L'effetto Hermione che frega le donne: no, se facciamo di più non siamo più brave

L'effetto Hermione è una tendenza prettamente femminile, e diffusa soprattutto in ambito scolastico, a fare più del necessario e di quanto viene richiesto per dimostrare a se stessi e agli altri il proprio valore. Un atteggiamento controproducente che nasce da una scarsa fiducia nelle proprie potenzialità e che contribuisce a penalizzare le donne nel mondo lavorativo e ad aumentare il gender gap già ampiamente in atto.

Sebbene, purtroppo, il mondo del lavoro oggigiorno continui a premiare gli uomini in termini di avanzamenti di carriera, possibilità occupazionali e valore degli stipendi, a scuola sono le ragazze a distinguersi maggiormente.

Una volta abbandonati i banchi di scuola, però, le donne si ritrovano catapultate in uno scenario ben diverso, dove i risultati e le competenze ampiamente dimostrate nel corso del lungo cammino accademico, non si trasformano nei fatti in reali opportunità concrete.

All’origine di questa disparità, definita in termine tecnico gender gap, non ci sono però solo le barriere strutturali provocate da una cultura patriarcale e maschilista che da sempre avvantaggia gli uomini, specie nel mondo del lavoro, né l’assenza di politiche economiche mirate e di un efficiente sistema sociale che tuteli la maternità e i diritti delle donne, evitando di far ricadere prevalentemente sulle loro spalle la cosiddetta prospettiva della cura, con conseguenze importanti sulle loro carriere e vite lavorative.

Oltre a tutto questo – come se non fosse già abbastanza – c’è anche un altro aspetto fondamentale di derivazione culturale che penalizza le possibilità di carriera delle donne: una più scarsa fiducia in se stesse che in media le donne finiscono per sviluppare negli anni. Una scarsa fiducia che parte proprio su quei banchi di scuola dove le femmine superano per risultati e performance i colleghi i maschi.

Vediamolo attraverso i dati. Come riporta Valore D, prima associazione di imprese che promuove l’equilibrio di genere e una cultura inclusiva, le indagini di Almadiploma mettono in luce un gap di genere a favore delle ragazze in quanto a risultati scolastici.

Nel 2018 il 10% delle femmine uscite dalla scuola media ha raggiunto una votazione pari a 10 o 10 e lode, contro il 7% dei maschi. Prendendo invece in considerazione la scuola secondaria, la situazione è ancora più evidente: l’8,3% dei maschi ha ottenuto il minimo sindacale come voto del diploma, ossia 60/100, una percentuale doppia rispetto alle ragazze, mentre sono il 31,7% i ragazzi che si sono diplomati con un voto inferiore a 70/100, contro il 22% delle ragazze. Il massimo dei voti, ossia il cento, è invece stato raggiunto perlopiù dalle donne con una percentuale dell’8,3% contro il 5,6% dei diplomati maschi.

Ancora una volta, sono lampanti i primati delle ragazze, dati che poi sono puntualmente smentiti dalle classifiche in ambito lavorativo, che vedono le donne maggiormente disoccupate, meno remunerate e meno presenti in ruoli manageriali e di potere.

Bisogna però mettere in luce anche un altro dato, oltre ai maggiori successi scolastici delle ragazze: la maggiore dedizione allo studio di queste ultime, che, come vedremo meglio in seguito, è un dettaglio affatto trascurabile. Sempre i dati di Almadiploma ci dicono che il 16% delle ragazze studia più di 20 ore settimanali, mentre tra i ragazzi è solo il 5% a farlo, ossia poco più di un terzo della controparte femminile. Sono poi il 22% le ragazze che studiano da 15 a 19 ore settimanali, mentre i maschi sono ben la metà (l’11%), e infine coloro che si dedicano allo studio meno di 5 ore a settimana sono perlopiù i maschi: 25% contro l’11% delle ragazze.

Questo indicatore ci porta dritto nel vivo della questione già accennata in apertura: la tendenza, prettamente femminile, di dedicarsi spesso in modo eccessivo allo studio, richiedendo a se stesse un lavoro extra e un impegno esagerato – non richiesti né necessari, proprio anche a fronte degli ottimi risultati ottenuti – ma che deriva da una minore autostima che le donne sviluppano rispetto alla controparte maschile, una situazione, definita confidence gap, che contribuisce ad allargare ulteriormente quel divario di genere che riscontriamo nel mondo del lavoro.

Cos’è l’effetto Hermione?

Quello che abbiamo descritto poco fa prende il nome di effetto Hermione e indica quell’abitudine tutta femminile a svolgere un lavoro extra, a fare più del necessario – sebbene non venga richiesto – che viene erroneamente interpretato come efficienza e fatto per compiacere se stessi e gli altri. Un atteggiamento che, come abbiamo visto, deriva prima di tutto da una scarsa fiducia in se stesse e da un conseguente bisogno di conferme che si tramuta in perfezionismo.

Le giornaliste Katty Kay e Claire Shipman, indagando sui motivi che penalizzano l’avanzamento professionale delle donne, hanno rilevato come risulti determinante in questo senso il ruolo della mancanza di fiducia di quest’ultime nelle loro potenzialità, arrivando a riconoscere nel loro desiderio di perfezione un ostacolo al raggiungimento dei loro obiettivi e risultati. Lo dicono chiaramente in una frase piuttosto eloquente che ben riassume il concetto fin qui elaborato:

Le donne si sentono sicure solo quando sono perfette.

Lo conferma anche la psicologa clinica Lisa Damour che nel suo articolo per il New York Times, dal titolo emblematico Perché le ragazze battono i ragazzi a scuola e perdono contro di loro in ufficio, affronta ampiamente la questione, mettendo in luce un differente approccio allo studio e all’impegno messo in atto da maschi e femmine:

Come psicologa che lavora con gli adolescenti, sento spesso questa preoccupazione da parte dei genitori di molti dei miei pazienti. Questi osservano abitualmente che i loro figli maschi tendono a fare quel tanto che basta per tenere gli adulti lontani da loro, mentre le loro figlie lavorano senza sosta, determinate a non lasciare margine all’errore. Le ragazze non si fermano finché non hanno passato sotto la lente ogni minimo dettaglio.

Un atteggiamento che però finisce per essere controproducente e penalizzante nel futuro. Damour, infatti, ribadisce come sia fondamentale per i giovani riconoscere di avere successo pur esercitando uno sforzo moderato o ragionevole, in quanto consente loro di sviluppare maggiore fiducia in se stessi e nelle proprie possibilità, proprio perché realizzano di poter ottenere buoni risultati contando prima di tutto sul loro ingegno e non imputando questo successo primariamente allo sforzo esagerato cui si sono sottoposti:

La scuola serve come una pista di prova, dove i giovani costruiscono la fiducia nelle loro capacità e crescono sempre più a loro agio facendo affidamento su di esse. Le nostre figlie, d’altra parte, possono perdere l’occasione di acquisire fiducia nelle loro capacità se contano sempre e solo “sull’olio di gomito intellettuale”.

Perché si chiama effetto Hermione?

Il fenomeno prende il nome da Hermione Granger, il personaggio fantasy creato dalla scrittrice inglese J. K. Rowling e tra i protagonisti principali della serie di romanzi Harry Potter, che nella celebre saga cinematografica viene interpretata dall’attrice inglese Emma Watson.

Hermione, migliore amica di Harry Potter e Ron Weasley, con cui forma un trio indissolubile, è nota per essere una ragazza che si impegna moltissimo nello studio – anche più del dovuto, appunto – ottiene voti impeccabili e aspira sempre a ottenere il massimo, non nascondendo delusione e disappunto di fronte a risultati accademici “imperfetti”.

Ecco due esempi tipici del suo perfezionismo, che ha dato nome al fenomeno sopra descritto:

  • Nel terzo volume dal titolo Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, i protagonisti sono chiamati a scegliere quali corsi aggiuntivi frequentare nel loro percorso scolastico e Hermione decide di frequentarli tutti.
  • Sempre nel libro Harry Potter e il prigioniero di Azkaban Hermione consegna un saggio sulla storia della Magia “due rotoli di pergamena più di quanto richiesto dal professor Binns”.

Effetto Hermione e gender gap

Come abbiamo detto in apertura, sono diversi i fattori che determinano e continuano a perpetuare il gender gap, molti di questi hanno a che fare con radicate strutture socio-culturali tipiche di un mondo, specie quello lavorativo, fatto a vantaggio e su misura degli uomini e che continua a penalizzare le donne e le loro carriere.

Questi sono purtroppo degli aspetti che poco dipendono dalla volontà e dai comportamenti del singolo ma che richiedono un cambiamento su scala globale, prima di tutto dal punto di vista culturale, oltre che un piano di politiche economiche e sociali mirate che portino a un ripensamento e a una profonda ristrutturazione dei modelli e le dinamiche con cui da decenni ci scontriamo.

In questo senso, già molto potrebbe fare una maggiore presenza femminile nei ruoli manageriali e di potere, tradizionalmente deputati a prendere decisioni e definire strategie e nuovi assetti organizzativi, così da facilitare l’avvento di quel cambiamento culturale, e non solo, da tempo auspicato, per ridurre al massimo il divario di genere e le sue conseguenze.

Ma, come sottolinea Damour nel suo articolo, potrebbero essere proprio le donne stesse a contribuire in modo importante a questa situazione di disparità, con il loro atteggiamento di esasperato perfezionismo, frutto di un difetto di auto-percezione, che porta a sottostimare se stesse e le proprie capacità.

Il perfezionismo è infatti un ostacolo pericoloso, oltre che un ulteriore inibitore della fiducia, che innesca a sua volta un infinito circolo vizioso che si autoalimenta, da cui le donne ne escono sempre più penalizzate e minate nella loro autostima. Al contrario, la fiducia si ottiene proprio smettendo di chiedere sempre di più a se stesse e riconoscendo i risultati raggiunti, senza continuare a confrontarsi con standard di perfezione irraggiungibili.

Anche perché, ironia della sorte, il voler fare tutto alla perfezione ci porta molto spesso a non iniziare neanche, visto che nella maggior parte delle volte ci si considera inadeguate, impreparate o non ancora all’altezza della situazione – sempre in base a quegli standard altissimi che ci siamo fissate.

E, infatti, questo atteggiamento costerebbe alle donne promozioni in meno, farebbe saltare possibili posizioni lavorative di prestigio e renderebbe un miraggio lontano ottenere stipendi più consistenti.

Anni fa la multinazionale statunitense dell’informatica Hewlett-Packard, che stava cercando di incrementare il numero di donne nelle posizioni di top management, ha infatti rilevato che le donne tendono in media a fare domanda per una promozione solo quando credono di soddisfare il 100% delle qualifiche richieste per quel lavoro, a differenza dei colleghi uomini che si candidano invece quando pensano di poter soddisfare il 60% dei requisiti richiesti.

Inoltre, secondo quando sostiene Linda Babcock, professoressa di economia alla Carnegie Mellon University, basandosi sugli studi effettuati sugli studenti di business school, gli uomini chiederebbero un aumento di stipendio quattro volte più spesso delle donne, chiedendo tra l’altro, rispetto a queste ultime, in media il 30% in più.

Risulta dunque piuttosto evidente come la scarsa fiducia e la tendenza al perfezionismo tipica delle donne portino queste ultime a bruciarsi preziose occasioni lavorative di cui sarebbero meritevoli e all’altezza, a vantaggio spesso di colleghi uomini meno competenti ma ben più consapevoli del proprio valore.

Ed è proprio da questa consapevolezza che possiamo partire per dare inizio a quel cambiamento auspicato per abbattere il gender gap, perché ci troviamo di fronte a un aspetto maggiormente in nostro potere, rispetto alle barriere strutturali di cui abbiamo parlato in precedenza che richiedono interventi ben più radicati e di respiro globale.

Superare l’effetto Hermione

Perché questa tendenza controproducente venga efficacemente contrastata e smetta di rappresentare un ostacolo, è necessario che siano in primis insegnanti e genitori ad aiutare le giovani – e, in generale, tutti i giovani studenti che manifestano questo atteggiamento – a riconoscere i comportamenti virtuosi che possono rafforzare la loro autostima, contribuendo a formare delle future donne sicure di sé in grado di contare sulle proprie capacità e potenzialità.

Come? Prima di tutto, smettendo di elogiare il lavoro eccessivamente impegnativo, anche se questo porta a risultati brillanti e a buone votazioni, perché lo scotto sarebbe infondere nelle giovani donne la falsa convinzione che il loro successo sia esclusivamente legato al duro lavoro e alla fatica e non al loro talento e alle loro capacità.

In questo senso, soprattutto i genitori possono fare molto: dimostrare ai propri figli che il loro valore non dipende da un numero né accresce se questo numero aumenta è infatti un aspetto fondamentale per contribuire a fortificare la loro autostima e spingerli a ricercare la propria realizzazione anche in altro. Incoraggiarli a coltivare nuove passioni e passatempi, permettere loro di conoscere se stessi anche attraverso altre realtà che non siano solo la scuola, consentirà loro di arricchirsi e di suddividere anche il tempo e le energie in modo più equilibrato ed equo.

Insieme a questo, è poi fondamentale che i genitori dimostrino il loro appoggio e riconoscano apertamente i meriti raggiunti dai figli, senza aspirare loro stessi al massimo per questi ultimi, per permettere loro di costruire sin da subito una buona autostima e iniziare a godere di ogni successo, anche del più piccolo.

È stato infatti dimostrato che la tendenza al perfezionismo può contribuire all’insorgere di disturbi alimentari, depressione e ansia tra gli studenti. Inoltre, non essere mai soddisfatti di ciò che si ottiene, aspirare ossessivamente al meglio e sempre a “qualcosa di più”, senza mai godere di quello che si è raggiunto, porta in futuro ad adulti frustrati, abituati a sottostimarsi e convinti di meritarsi meno di ciò che spetta loro e che hanno piena capacità di conquistarsi.

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