Hate speech: breve guida per riconoscere e combatterle i discorsi d'odio

L'espressione "hate speech" deriva dall'accostamento dei termini inglesi "hate", "odio", e "speech", "discorso", ed è spesso tradotta alla stregua di "discorso d'odio", "linguaggio d'odio" o "espressioni d'odio". A essa si fa, infatti, ricorso quando si vuole indicare una manifestazione di discriminazione e avversione nei confronti di persone - intese sia come singoli, sia come gruppi - che appaiono "differenti" in relazione a genere, nazionalità, stato di abilità, tratti somatici, fisicità, credo religioso e appartenenza politica. Vediamone i dettagli.

La discriminazione nei confronti di persone considerate “diverse” dalla cosiddetta “norma” o verso le quali si prova particolare avversione è sempre esistita, e ha trovato veicolo di espressione dapprima mediante le forme scritte (giornali, pamphlet, affissioni), e, in seguito, attraverso la radio, la televisione e, nel complesso, i contenuti audiovisivi.

Con Internet, tuttavia, questa tendenza all’espressione delle proprie avversità verso determinati individui si è acuita in maniera preponderante, dando origine a quello che viene comunemente definito hate speech, ossia un “discorso d’odio” che colpisce in maniera trasversale ed estesa una molteplicità di persone e categorie, con conseguenze gravi su chi lo subisce.

Ma che cos’è esattamente lo hate speech e come si esplica nel concreto? Vediamone i dettagli.

Hate speech: cosa significa?

L’espressione “hate speech” deriva dall’accostamento dei termini inglesi “hate“, “odio”, e “speech“, “discorso”, ed è spesso tradotta alla stregua di “discorso d’odio“, “linguaggio d’odio” o “espressioni d’odio“. A essa si fa, infatti, ricorso quando si vuole indicare una manifestazione di discriminazione e avversione nei confronti di persone – intese sia come singoli, sia come gruppi – che appaiono “differenti” in relazione a genere, nazionalità, stato di abilità, tratti somatici, fisicità, credo religioso e appartenenza politica.

Una vera e propria violenza verbale che, in Rete, trova il suo luogo di predilezione, complice l’elevata democratizzazione e la conseguente – e forse, talvolta, un po’ estrema – libertà di parola. Alla quale, molto spesso, non si riesce a imporre un limite di decenza e rispetto.

Per tale ragione, dunque, le Nazioni Unite hanno deciso di istituire, a partire dal 2022, una Giornata Nazionale dedicata al Contrasto dell’Hate Speech che, come si legge su ONU Italia, si celebrerà il 18 giugno di ogni anno in risposta alla vertiginosa diffusione di linguaggi d’odio provocati da misoginia, xenofobia, razzismo, antisemitismo, odio antimusulmano, abilismo e intolleranza.

Chi sono le vittime dei discorsi d’odio?

Come accennato, le vittime del linguaggio d’odio tipico dell’hate speech sono tutti quegli individui considerati “distanti” dalla norma imposta, a livello di orientamento sessuale e romantico, di provenienza geografica, di condizione sociale, di genere, di fede e di cultura.

Ma sono soprattutto le donne a risultare protagoniste dei discorsi d’odio online. Come evidenzia l’ultima Mappa dell’Intolleranza 7, effettuata da VOX – Osservatorio Italiano sui Diritti – in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza – Università di Roma e IT’STIME dell’Università Cattolica di Milano – , e finalizzata a fotografare l’odio espresso via social, nel periodo compreso tra gennaio e ottobre 2022 l’avversione si è radicalizzata e polarizzata, facendosi, così, più intensa ed evidente.

In base alla rilevazione, infatti, i mass media avrebbero creato delle vere e proprie “epidemie” di intolleranza, rivolte alle donne (al primo posto sul podio della discriminazione), alle persone con disabilità e alle persone omosessuali, tornate, dopo anni, al centro del mirino. Come si legge sul sito di VOX:

Al suo settimo anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa – secondo 6 gruppi: donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani – cercando di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono e per l’interattività che garantiscono.

Esempi di hate speech sui social media

Di esempi sono ricolmi, purtroppo, siti internet, pagine di giornale, social network, blog, forum e affini. E non è necessario nemmeno faticare per trovarli, dal momento che essi sono ormai all’ordine del giorno: da Melissa Satta, accusata di essere la causa delle sconfitte tennistiche del compagno Matteo Berrettini, agli abiti indossati da Chiara Ferragni durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo, fino ai commenti sull’aspetto fisico, alla reiterazione degli stereotipi razzisti e alle esternazioni, aberranti, che seguono di frequente gli episodi femminicidio (come quelle di Cosimo Pagnani).

Il confine tra l’espressione di una critica e la discriminazione, infatti, risulta, per molti individui, piuttosto labile, tanto che in numerosi casi rischia di valicare il tracciato e dispiegarsi in fenomeni di hate speech, incitamento all’odio e aperta avversione. Un fenomeno che, come si legge anche su Rete contro l’odio, è stato corroborato dallo sviluppo delle nuove tecnologie, le quali avrebbero portato ai seguenti cambiamenti:

  • Non sono più pochi e potenti mezzi di informazione a produrre le notizie, bensì milioni di persone tramite i social network;
  • Le informazioni sono cresciute in quantità esponenziale, ma sono libere solo in apparenza, perché a deciderne la visibilità intervengono gli algoritmi dei social network e dei motori di ricerca;
  • Il sistema di informazione si sta polarizzando sempre di più, creando una dicotomia tra opposti – come quello tra amico/nemico. Bolle informative imprigionano gli utenti, escludendo opinioni diverse e non coerenti con il loro profilo.

Le conseguenze su chi subisce (e sulla società)

Ma che cosa prova chi subisce tale linguaggio d’odio? Come in ogni caso di discriminazione, gli effetti sono tangibili a livello psicofisico e possono comprendere depressione, malessere generalizzato, ansia, attacchi di panico, solitudine e isolamento e, nel complesso, un senso di esclusione accentuato e pervasivo.

Una serie di conseguenze nefaste non solo per l’individuo in sé e/o per il gruppo che subisce l’ondata di odio, ma anche per la società nel suo insieme, dal momento che le manifestazioni di intolleranza e avversione non fanno altro che innestare, nel tessuto della popolazione, i semi dell’ignoranza, della disinformazione e del disprezzo, andando a inquinare la già incrinata solidarietà civile e la coesione sociale.

Il risultato più lampante a livello macro, infatti, è proprio quello concernente l’acuirsi dell’astio tra “categorie” di persone, il quale evidenzia, così, quello scollamento tra “Noi” e gli “Altri” che allontana gli individui e appiattisce le differenze, nutrendo il ribrezzo, la separazione e la mancanza di rispetto.

Come combattere l’hate speech

Un modo immediato ed efficace per evidenziare i casi di hate speech è quello di segnalarli alle forze dell’ordine, chiedendo supporto e intervenendo prontamente prima che la situazione possa degenerare. Se si è vittime di discorsi d’odio, infatti, è fondamentale non isolarsi e non colpevolizzarsi, bensì circondarsi della propria rete di supporto e denunciare i profili da cui provengono livore e discriminazione.

«Di parole si vive e si muore» afferma la sociolinguista Vera Gheno, che nel suo ultimo volume edito da Longanesi, L’antidoto. 15 comportamenti che avvelenano la nostra vita in rete e come evitarli, intende proprio passare in rassegna tutti i comportamenti erronei adottati in rete, fornendo per ciascuno un “antidoto“, appunto, che possa decomprimerli e aiutarci a creare un’atmosfera più accogliente, anche online.

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