Il mito dell’androgino nel passato e nella cultura contemporanea

Crasi delle parole greche "ἀνήρ" (anèr), "uomo", e "γυνή" (gyné) "donna", il termine androginia è stato coniato nel 1974 dalla psicologa statunitense Sandra Ruth Lipsitz Bem e indica un connubio equilibrato e fluido di tratti propri della mascolinità e della femminilità. Ma che cosa significa, con esattezza, essere androgini, e come si esplica? Scopriamolo insieme.

Né uomo, né donna, ma una commistione ben calibrata e armoniosa dei due. Si tratta della cosiddetta “androginia”, un’espressione di sé che non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale, l’orientamento romantico e/o gli organi sessuali, ma che riguarda esclusivamente i tratti di mascolinità e femminilità che ciascun individuo presenta nel suo modo di porsi, vestirsi e atteggiarsi.

Presente in tutti gli ambiti, dalla filosofia alla letteratura, dalla moda alla musica, l’androginia rappresenta, dunque, una sorta di “terza identità” rispetto a quelle meramente maschile e femminile, in cui le componenti caratteristiche – a livello socio-culturale – di queste ultime si uniscono a creare un connubio equilibrato e fluido.

Ma che cosa significa, esattamente, essere androgini, e come si esplica? Vediamone i dettagli.

Che cosa significa androginia?

Crasi delle parole greche “ἀνήρ” (anèr), “uomo”, e “γυνή” (gyné) “donna”, il termine androginia è stato coniato nel 1974 da Sandra Ruth Lipsitz Bem, psicologa statunitense e docente presso l’Università del Michigan, la Carnegie Mellon University, la Stanford University e la Cornell University.

Bem, analizzando gli studi effettuati precedentemente su femminilità e mascolinità – giudicati come estremi di un continuum –, avanza l’idea che maschile e femminili possano, al contrario, essere ritenuti come due costrutti indipendenti, ossia due “scale” separate in cui ai poli vi siano, da un lato, “alta mascolinità” e “bassa mascolinità” e, dall’altro, “alta femminilità” e “bassa femminilità”.

Ne è derivato, così, il Bem Sex Role Inventory (BSRI), un test che, mediante una lista di aggettivi e di peculiarità reputate tipicamente maschili, femminili o neutre, intende determinare la complessità dei costrutti sopraelencati e, in base ai punteggi, rilevare il “grado” di mascolinità, femminilità o androginia.

Come si legge su Istituto Beck, le condizioni in cui ci si può imbattere sono le seguenti:

  1. Condizione di Mascolinità: percepirsi con molte caratteristiche ritenute mascoline e con poche caratteristiche femminili:
  2. Condizione di Femminilità: percepirsi con molte caratteristiche ritenute femminili e poche caratteristiche maschili;
  3. Condizione di Androginia: percepirsi sia con molte caratteristiche ritenute maschili che con molte caratteristiche femminili;
  4. Condizione di Indifferenziazione: percepirsi sia con poche caratteristiche maschili che con poche caratteristiche femminili.

Il mito dell’androgino nel passato

La condizione androgina, tuttavia, non è una novità del mondo contemporaneo, bensì affonda le sue radici in tempi lontani. In Occidente, infatti, il primo a discuterne fu Platone, il quale, nel dialogo Simposio, offre la voce al commediografo Aristofane proprio per introdurre il mito dell’Androgino.

In base a quest’ultimo, come è noto, uomini e donne sarebbero nati “uniti”, con una sola testa, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe, due organi sessuali e le due facce orientate in direzione opposta a costituire una forma tonda. Gli esseri umani così composti apparivano, però, particolarmente superbi agli occhi degli dèi, di cui tentarono di conquistare l’Olimpo, motivo per cui Zeus decise di intervenire dividendo, con una saetta, ciò che era unito.

Separati e indeboliti, uomini e donne iniziarono a trascorrere il resto della propria vita alla ricerca della metà perduta: di qui, la spiegazione della nostra “tendenza” a cercare l’amore e il ricongiungimento fisico, con cui ricreare l’unità perduta, compresa quella androgina – dal momento che i sessi, secondo il mito, erano tre: completamente maschile, completamente femminile e un’unione dei due.

La medesima concezione ha, poi, contraddistinto anche il neoplatonismo, il neopitagorismo, molte sette dello gnosticismo cristiano e della gnosi ebraica, nonché il Rinascimento, il Risorgimento e alcune religioni, culture e pratiche orientali, quali l’induismo, lo sciamanesimo e i riti iniziatici.

L’androginia nella moda e nella cultura contemporanea

Ma l’androginia, come accennato, ha trovato terreno fertile anche nella moda e nella cultura odierna. Si pensi, ad esempio, allo stile garçonne, ossia quello che, nel primo dopoguerra, si riferiva a tutte le donne che iniziavano a emanciparsi e a rivendicare la propria autodeterminazione indossando capi propri dell’armadio maschile, dai pantaloni dal taglio classico alle camicie, dai pullover accollati alle scarpe stringate, fino ai cappotti dritti, le cravatte, i papillon e i cappelli a tesa larga. Il tutto impreziosito, naturalmente, da capelli corti e, spesso, seno piatto.

A livello culturale, invece, l’androginia ha fatto la sua propria apparizione in particolar modo nel mondo della letteratura. Tra i protagonisti più celebri, si annoverano, per esempio, l’Orlando di Virgina Woolf, ispirato alla storia familiare tumultuosa della poetessa e romanziera aristocratica Vita Sackville-West (amica e amante di Woolf) e incentrato sulle avventure di un poeta che cambia sesso, passando dall’essere uomo all’essere donna, e vive per secoli, incontrando le figure chiave della storia letteraria inglese.

O, ancora, la Séraphîta di Honoré de Balzac, figura androginica che si richiama ai serafini, ossia la più alta gerarchia angelica e la più ricolma di amore divino, capace, secondo l’autore, di apparire sotto due forme distinte, di donna agli uomini e di uomo alle donne.

A questi emblemi si affiancano, poi, Il Golem di Gustav Meyrink, Petrolio di Pier Paolo Pasolini, Creatura di sabbia di Tahar Ben Jelloun, ma anche il personaggio di Tiresia citato nella Terra desolata di Thomas Eliot e i fratelli Ulrich e Agathe de L’uomo senza qualità di Robert Musil.

Androginia, stereotipi di genere e inclusione

Ma che cosa significa, da un punto di vista sociale, essere androgini? Quando l’androginia entra in scena, a essere messi in luce sono, infatti, stereotipi di genere creati e diffusi nel contesto socio-culturale di provenienza. Per tale ragione, oltre al mero vestiario, potremmo trovare un’unione di dolcezza e forza, accudimento e indipendenza, razionalità ed emotività, assertività e indecisione, e così via.

Proprio come teorizzato da Eleanor Maccoby, professoressa di Psicologia presso la Stanford University che, in The Psychology of Sex Differences del 1974, teorizza che le differenze tra uomini e donne non sono così sostanziali come si presuppone e che, come accennato, femminilità e mascolinità siano, in realtà, ai poli di un continuum, mostrando, perciò, molta più somiglianza di quanto si creda. Infatti:

Questa dicotomia di ruolo è servita a oscurare due ipotesi plausibili: molti individui sono androgini, ovvero è probabile che possano essere sia maschili che femminili, sia assertivi che indecisi, sia razionali che emotivi sulla base della risposta appropriata alle varie situazioni. E, al contrario, gli individui che sono fortemente tipizzati nel ruolo sessuale sono limitati nella serie di comportamenti a disposizione nelle diverse circostanze.

Come si legge su Progetto Genderqueer, inoltre, essere androgini può essere sia educativo, sia inclusivo, dal momento che conduce persone non transgender e/o omosessuali a decostruire il binarismo di genere e ad assumere tratti propri del “sesso opposto”, valicando stereotipi e pregiudizi e abbracciando le sfumature e la diversità.

Esempi famosi di bellezza androgina

Il mondo della moda, della cultura, della musica, dell’arte e della letteratura è, quindi, costellato di bellezze androgine. Tra queste, citiamo senza dubbio: Marlene Dietrich, vera e propria icona dello stile androgino e prima star a indossare abiti maschili, in un mix di trasgressione e serietà; Louise Brooks, che negli anni ’20 e ’30 scandalizzava la società indossando smoking maschili; la modella Twiggy, portavoce, negli anni ’60, dello stile androgino; e Annie Lennox, emblema dell’androginia pop negli anni ’80.

E poi, ancora: Liza Minnelli, regina dei musical americani e amante, in egual modo, di smoking e calze a rete; l’attrice Kristen Stewart, dallo stile androgino eclettico e originale; Rita Pavone, volto di Gian Burrasca; Patti Smith, perennemente in pantaloni e camicia; e, inoltre, alcune delle eccellenze di Hollywood, quali Diane KeatonGrace Jones e Tilda Swinton.

Senza dimenticare, infine, colui che ha creato un vero e proprio alter ego androgino: David Bowie e il suo perturbante, carismatico e ipnotico Ziggy Stardust, vera e propria leggenda del glam.

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