mila); a seguire l’Africa (19 mila), le Americhe (8 mila), l’Europa (3 mila) e l’Oceania (300).

Nonostante ciò, avendo un tasso di donne uccise per mano di partner o membri della famiglia di 1,3 donne su un campione di 100 mila, la regione più a rischio è l’Africa, mentre l’Europa è all’ultimo posto con 0,7 su 100 mila.

A livello globale, è di una su tre la statistica delle donne che prima o poi, nel corso della vita, subiscono una forma di violenza, sia essa fisica o sessuale. Il colpevole, per la maggior parte delle volte, è il partner.

Nelle indagini condotte tra il 2005 e il 2016 in 87 paesi risulta che il 19% delle donne e delle ragazze tra i 15 e i 49 anni dichiara di aver subito violenze fisiche o sessuali da parte del partner o ex partner nel corso dei 12 mesi precedenti l’intervista.

In Russia, El Salvador e Sudafrica il tasso di femminicidio supera i 6 casi ogni 100 mila donne, toccando punte di 15 casi ogni 100.000 donne in Honduras.

Nei paesi dell’Europa occidentale, il tasso medio è, all’anno, di 0,4 vittime di femminicidio ogni 100.000 donne.

Questo significa che per una donna che vive in Honduras il rischio di essere vittima di un omicidio di genere, perpetrato dal partner o da un membro della cerchia familiare, è 40 volte più alto di quello di una cittadina dei paesi dell’Europa occidentale.

Eppure, in Europa la situazione non è rosea come potrebbe sembrare.

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Fonte:europeandatajournalism.eu

Le scarpe rosse e altre iniziative contro il femminicidio

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Fonte: web

Le scarpe rosse sono diventate simbolo della lotta contro il femminicidio e la violenza contro le donne, ma forse pochi di noi sanno perché.

Ad avere per prima l’idea, il 27 luglio del 2012, l’artista Elina Chauvet che le utilizzò in un’installazione artistica pubblica davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare le centinaia di donne uccise nella città messicana di Juarez (ai tanti fatti di cronaca con protagoniste donne nella regione è dedicato, ad esempio, il film Bordertown del 2006, con Jennifer Lopez).

L’artista ha vissuto a Ciudad Juárez in Messico negli anni della formazione universitaria, e proprio allora ha constato con i propri occhi l’inquietante fenomeno della sparizione delle giovani donne – generalmente di età compresa tra i quindici e i venticinque anni, tutte lavoratrici delle Maquiladoras, fabbriche che impiegano manodopera a bassissimo costo – e del ritrovamento dei loro corpi senza vita nel deserto. Tutte rapite, stuprate, orrendamente mutilate e uccise per strangolamento, come se fosse opera del medesimo serial killer.

Allo stesso tempo Elina ha notato come le autorità minimizzassero il problema, così ha deciso di essere proprio lei a rompere il silenzio: nel 2009 ha raccolto tra conoscenti trentatré paia di scarpe e le ha installate nello spazio urbano di Juárez. Dopo il primo Zapatos Rojos, lo ha rifatto, a distanza di due anni, a Mazatlan, nello stato di Sinaloa, dove di scarpe, grazie al passaparola generato dall’installazione a Juárez, ne sono state donate trecento.

Da lì le scarpe rosse sono diventate il simbolo della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, in cui si organizzano moltissime iniziative volte proprio a porre l’accento sul terribile problema del femminicidio a livello mondiale.

In Italia, ad esempio, ormai da tre anni si corre, a Milano, la Run For Life against violence, che sostiene la Fondazione Doppia Difesa Onlus, fondata da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno. Ma le manifestazioni indette in quella giornata sono, a livello globale, davvero tantissime.

In realtà, però, sarebbe importante ricordare ogni vittima di femminicidio tutti i giorni dell’anno, non solo in una giornata particolare. Per onorare la loro memoria ma, soprattutto, impegnarsi affinché la parola, già non prevista dal nostro ordinamento, possa definitivamente sparire anche dal nostro vocabolario.

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