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Perché alcuni uomini non accettano che la partner guadagni più di loro

Questo atteggiamento caratterizza ancora molti uomini e affonda le sue radici in un sistema di leggi - in materia di denaro, lavoro e matrimonio - atto a promuovere un controllo maschile e da cui origina la violenza economica. Eppure la parità finanziaria tra uomini e donne converrebbe a tutti, maschi compresi.

La storia del nostro Paese, in alcuni suoi tratti, è una fotografia in bianco e nero della situazione delle donne e della conquista dei loro diritti, spesso strettamente intrecciati al loro grado di indipendenza finanziaria. Per secoli la donna è stata assoggettata al capofamiglia (padre, fratelli o marito) per le questioni economiche e ancora una volta la storia ci insegna che qualsiasi forma di indipendenza – o di prevalenza e superiorità – della figura femminile su quella maschile era assolutamente inconcepibile.

Come racconta Elena Vellati ne “Il nuovo diritto di famiglia e il ruolo della donna” (Novecento.org, n. 8, agosto 2017), se prendiamo come riferimento la famiglia e la sua trasformazione nell’ultimo secolo troviamo sì al centro la figura femminile come cuore della vita domestica, ma mai inquadrata come forza economica. E raramente come elemento costitutivo di un processo di modernizzazione e crescita che dall’individuale si diffonde nello strato sociale, generando un processo virtuoso di innovazione e ricchezza.

La storia ha lasciato le donne sullo sfondo per molti anni e il matrimonio, inteso come istituzione patriarcale e piramidale e forma di controllo di un partner sull’altro (ancora diffusa, purtroppo, in alcuni territori italiani per una questione culturale ormai cementificata), non ha contribuito a mettere al centro delle priorità la parità di genere e la necessità di colmare il gap salariale. In questo contesto la violenza economica può diventare un’abitudine di cui è difficile notare i segnali anche quando se ne è protagonisti.

Consapevolezza è la parola chiave: un processo che si costruisce mattoncino dopo mattoncino anche grazie a progetti virtuosi come quelli di Global Thinking Foundation, fondazione che si occupa di alfabetizzazione finanziaria con focus su parità di genere ed empowerment al femminile. D2 – Donne al Quadrato, in particolare, coinvolge una task force di una sessantina di volontarie presenti in tutta Italia con la missione di alfabetizzare, sostenere e aiutare le donne a rendersi indipendenti dal partner, a non delegare la gestione delle proprie finanze, a realizzarsi sul lavoro e nella vita privata, a riconoscere la violenza economica e affrancarsi da situazioni di disagio che limitano la libertà personale. 

Nei moduli formativi del progetto no-profit D2 – Donne al Quadrato di Global Thinking Foundation, che si sviluppa su una piattaforma dedicata, si dibatte di abusi economici e di empowerment nella vita lavorativa, ma anche di come sradicare una certa cultura patriarcale che non considera le donne come motore economico indispensabile alla crescita non solo della sua famiglia, ma dell’intero Paese. Sono corsi online, pratici e variegati, sulla gestione delle proprie finanze, per comprenderle e amministrarle in autonomia, ma anche sul futuro professionale e sulle possibilità dei vari comparti economici. Ci sono inoltre videopillole, webinar e l’importante strumento del Manuale di prevenzione alla violenza economica ideato dalla Fondazione come supporto sempre in linea per chi vuole comprendere meglio i contorni di questa violazione della libertà personale.

L’autorizzazione maritale e l’impedimento alla libertà delle donne

Come racconta Laura Marchesano in “Alla ricerca di una moglie. Celibato rurale e migrazioni matrimoniali” (Storicamente 6 (2010) , nr. articolo 5), nel 1865 la legge in vigore col Codice Pisanelli controllava di fatto la situazione patrimoniale delle donne, impendo loro di possedere beni e di compiere azioni finanziarie senza l’autorizzazione del marito. Secondo Pisanelli e i suoi sostenitori, una donna non era capace di procedere autonomamente con determinata scelte (e anche di lavorare, se avesse voluto) senza l’autorizzazione maritale. Nonostante le battaglie di attiviste e femministe dell’epoca, questa legge ha impattato non soltanto sulla vita quotidiana delle famiglie italiane ma anche sull’evoluzione sociale della donna, la quale senza l’autorizzazione del marito, non poteva 

“donare, alienare immobili, sottoporli a ipoteca, contrarre mutui, cedere e riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti”

L’autorizzazione era un vero atto pubblico, che poteva anche essere revocata dall’uomo: solo nel caso di infermità o di assenza, di condanna o di separazione a carico del marito, la donna poteva esercitare un qualche controllo delle sue stesse finanze, ma sempre con molti paletti. Per quanto riguarda la possibilità di lavorare, potevano solo esercitare “il lavoro della mercatura”, ovvero in ambito commerciale, senza dover ottenere il via libera ufficiale.

Solo nel 1919 vengono nuovamente ridiscusse le “Norme circa la capacità giuridica della donna”. Firmato dal re Vittorio Emanuele III, l’articolo 7 che abrogava quello precedente di Pisanelli, sosteneva che:

“Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espresse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionari o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento”

Nel 1946, con l’accesso al voto per le elezioni amministrative, si cementifica un altro grande traguardo per la popolazione femminile, poi superata grazie alla riforma del 1963 che prevedeva piena libertà per le donne di accedere a tutte le “cariche, professioni e impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere, categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge”.

Il fatto che ancora oggi alcuni uomini non accettino che la loro compagna possa guadagnare più di loro è un retaggio duro a morire in arrivo da quei secoli in cui parlare di emancipazione femminile in termini economici era una vera e propria eresia. Di quel periodo oscuro in cui l’autorizzazione maritale era una legge da seguire senza porsi domande, oggi, in alcuni contesti sociali, rimane l’idea che controllare un partner attraverso la gestione dei suoi soldi o, peggio, con veri e propri atti di violenza economica, possa essere un buon modo per manipolarne ogni azione. Come si è visto, limitare la libertà finanziaria di qualcuno significa spogliarlo di un’identità sociale indispensabile all’avanzamento.

Nonostante la trasformazione in atto nel tessuto sociale italiano in questi decenni così decisivi, la situazione delle donne non si quindi è ancora assestata. E anche se oggi possono accedere a qualsiasi carriera e guadagnare come i colleghi, rimane il grosso scoglio del pay gap rispetto ai pari grado di sesso maschile e dei costi che sostengono quando diventano mamme, una scelta personale che spesso porta a rinunciare o modificare le condizioni lavorative esistenti (riducendo l’orario di lavoro e, di conseguenza, lo stipendio) per gestire meglio la famiglia. 

Perché se le donne guadagnassero come gli uomini, anche gli uomini sarebbero più ricchi

Studi, ricerche, report e numeri confermano senza ombra di dubbio che l’accesso alle donne a carriere e stipendi adeguati e commisurati alle loro competenze, esattamente come avviene per gli uomini, favorirebbe tutti e non soltanto il singolo secondo un report del 2018 del gruppo Sodexo su un gruppo di aziende e multinazionali, quelle con più donne nell’organico avevano fatturato il 23% in più, con grandi ripercussioni anche sulla fidelizzazione del cliente (superiore al 12%) e impatto effettivo anche sull’incidenza (più bassa) degli infortuni sul lavoro. Nello stesso periodo il Fondo Monetario Internazionale confermava che l’aumento dell’occupazione femminile potrebbe avere un riverbero sul PIL globale del 35%. Uno studio dell’Harvard Business School del 2015 prevedeva invece che la parità di genere in contesti professionali avrebbe portato, nel 2025, a un PIL globale annuo di 28 mila miliardi di dollari, pari al +26%. 

La pandemia ha purtroppo rigirato le carte in tavola. Ogni anno è il report sul gender gap del World Economic Forum a definire i tratti del divario uomo-donna da un punto di vista finanziario e quello relativo al 2020 con la pandemia in atto fotografa una situazione a dir poco allarmante. Sono 135 gli anni che, ad oggi, servono per raggiungere la parità di genere. L’emergenza economica e sanitaria mondiale ha infatti annullato – o quasi – i piccoli progressi degli scorsi decenni aumentando il tasso di disoccupazione (in particolare femminile) e vanificando gli sforzi non solo legislativi ma anche individuali compiuti dagli anni del Codice Famiglia di Pisanelli.

Diventa fondamentale, in questo quadro, coltivare nei bambini questa scintilla di consapevolezza, introducendola tra i banchi di scuola lì dove i piccoli cominciano a percepirsi come parte di una società, come i lavoratori di domani. Uno degli scogli più grossi, soprattutto rispetto alla crescita di bambine e alla loro evoluzione in donne consapevoli contro ogni forma di violenza, è superare alcuni gap psicologici che proprio a scuola si cristallizzano. In particolare sono tre:

  • il curriculum nascosto, ovvero la falsa credenza, in ambito didattico, che la donna sia inferiore all’uomo)
  • il confidence gap, che invece tocca le corde dell’autostima
  • l’Effetto Hermione che, infine, impone di sforzarsi e dimostrare di più dei colleghi maschi perché ci si crede inferiori

Con lo studio e con progetti come Young612 di Global Thinking Foundation che propone tre percorsi mirati dedicati a tre diverse fasce d’età per parlare di denaro, sostenibilità economica e indipendenza finanziaria a bambini e ragazzi si plasma davvero il futuro di generazioni che hanno in mano due grandi poteri: quelli della Storia e della memoria, che ci aiutano a ricordare come, nel corso di un secolo, la posizione della donna è cambiata. Diventando di fatto da mera subalterna al marito ad attore sociale indispensabile all’evoluzione.
Conoscendo il passato e le sue oscillazioni si possono evitare gli stessi errori; studiando il presente si analizza il qui e ora con spirito critico; anticipando il futuro si può trasformare la situazione economica attuale in modo tale che situazioni contingenti come la pandemia non modifichino definitivamente i delicati equilibri conquistati fino a ora.

Consapevolezza come arma per evitare la violenza economica

Il lavoro di Global Thinking Foundation con il progetto D2 – Donne al Quadrato (studiato da donne per le donne: da qui il nome) punta a creare una trama di consapevolezza mettendo al centro il lavoro di professioniste in vari ambiti. Psicologhe, avvocate, commercialiste e altre figure altamente qualificate che si sono messe a disposizione non solo sulla piattaforma dedicata ma anche in uno sportello digitale per evadere richieste e offrire consigli alle donne che desiderano ripartire dalla consapevolezza per costruire un futuro di autonomia. Nella sezione FamilyMI della piattaforma si esplorano invece i quesiti cari alla generazione dei Millennials, oggi più che mai coinvolta in un processo di crescita collettivo, sempre più aperta a discutere di economia tra le mura domestiche e a parlare di cultura finanziaria con i figli.

Consapevolezza e autonomia sono due parole chiave che, insieme, fanno fronte a un’emergenza più diffusa di quanto si creda: prevenire la violenza economica non è solo un imperativo etico ma anche sociale, in un contesto in cui accrescere le proprie conoscenze, aprirsi all’ascolto ed evolversi professionalmente non aiuta soltanto il singolo ma la comunità intera.

Il riverbero di progetti come quelli messi in campo da Global Thinking Foundation può davvero rivoluzionare il futuro prossimo, nonostante le difficoltà legate alla pandemia: perché tornare indietro non si può (e non si deve) e la storia ci deve insegnare quali grandi passi le donne hanno compiuto, in nome del bene comune, in un secolo denso di trasformazioni. La strada è ancora in salita, ma oggi, a differenza di 100 anni fa, abbiamo una meta: con prevenzione, studio e divulgazione possiamo raggiungerla, insieme.

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Global Thinking Foundation nasce nel 2016 con lo scopo di promuovere l’educazione finanziaria, con una particolare attenzione alle donne e all’uguaglianza di genere.

  • I soldi delle donne