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La stima dell’ISTAT che ha fotografato i dati della disoccupazione femminile alla fine del 2020 ha rivelato che, su 101 mila posti di lavoro persi, 99 mila erano occupati da donne e ora non lo sono più.

I motivi di questo dato (che ci allarma, ma purtroppo non ci sorprende) sono stratificati e calati in un contesto culturale e sociale che non pesa il lavoro delle donne come fa con quello degli uomini: da un lato la necessità di riorganizzare gli equilibri familiari, tendenzialmente a carico della controparte femminile, dall’altro la crisi economica generalizzata, hanno portato a sacrificare questi 99 mila posti di lavoro.

Il dato cresce se si contano gli inattivi: rispetto ai 444 mila del dato totale, 312 mila sono, ancora una volta, donne. E trascende i limiti dell’accettabile se analizziamo i dati dell’occupazione femminile mondiale senza tener contro della crisi pandemica: il Global Gender Gap 2020 del World Economic Forum descrive perfettamente lo status delle donne che in troppi livelli e settori professionali sono ancora relegate al ruolo di spettatrici e non di protagoniste.

Volendo analizzare con un approccio ancora più realistico la situazione italiana attuale, le ex lavoratrici protagoniste del report ISTAT 2020 hanno perso un’altra cosa oltre al posto di lavoro: l’indipendenza economica. I numeri si moltiplicano se consideriamo anche le donne che, già prima della crisi legata al Covid, non avevano potere finanziario all’interno del proprio nucleo familiare. Molte di loro non sono consapevoli del valore non solo individuale ma anche sociale che acquisisce la financial inclusion in questo dibattito: parlare di parità di genere ma anche di violenza domestica, oggi, passa anche da questo.

Le forme della violenza sulle donne percorrono purtroppo vie stratificate: ci sono botte i cui segni si vedono sulla pelle, altre impercettibili non solo dal mondo esterno, ma anche da chi le subisce. La violenza finanziaria rientra in questo quadro. Insieme agli stereotipi su donne e soldi, questo tipo di abuso è subdolo e invisibile, difficilissimo da “isolare” persino da chi lo vive. La spot Pubblicità Progresso della Global Thinking Foundation, Fondazione che spinge non solo sulla “cura” ma soprattutto sulla prevenzione della violenza finanziaria, spiega bene quanto questo genere di abuso si infiltri in contesti familiari che sembrano insospettabili.

Secondo la ricerca “Measuring the Effects of Domestic Violence on Women’s Financial WellBeing” del Center For Financial Security, gli abusi finanziari si presentano nel 99% dei casi di violenza domestica. Questo vuol dire che la violenza economica coesiste, spesso, con altre forme di violenza più dibattute (per fortuna) e meno “velate”. Lo spiega bene ancora una volta la Global Thinking Foundation con il Manuale di Prevenzione della Violenza Economica, in cui si fa il punto della situazione con un obiettivo ben preciso: educare alla consapevolezza con la prevenzione.

Cogliere questo tipo di abuso quando vive da solo, in una società in cui soldi e donne spesso sono legati da battutine su “mani bucate”, massimali di carte di credito dilapidati e poca parsimonia, è difficilissimo. I segnali forti che possono aiutare la vittima a riconoscersi come tale però non sono così criptici. E sì, possono essere smascherati, capovolti e sradicati.

Come riconoscere i segnali della violenza economica

Di violenza finanziaria se ne parla poco, come se aprire un dibattito su questo oscurasse forme di violenza e abusi più provanti ed evidenti. Non è così, anzi, ne amplia lo scenario. In un paper del 1996 dal titolo “Domestic Violence: The Value of Services as Signals” (American Economic Review) già si evidenziava come la tecnica dell’isolamento psicologico e finanziario da parte dei mariti portasse le mogli abusate a rimanere dentro un matrimonio violento.

L’analisi di queste relazioni ha dimostrato che meno soldi hanno le donne, più tendono a non lasciare chi abusa di loro. Perché non possono economicamente staccarsene, perché vengono svilite sia sul piano individuale che comunitario e sociale, perché sono co-dipendenti da chi, a tutti gli effetti, gestisce le loro finanze. In questo senso la parola “soldi” diventa sinonimo di indipendenza, parità, possibilità e libertà. Quando questi valori vengono a mancare, non è affatto errato parlare di violenza. Anzi, è necessario.

Come però racconta bene la pubblicità progresso di Global Thinking Foundation, la violenza finanziaria non è solo una declinazione di forme di abuso domestico più gravi. Più difficile è coglierla quando è subdola, celata da atti controllanti che sembrano normali, quasi “comodi” per chi li vive. Giustificati, spesso, a livello sociale.

Si inizia con la cessione del controllo delle proprie finanze, si finisce, più spesso di quanto si pensi, a rinunciare al lavoro e dunque all’indipendenza che dall’occupazione – in tanti sensi, non solo economico – si ricava. Oppure a cedere risparmi e stipendi a chi, a tutti gli effetti, li controlla e li usa a proprio piacimento, impedendo a chi guadagna quei soldi di usarli come avrebbe diritto di fare.

Tra i segnali da riconoscere per individuare se si è vittime di violenza finanziaria, abbiamo individuato i più emblematici. Identificano diversi stadi di violenza economica, in un’escalation che va dall’isolamento, passa per la cessione del controllo delle finanze e la perdita di autonomia e di accesso alle risorse familiari e può arrivare al vero e proprio spossessamento e abuso.

Nessuna fase deve essere minimizzata. Soprattutto le prime, che sembrano tutto tranne che allarmanti, almeno a un primo sguardo. Certo, comprendere questi segnali quando ci sei dentro, soprattutto se non la si percepisce come situazione problematica, è difficile. E questo è più che comprensibile. Ma i limiti della violenza economica ruotano proprio intorno alla mancanza di libertà intesa come forma di controllo: una cosa che, a lungo andare, può logorare.

Per questo abbiamo preparato un decalogo per aiutarti e aiutare ogni donna a riconoscere i segnali, anche quando ci sei immersa dentro.
Anche quando ti o ci sembrano innocui, o da minimizzare perché “tanto abbiamo sempre fatto così”. Puoi cambiare le cose: lo puoi fare davvero.
Possiamo farlo tutte.

Questi sono i 10 tasselli del puzzle che ti possono aiutare a capire se sei vittima di violenza economica (condividili, se lo ritieni utile, anche con altre donne: magari non riguarda la tua storia personale, ma sicuramente conosci più di una persona che potrebbe averne bisogno):

  1. Non possiedi un conto personale, oppure ne possiedi uno congiunto con firme disgiunte, così che solo il tuo partner abbia pieno controllo delle finanze di famiglia 
  2. Non hai visibilità sui codici di accesso dell’internet banking: non sai, tecnicamente, come entrare sul conto condiviso con gli strumenti digitali a disposizione.
  3. Non hai intestato (o co-intestato) nulla tra le proprietà in possesso della famiglia. Case, auto: nulla di quanto possedete è – anche o solo – tuo.
  4. Non hai un reddito indipendente da quello del tuo partner: perché hai perso il lavoro, perché non percepisci stipendio, perché non hai mai lavorato in quanto “non ce n’era bisogno”.
  5. Non conosci l’ammontare del patrimonio familiare, delle entrate mensili, degli investimenti attuati dal partner. Quanto guadagna il tuo partner? Non sapresti rispondere.
  6. Devi giustificare ogni singola spesa personale, fornire un rendiconto settimanale o mensile delle uscite. Anche per le spese dei bambini, anche per quelle in farmacia.
  7. Hai a disposizione un budget per le spese familiari, poco o nulla per quelle personali. Sì, anche se hai uno stipendio da cui attingere senza sensi di colpa.
  8. Non ti è consentito prenotare visite mediche perché non hai i soldi per pagarle
  9. Non puoi usare la carta di credito. Devi sempre chiedere il permesso.
  10. Ti è stato chiesto di lasciare il lavoro, perdendo così il tuo stipendio.

L’escalation della violenza economica può culminare con lo spossessamento, ovvero la perdita di beni e risparmi della vittima a favore di chi approfitta di lei. In questo caso l’abuso si configura come una trappola senza via d’uscita che può portare la donna a mantenere il proprio partner, a firmare documenti senza conoscerne le finalità, a indebitarsi per sostenere i suoi progetti. A dilapidarne, di fatto, ogni singola risorsa. 

L’unico modo per fermare l’escalation in presenza di uno o più di questi segnali, è, di fatto, prendere consapevolezza di essere una vittima. Minimizzare perché, in fondo, la violenza non si è configurata come uno schiaffo o un calcio o una frase umiliante, è uno dei primi passi verso l’abuso.

Prevenire, come fa ad esempio la Global Thinking Foundation col suo lavoro di sensibilizzazione, è l’unico modo per cogliere, svelare e bloccare sul nascere certi meccanismi violenti e ancora culturalmente giustificati.
Educare le donne all’indipendenza finanziaria attraverso progetti di empowerment e consapevolezza è, a tutti gli effetti, un’esigenza che interseca crescita sociale, politica ed economica a livello globale. E lasciare le donne in uno stato di vulnerabilità è un’arma carica puntata contro l’evoluzione. Parlare di violenza economica significa tutto questo; permettere alle donne di lavorare, gestire i propri soldi e contribuire al benessere non solo del suo nucleo familiare ma, su un piano ampio, anche del suo Paese, una necessità che non possiamo più ignorare.

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Global Thinking Foundation nasce nel 2016 con lo scopo di promuovere l’educazione finanziaria, con una particolare attenzione alle donne e all’uguaglianza di genere.

  • I soldi delle donne