Comunemente il matrimonio è definito come:

A. Il giorno più bello nella vita di una donna.

B. Il momento in cui prende forma la famiglia (che ovviamente culmina con l’arrivo dei figli).

C. La massima aspirazione femminile.

D. Il momento che tutte sognavano da bambine.

Non è difficile capire perché, se queste affermazioni potevano essere comprensibili – attenzione, non accettabili, ma quantomeno giustificate con la scusa del contesto storico e culturale – anni fa, oggi sia piuttosto difficile trovarne la bontà e la correttezza.

Volendole smantellare una a una, e posto che di giorni belli, nella vita di una donna, ci si augura possano essercene davvero tanti, indipendentemente dall’arrivare a indossare mai un abito bianco, c’è da dire che, per fortuna, il concetto di famiglia oggi sia stato ampliato, seppur non da tutti condiviso, anche alle coppie non sposate, alle coppie omosessuali, e persino ai single. Che azzardo inaudito, per il Paese che santifica la sposa e considera quasi automaticamente le non spose come “meno donne”.

Riguardo alla massima aspirazione femminile, e al momento agognato fin dalla più tenera età, si spera vivamente che soprattutto le prossime generazioni possano crescere con un’indipendenza mentale e culturale che le porti a sognare altro rispetto al percorrere la navata di una chiesa, fermo restando il rispetto, massimo, per chi invece nutre quest’ambizione fin dalla culla o quasi.

Intendiamoci: sposarsi non è il male assoluto, anzi può essere il coronamento di una storia d’amore che può trasformarsi in una gioiosa occasione di festa. Solo che non è un passo necessario per valutare la stabilità o il grado d’amore di una coppia, né per misurare la serietà o la completezza di una donna.

Soprattutto, dobbiamo smetterla di considerare il matrimonio secondo l’accezione con cui è stato visto per anni, ovvero come ultimo baluardo patriarcale su cui gli uomini, ma anche molte donne figlie di quella stessa società, hanno pontificato nei termini e coi modi di cui sopra.

Perché è inutile girarci intorno: il matrimonio è a tutti gli effetti un’istituzione patriarcale.

E non bisogna essere femministi, o misandrici, per affermarlo, ma basta fare un rapido resoconto di alcuni degli aspetti che al matrimonio sono legati, ed essere un minimo obiettivi.

Prendiamo ad esempio spunto da Chiara Sfregola, sposata con una donna, da noi intervistata, e dal suo libro Signorina.

A ben pensarci, “signorina” è una definizione che si applica proprio alle donne, per distinguere se siano sposate o meno, e questo si ripete, bene o male, in molte lingue: inglese – Miss e Mrs -, francese – Madame e Mademoiselle -, tedesco – Frau o Fraulein – spagnolo – Señora o Señorita-. Nei documenti ufficiali non viene mai chiesto agli uomini di indicare se siano “signori” o “signorini”.

Signorina. Memorie di una ragazza sposata

Signorina. Memorie di una ragazza sposata

Chiara Sfregola, da lesbica, femminista e moglie, racconta con un passo a metà tra saggistica e memoir cosa significa, oggi, il matrimonio.
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Ma c’è di più, ovviamente: basti pensare che, con il matrimonio, si “perde” automaticamente il proprio cognome per acquisire quello del marito, e in effetti, sempre seguendo i documenti ufficiali, sarà molto facile leggere una dicitura del genere:

Maria Rossi coniugata Bianchi

Oppure

Maria Rossi in Bianchi

Allargando il discorso agli altri Paesi europei, le cose non migliorano, se pensiamo che in Germania o nei Paesi anglosassoni la donna mantiene il cognome del marito anche in caso di divorzio. Agatha Christie, per intenderci, è nata Miller, e dopo il divorzio dall’ufficiale Archibald Christie ha sposato Max Mallowan, pur conservando il cognome del primo marito, che è poi quello con cui è diventata universalmente famosa.

Lo stesso discorso, ovviamente, vale per la prole, che acquista il cognome del padre, anche se negli ultimi anni ci sono state, per fortuna, delle aperture per offrire anche alle madri la possibilità di apporre il proprio cognome al fianco di quello del compagno. Il  figlio di Chiara Ferragni e Fedez, come sappiamo, porta i cognomi di entrambi i genitori.

Questo, come molti altri piccoli traguardi, stanno contribuendo a decostruire quell’impronta spiccatamente maschilista con cui il matrimonio è stato culturalmente idealizzato; basti pensare che, fin dall’antichità, esso nasce come vero e proprio contratto con cui la famiglia della sposa “cedeva”, assieme alla figlia, una parte dei propri beni, per comprendere quanto le sue radici affondino in un modello di società che è dichiaratamente maschiocentrico. Da lì tutti i discorsi sull’importanza della dote e sul triste destino da zitelle –  molto spesso in convento – per le povere ragazze la cui famiglia non era in grado di metterne insieme una giudicata sufficiente.

In virtù del suo poter essere considerato alla stregua di una mera negoziazione di affari, si potrebbe aprire tutta una serie di discorsi sul matrimonio, sulle nozze combinate e sulle fuitine che un tempo rappresentavano la sola via di fuga per le ragazze, per sposare chi davvero volevano.

Come detto, però, ci preme di più risaltare gli avvenimenti che hanno permesso di svecchiare l’immagine del matrimonio, togliendola dall’ala patriarcale. Negli anni, infatti, ci sono stati passi e date importanti grazie alle quali le donne hanno finalmente potuto avere voce in capitolo rispetto alle nozze, ed è grazie a queste conquiste, in fondo, se oggi, una donna è libera anche di restare single (ma non immune ai pregiudizi, ‘ché quelli, ahinoi, son davvero duri a morire).

Le abbiamo ripercorse in gallery, riferendoci ovviamente al contesto italiano, o al massimo europeo, e senza dimenticare che ci sono moltissimi Paesi, nel mondo, dove ancora oggi le donne non hanno alcuna possibilità di scegliere la propria felicità. Sia essa accanto a un marito o meno.

Perché il matrimonio è un'istituzione patriarcale e 9 tappe per ripensarla
Fonte: web
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