Male gaze, perché ci guardano (e spesso ci guardiamo!) con lo 'sguardo maschile'

Quando guardiamo un film o leggiamo un libro pensiamo che lo sguardo che racconta e descrive sia neutro, ma è davvero così o siamo abituati a pensare che “maschile” significhi universale? Cosa è il “male gaze” e perché dovremmo superarlo, subito.

Gridare alla dittatura del politically correct e accusare l’industria mediatica di farsi forzatamente inclusiva è una delle mode del momento.

Forse, invece di lamentarsi perché “non si può più dire niente” è più utile ribaltare la prospettiva, chiedendosi cosa si è detto e rappresenta e in che modo lo si è fatto finora. Partendo dal male gaze, lo “sguardo maschile” che, incontrastato, domina la cultura mainstream.

Cos’è il male gaze?

A introdurre per la prima volta il concetto di “male gaze” è stata Laura Mulvey, teorica femminista del cinema nel suo saggio Visual Pleasure and Narrative Cinema del 1975, in cui ha descritto come la maggior parte del cinema tradizionale fosse realizzato in modo da compiacere il voyeurismo maschile (eterosessuale), oggettivizzando le figure femminili e mostrandone il corpo attraverso una lente maschile, riducendo la donna a un non attore passivo secondario rispetto ai personaggi maschili attivi.

Non si può dire che questa teoria, certamente figlia della cultura femminista del suo tempo e limitata al cinema, possa dirsi superata: il male gaze, anzi, è ancora oggi preponderante.

Uno sguardo che non si esprime solo attraverso la macchina da presa, ma pervade tutta la cultura occidentale, dalla letteratura fino all’arte, come notava già il saggio Questione di sguardi del critico d’arte John Berger del 1972:

La donna deve guardarsi di continuo. Ella è quasi costantemente accompagnata dall’immagine che ha di se stessa. […] Gli uomini agiscono e le donne appaiono. Gli uomini guardano le donne. Le donne osservano se stesse essere guardate. Ciò determina non soltanto il grosso dei rapporti tra uomini e donne, ma anche il rapporto delle donne con se stesse.

Il male gaze nel cinema e nello spettacolo

Gli uomini agiscono e le donne appaiono, anzi appaiono solo per farsi guardare, e desiderare. Potremmo riassumere così lo “sguardo maschile”, che nel cinema si divide in tre prospettive precise: lo sguardo di chi sta dietro la macchina da presa, lo sguardo dei personaggi maschili all’interno della rappresentazione e infine lo sguardo dello spettatore (maschio) che osserva la rappresentazione. Uno sguardo che il più delle volte oltre che maschile è cisgender, bianco, occidentale, abile.

Se la teoria di Laura Mulvey si focalizzava sul cinema, tutti gli altri media mainstream non se la cavano meglio, a partire dalla tv, che negli anni ci ha fornito innumerevoli esempi di cosa significhi “male gaze”, in programmi pensati da uomini per gli uomini. Basti pensare alle veline, letterine, ombrelliine, decine e decine di -ine semisvestite il cui unico scopo è la bella presenza, stare immobili – passive, appunto – e farsi guardare.

Cosa dire poi della pubblicità? È sufficiente accendere la tv o scrollare il feed dei social per trovarsi davanti una galleria degli orrori che altro non è che un inno allo sguardo maschile e che il gruppo Facebook La pubblicità sessista offende tutti documenta giorno dopo giorno: volti nascosti, donne-oggetto, corpi ipersessualizzati, doppi sensi da spogliatoio e “brave Giovanne brave” che aiutano a dipingere cancellate in perfetta tenuta da cameriera sexy, stuzzicando le fantasie erotiche del compiaciuto padrone di casa.

Poteva salvarsi forse il mondo della letteratura? No, purtroppo, e per questo sono sempre di più le lettrici – molti meno i lettori, non a caso – che cercano un altro sguardo tra le pagine scritte dalle donne, da sempre però considerate “minori” o di parte, come ricorda la scrittrice Loreta Minutilli:

L’accusa che le mie letture siano parziali nasce dall’implicita assunzione che le cosiddette questioni femminili sono una minima parte del reale e che, in fondo, sono interessanti solo per le donne. Il mondo si può guardare attraverso gli occhi di una donna una volta o due, per curiosità, ma poi, se si vuole essere presi sul serio, è il caso di tornare alla prospettiva dominante, quella normale. Ma siamo sicuri che il mondo visto attraverso gli occhi di un uomo sia normale?

Gli effetti dello “sguardo maschile” nella società

L’effetto più immediato del dominio del male gaze è la riduzione ad alterum della prospettiva femminile, che viene ridotta a parziale, meno interessante al punto che, quando ne viene riconosciuto il valore (è il caso dei grandi premi internazionali del Cinema) questo risultato viene attribuito solo dell’obbedienza al famigerato politically correct. Ma questo non è che una delle piccolissime conseguenze di questo sguardo, che influisce profondamente sul modo in cui le donne percepiscono se stesse, il proprio corpo e il proprio spazio nel mondo.

Essere belle, essere guardate – e apprezzate – è l’obiettivo che insegnano alle bambine a perseguire sin dall’infanzia, il fine ultimo. Per gli uomini, guardare è un diritto di nascita e un dovere per rivendicare l’appartenenza al club dei “veri maschi”. Per questo ancora quando si parla di catcalling si sente rispondere «ma è un complimento», «eh ma non si può più dire niente» o, come si è sentita dire Aurora Ramazzotti «non sei abbastanza bella, i fischi per strada te li devi meritare».

Il male gaze, però, non riguarda solo il modo in cui le donne vengono utilizzate per soddisfare la fantasia maschile, ma anche il modo in cui questo sguardo le fa sentire con se stesse. Continuamente osservate, spogliate, giudicate, le donne devono essere belle, piacenti, sessualmente desiderabili.

È un’idea martellante e ossessiva che riguarda il modo in cui quel certo rotolino di grasso deborda dalla sua pancia, il fatto che tutti i presenti nella stanza stanno senza ombra di dubbio guardando quella strisciolina di peli sul ginocchio che le è sfuggita durante la ceretta, il modo in cui le stanno i capelli mentre corre sul tapis roulant in palestra.

Riassume perfettamente Jennifer Guerra in Il Corpo Elettrico, il desiderio nel femminismo che verrà, il suo saggio femminista che riparte proprio dal corpo come soggetto politico e che è un testo imperdibile dal punto di vista della riflessione sullo sguardo maschile.

Il monitoraggio – e il giudizio – del proprio corpo è un pensiero costante che, ci dice uno studio realizzato da Rachel M. Calogero per Psychology of Women Quarterly, si fa più forte di fronte alla sola idea di uno sguardo maschile:

L’anticipazione dello sguardo è stata manipolata facendo credere alle partecipanti che avrebbero interagito con un uomo o una donna prima di completare diverse misure di autovalutazione. I risultati hanno dimostrato che anticipare uno sguardo maschile produceva una vergogna corporea e ansia sociale rispetto al corpo significativamente maggiore rispetto ad anticipare uno sguardo femminile.

Non va meglio, però, a chi rifiuta quello che sembra il suo naturale destino di ricerca della bellezza per offrirsi come oggetto sessuale: ricordate cosa è stato detto delle incredibilmente talentuose ma “sciatte” Giovanna Botteri o Frances McDormand?

Perché è ora di superare il male gaze

Pensateci, quante volte al giorno controllate il vostro corpo, soppesandolo, giudicandolo, osservandolo con uno sguardo che pensate essere il vostro ma è filtrato da quello maschile?
Diciamo che lo facciamo per noi, per sentirci bene con noi stesse, ma è davvero così?

Nasciamo e cresciamo imbevuti in un sistema sociale e culturale che ci dice cosa le donne debbano essere e ce lo dice con molta chiarezza: oggetti, begli oggetti che possano compiacere lo sguardo del maschio. In questo modo, nemmeno il nostro corpo ci appartiene più. E non pensate che sia facile riappropriarsene: che non vi venga in mente di poter decidere liberamente cosa fare del vostro corpo o – il cielo non voglia – decidere di mostrarlo come, quando e nel modo che preferite.

Alle donne che non rispettano questi schemi e si vestono in modo più succinto di ciò che è moralmente accettato o se hanno più partner sessuali o se non rispettano dei canoni che mai – e ripeto, MAI – abbiamo scelto di avere? E, nello specifico: cosa succede quando una donna mostra il proprio corpo?
Succede che il pregiudizio di cui vi parlavo prima prende la meglio e si innesca un meccanismo escludente e giudicante nei confronti della morale e delle capacità di chi sfida le convenzioni stereotipate. […] In questo senso, si attua un’eliminazione del soggetto problematico dalla sfera decisionale, umiliandone i costumi e l’intelligenza, riducendolo a una macchietta. Questa è, ne più ne meno, una forma di controllo nei confronti di un intero sesso e avviene in ogni momento della nostra vita.

Ci ricorda Carlotta Vagnoli nel suo articolo sullo slut shaming. Lo sguardo maschile può sì sessualizzare le donne, ma entro certi limiti precisi che sempre dalla cultura maschile e patriarcale sono dettati. Ma come possiamo uscirne?

Ci hanno abituati a pensare che il maschile sia la misura di tutte le cose, e che “uomo” significhi neutro. Non è così, e dobbiamo ricordarlo (e ricordarcelo), dobbiamo recuperare altri sguardi e dare loro uguale valore, per costruire narrazioni differenti e imparare a guardare – e guardarci – con occhi diversi.

Così, il female gaze non sarà “solo” uno sguardo femminile, ma anche una dichiarazione politica: è lo sguardo di un oggetto che, consapevole di essere stato costantemente osservato, ora guarda a sua volta. Solo così le donne possono farsi soggetto e riappropriarsi del proprio spazio come elementi autonomi, senza dipendere da uno sguardo maschile che ne legittimi l’esistenza.

Il capitale amoroso. Manifesto per un eros politico e rivoluzionario

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