Cos'è lo stupro coniugale di cui si parla ancora troppo poco

Lo stupro coniugale, come si evince dal suo nome, indica tutti i casi in cui a effettuare lo stupro è uno dei due membri della coppia unita in matrimonio. Nella maggior parte delle volte, a macchiarsene sono gli uomini, anche a causa di un vetusto retaggio patriarcale in base al quale la donna è considerata una "legittima proprietà" dell'uomo che la prende in moglie. Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

Ormai è cosa nota: la maggior parte delle violenze (sessuali, psicologiche, economiche, verbali) deriva proprio da coloro che dicono di amare la vittima delle stesse. E, nella maggior parte dei casi, a perpetrare la violenza sono gli uomini a danno delle donne, ovvero compagne, fidanzate e mogli cui si suppone sia riservato un trattamento del tutto diverso da quello coercitivo e abusante.

In tale scenario rientra anche un fenomeno di cui si discute ancora relativamente poco – anche a causa delle irrisorie denunce sporte -, ma che, per gravità e pericolo, dovrebbe, invece, occupare molto più spazio nel dibattito pubblico: lo stupro coniugale, ossia quello agito da parte dei mariti nei confronti delle proprie partner.

Di che cosa si tratta, nello specifico? Vediamolo nei dettagli.

Che cos’è lo stupro coniugale?

Lo stupro coniugale, come si evince dal suo nome, indica tutti i casi in cui a effettuare lo stupro è uno dei due membri della coppia unita in matrimonio. Nella maggior parte delle volte, a macchiarsene sono gli uomini, anche a causa di un vetusto retaggio patriarcale in base al quale la donna è considerata una “legittima proprietà” dell’uomo che la prende in moglie.

Il rapporto sessuale, dunque, si configura, in questo ambito, alla stregua di un obbligo, cui la donna soggiace o in maniera inconsapevole e/o non del tutto convinta (durante il sonno o in situazioni di vulnerabilità, come una malattia), o costretta da aspetti contingenti che rendono “necessario” un incontro intimo con il partner (violenza psicologica, coercizione, ricatto, senso del dovere/obbligo, instillazione del senso di colpa e affini).

Come spiega l’avvocata Selene Pascasi, infatti:

I casi sono una miriade, e meritano ognuno un vaglio specifico. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui la vittima abbia preferito “dire di si”, piuttosto che correre peggiori rischi. E allora, per accertare se si sia di fronte ad una violenza sessuale (prevista e sanzionata dal Codice Penale) oppure ad un semplice rapporto carnale fra coniugi (magari non pienamente desiderato, ma comunque liberamente accettato dal partner), ci si dovrà chiedere: il consenso al congiungimento fisico, è stato davvero volontario, o frutto di sottomissione psicologica?

E, ancora:

Ricordiamo, infatti, che nel Codice Penale, lo stupro “per costrizione” fisica è equiparato ad ogni effetto a quello commesso “mediante minaccia”. In tale ottica, pretendere del sesso dal coniuge, prospettandogli un male ingiusto – rivolto alla stessa vittima o a terzi – configurerà inevitabilmente una comune violenza sessuale.

Che cosa sono i “doveri coniugali”?

Al momento del connubio matrimoniale, tutte le coppie sottoscrivono – a livello legale – un patto che sancisce tutti i cosiddetti doveri coniugali che intercorrono tra i componenti dell’accordo. Tra questi si annoverano, per esempio, il dovere alla fedeltà, all’assistenza materiale e morale, alla coabitazione, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla contribuzione ai bisogni familiari e domestici in base alle proprie capacità economiche (ossia ciascuno dà in proporzione allo stipendio che percepisce).

Peccato che, tra di essi, molti inseriscano anche il “dovere al rapporto sessuale”, frutto, come abbiamo accennato, di secoli di patriarcato e dominazione maschilista, sulla base dei quali la moglie, nel momento in cui diventa tale, si tramuta automaticamente in uno dei molteplici beni immateriali posseduti dal marito, e di cui questi può disporre a suo piacimento quando e come desidera.

Di qui, la resistenza tipica con cui certi uomini non si arrendono al primo “No” o al primo, annoso, “Ho mal di testa”, bensì reiterano nel chiedere intimità – anche quando palesemente non desiderata dalla partner di riferimento – e danno luogo a una petulante, fastidiosa e aggressiva insistenza che, nei casi peggiori, può sfociare anche in veri e propri episodi di stupro coniugale.

La violenza domestica

Molto spesso, lo stupro coniugale ha luogo in un contesto già caratterizzato da molteplici segnali d’allarme. Uno di questi, senza dubbio, è la violenza domestica, espressione con cui ci si riferisce a tutte quelle forme di abuso perpetrate all’interno dell’ambito familiare.

Come si legge su Save the Children, infatti:

L’espressione violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo famigliare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. Essa è infatti anche definita violenza da partner intimo ed è statisticamente agita, in termini significativi, più frequentemente dagli uomini sulle donne.

Si parla, quindi, di violenza sistemica, dal momento che essa affonda le proprie radici nella disparità di genere e di potere che ancora oggi contraddistingue la società patriarcale odierna, con subordinazioni e gerarchie che si riflettono anche nella cornice domestica. E che, nelle sue numerose declinazioni, può, così, costituire l’alveo di un abuso sessuale grave – e ancora non adeguatamente indagato – come lo stupro coniugale.

Lo stupro coniugale e la legge

E la legge come si pone nei confronti dello stupro coniugale? Se prima si parlava di “delitti contro la morale pubblica e il buon costume”, a partire dalla Legge di riforma n. 66/96 tutti i reati di natura sessuale vennero inseriti tra quelli commessi contro la “libertà personale”.

Anche quello di stupro coniugale, come ha rimarcato la stessa Corte di Cassazione italiana, la quale, a partire dagli anni ’70, ha stabilito che l’unione matrimoniale non rappresenta in alcun caso un pretesto mediante cui imporre prestazioni sessuali al partner. Come si legge su Fem:

L’articolo 577 prevede persino l’aggravante nei casi in cui queste aggressioni vengano perpetrate dal coniuge, anche qualora separato e domiciliato in una differente abitazione. Inoltre, non è necessario che la vittima riporti lesioni evidenti sul corpo o che abbia tentato di svincolarsi in maniera decisa dall’aggressore poiché tale atteggiamento potrebbe trovare la propria ragion d’essere nello stato di terrore in cui verteva quest’ultima al momento della violenza.

Non importa, dunque, il grado di unione che lega due persone: fidanzato o marito, se il consenso al rapporto è negato, in dubbio o rinegoziato, il volere così espresso deve essere pienamente rispettato e non estorto. Anche nel “vincolo sacro del matrimonio” e nel suo corrispettivo talamo: emblema di intimità e complicità, in teoria, ma spesso teatro di coercizioni e abusi silenziosi.

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