Bifobia: da "allora ti va bene tutto" ad altri pregiudizi che discriminano

Accusati spesso anche dalla medesima comunità LGBT+ che dovrebbe tutelarle, le persone bisessuali sono tuttora vittime di intolleranza e preconcetti a causa del proprio orientamento sessuale e/o romantico. Ma perché? Vediamone i dettagli.

«È solo una fase, passerà». Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase in relazione a persone che si dichiaravano bisessuali? Innumerevoli. E chi le emetteva con convinzione, probabilmente, non era nemmeno conscio di perpetuare un atteggiamento discriminatorio: la bifobia. Da sempre osteggiati, anche dalla stessa comunità LGBT+ (nonostante la presenza della “B” di bisessuali ne dovrebbe garantire la totale tutela al suo interno), i/le bisessuali conducono la propria esistenza percorrendo spesso un sentiero costellato di pregiudizi, stereotipi e intolleranza. Il motivo è riconducibile, come nella maggior parte dei casi in questo ambito, a una generale avversione nei confronti di tutto ciò che non rientra nella “norma” – sia questa etero o omosessuale – e, dunque, in un certo “binarismo”, che etichetti e releghi la persona o da una parte, o dall’altra. Un atteggiamento fortemente riduzionista, che, però, porta con sé conseguenze tangibili: una tra tutte, una complessiva sensazione di “invisibilità” percepita dagli individui bisessuali, così costretti a dover costantemente lottare per affermare se stessi e i propri orientamenti. Vediamone i dettagli.

Bifobia: che cos’è e che cosa significa

Il termine bifobia è un neologismo sorto dalla crasi tra il prefisso neoclassico “bi-”, ricavato dal sostantivo bisessualità, e la radice “-fobia”, “paura”, tratta da omofobia. Il concetto designa, quindi, la discriminazione rivolta contro tutte le persone che si identificano come bisessuali. Le quali – lo ricordiamo – sono individui che si dichiarano attratti sessualmente e/o romanticamente sia da persone del proprio genere, sia da soggetti di generi opposti (volutamente al plurale, perché, come si ricorda su Bossy, le identità di genere sono molteplici e non solo due). Coniato nel 1992 dall’autrice Kathleen Bennett proprio per indicare il pregiudizio nei confronti dei/delle bisessuali, il concetto fonda le proprie radici negli stereotipi associati alla bisessualità e, come accennato, è utilizzato in maniera trasversale e, nello specifico, anche da persone appartenenti alla comunità LGBT+. Come si legge in una testimonianza pubblicata sul sito Abbatto i muri:

All’interno del movimento queer, spesso capitava di parlare di quanto fosse binario il termine bisessuale, perché escludeva un sacco di identità di genere. Ben felice di non dover più usare il termine bisessuale, che mi aveva provocato solo drammi e dolori, ho iniziato a definirmi “pansessuale”, notando che improvvisamente la gente cambiava reazione. Le stesse lesbiche che facevano battute sulla “bisessualità che non esiste”, se ne uscivano con sparate del tipo “Beh, questo termine mi piace di più, più inclusivo”. Ma più inclusivo rispetto a chi e a che cosa?

Come si manifesta la bifobia

Basandosi su pregiudizi e false convinzioni, la bifobia si manifesta, come qualsiasi tipo di intolleranza in ambito umano, mediante insulti – manifesti o sottesi –, allusioni invasive e inappropriate e offese più o meno velate. Ma, soprattutto, come rivela la maggior parte delle dichiarazioni e confessioni facilmente reperibili online, il sentimento generale che accomuna le persone bisessuali è quello di una complessiva “invisibilità”. La bifobia, infatti, tende ad appiattire, spesso con arroganza e supposizione, la natura intrinseca della bisessualità, mirando a reprimere la complessità e la varietà di alternative che soggiacciono in essa. E puntando a creare una polarizzazione, che diventa più evidente in base al partner di riferimento con cui la persona bisessuale è impegnata.

Per quanto riguarda gli ambienti lesbico/gay – prosegue la testimonianza –, spesso, se dopo avermi visto con una ragazza, mi vedono con un ragazzo, mi appioppano il simpatico appellativo di “eterocuriosa”, mentre la volta prima, quando slinguavo allegramente con quella bella ragazza, ero una “lesbica fatta e finita”.

In definitiva, alle persone bisessuali non si “concede” di essere attratte (a volte in misura paritaria, altre con “percentuali” diverse – se proprio sentiamo la necessità di “conteggiare” il livello di attrazione) da persone di genere uguale e differente, perché, in questo modo, si rischia di deragliare, si esce dal binario prestabilito e “conforme” (posto, più o meno inconsciamente, anche dagli individui LGBT+), non si è abbastanza “queer” o “etichettabili” oppure, addirittura, si sfrutta la propria “posizione” per porsi sulla sponda eteronormativa ed eludere le discriminazioni. Comunque la si legga, insomma, la bifobia – spesso interiorizzata – delegittima le persone bisessuali e contribuisce ad alimentarne il senso di inadeguatezza e (percepito) disinteresse.

Bifobia, pregiudizi e stereotipi

Ma quali sono, dunque, i pregiudizi su cui si basa la bifobia? Ve ne sono sostanzialmente cinque:

1. “La bisessualità è una fase, che precede la scelta ‘definitiva’ del proprio orientamento”

Come spiegato in apertura, sono molte le persone che credono che la bisessualità sia solo una “fase di passaggio”, una “sperimentazione” cui ci si sottopone prima di capire in quale “categoria” rientrare. È vero: molti individui preferiscono aspettare prima di definire se stessi come eterosessuali o omosessuali (o altro). Questa necessità di tempo per capire e comprendersi meglio, tuttavia, non può essere utilizzata come metro di paragone, e, soprattutto, non può inficiare la rivendicazione di chi, invece, bisessuale lo è fin dalla nascita. La sessualità è fluida e varia in base ai momenti della nostra esistenza (lo dimostra anche il test di Kinsey), ma se una persona si dichiara bisessuale noi abbiamo il dovere di rispettare la definizione di se stessa che ha deciso di adottare (senza mettere in dubbio tale assunto o chiedere in quali proporzioni sia attratta da individui di genere uguale o diverso dal suo).

2. “Le persone bisessuali tendono ad avere relazioni promiscue e non sono monogame”

Che delle persone bisessuali non ci si possa fidare a pieno è, forse, un grande classico. Il timore ricorrente è, infatti, quello di essere esposti a una percentuale di tradimento di gran lunga superiore rispetto ad altre situazioni relazionali. Ma, dal momento che i/le bisessuali sono, prima di tutto, persone, viene da sé che la scelta di impegnarsi in relazioni monogame non dipenda dal proprio orientamento sessuale e/o romantico, bensì dai propri valori morali e, nel complesso, dal rapporto che si è deciso di intrattenere con il partner. In definitiva, se un bisessuale tradisce il/la suo compagno/a, non è certo a causa della sua bisessualità. Ed è offensivo anche solo pensarlo.

3. “Il mio partner potrebbe lasciarmi per qualcuno del sesso opposto al mio”

Come spiegato sopra, anche in questo caso la decisione di interrompere una relazione a favore di un legame con persone del sesso opposto al partner precedente non è “prerogativa intrinseca” della bisessualità, bensì una libera scelta dell’individuo agente. Tradimenti, sotterfugi e inganni sono trasversali, e riguardano tanto le persone etero e omosessuali quanto quelle bisessuali.

4. “Bisessuale è un termine binario”

Spiega questo punto la testimone cui si è fatto cenno nei paragrafi precedenti:

Storicamente, la comunità bisessuale è sempre stata quella più accogliente nei confronti delle persone trans e con generi non conformi, ma le rivendicazioni delle persone bisessuali sono nate in periodi storici in cui non esistevano termini adatti a descrivere l’attrazione per persone con generi non binari. La parola bisessuale, così come omosessuale, è stata creata dalle istituzioni mediche, non dalle persone direttamente interessate. Le persone bisessuali, anzi, hanno sempre rivendicato il significato della parola come: “Potenziale attrazione per più di un sesso/genere.

5. “Le persone bisessuali non fanno associazionismo e non sono abbastanza queer”

Capita molte volte che le persone bisessuali non sentano di essere “abbastanza” per la comunità LGBT+, dalla quale vengono spesso accusate di godere di una sorta di “privilegio etero” che consenta loro di sfuggire ai pregiudizi e alle discriminazioni associati ai membri della stessa. Il problema risiede proprio qui: nella maggior parte dei casi, i/le bisessuali si allontanano dal mondo dell’associazionismo perché poco accolti o, peggio, insultati. Non sempre, insomma, vi è spazio per loro, e il risultato è un progressivo scollamento tra parti              che, invece, dovrebbero lottare dallo stesso fronte.

Oltre la bifobia

Per superare le intolleranze e i contrasti nei confronti delle persone bisessuali, una prima soluzione sarebbe, senza dubbio, quella di accoglierne le voci, nel dibattito pubblico, sociale, politico. Solo mediante rappresentazione e ascolto, infatti, è possibile contrastare i pregiudizi persistenti e promuovere una maggiore “indulgenza” verso le istanze di ciascun individuo. Sempre a proposito di rappresentazione,  poi, sarebbe utile, in questo senso, introdurre – in film, serie tv, libri e, in generale, in qualsiasi forma culturale – un’accentuata presenza di caratteri bisessuali, in modo tale da rappresentare, appunto, anche questa componente dello spettro e, soprattutto, fornire, inoltre, alcuni punti di riferimento a chi, magari, fatica a comprendersi e potrebbe, in essi, riconoscersi. Come si legge sempre su Bossy, a questo proposito:

Quando, quasi dieci anni fa, mi sono scoperta bisessuale, avevo a malapena chiara la nozione di che cosa fosse la bisessualità: non avevo mai visto o letto di nessuno che fosse come me nei media che consumavo.

E, in ultimo, è necessario tenere a mente un assunto principale: al di là del nostro orientamento, siamo tutti persone, a prescindere dall’“etichetta” con cui ci presentiamo al mondo. E nessuno merita meno rispetto se quella che lo fa sentire più a proprio agio esula dalla “norma”. Anche se è diversa dalla nostra.

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