Da un paio di anni mi occupo di educazione contro la violenza sessuale, in particolar modo di lotta alla cultura dello stupro e analisi del fenomeno e delle statistiche correlate. Durante uno studio per un progetto recente mi sono imbattuta in dati riguardanti l’incidenza del fenomeno in soggetti queer e la brutalizzazione delle persone appartenenti alla comunità lgbtqia+.

Essendo una survivor e una donna pansessuale, immergermi in quella prevalenza di violenze è stato doloroso ma necessario, tanto da permettermi di rivalutare addirittura le mie esperienze di abuso in una chiave diversa.

Giugno è il pride month, il mese in cui si celebra la nostra identità e si ricordano le lotte che ci hanno permesso di arrivare fin qui. Si commemorano i compagn* scompars*, rivendicando i diritti non ancora ottenuti.

Per questo, ritengo fondamentale riflettere proprio ora sulla sessualizzazione delle soggettività queer e la violenza sui corpi lgbt+, per essere in grado di comprendere quanto sia necessario tenere alta l’attenzione sulla discriminazione che ancora accade e che non è fatta soltanto di abusi immediatamente visibili. Ci sono anche quelli, e fanno notizia. Ma permettetemi di raccontarvi altro adesso.

Come riporta l’Istituto Beck, secondo studi abbastanza recenti (Andersen & Blosnich, 2013) le persone gay, lesbiche e bisessuali riportano in percentuali maggiori le cosiddette Adverse Childhood Experiences (ACE) rispetto agli eterosessuali, presentando inoltre percentuali maggiori anche di probabilità di abusi ripetuti.

Le donne lesbiche e bisessuali corrono un rischio tre volte più alto rispetto alle donne eterosessuali di subire una violenza sessuale durante l’infanzia, gli uomini gay un rischio doppio rispetto a quelli eterosessuali (Hughes et al., 2010).

Ha fatto molta notizia, recentemente, il fenomeno del #MeTooGay in Francia, un hashtag diffusissimo su twitter negli scorsi mesi arrivato praticamente subito dopo quello del #MeTooInceste, relativo allo scandalo delle accuse nei confronti del politico Olivier Duhamel di aver violentato i figli di sua moglie. In questo caso, a far partire tutto, una denuncia contro uno dei consiglieri comunali parigini del Parti Communiste Français, Maxime Cochard. Perché nessuna violenza deve contare più di altre, oppure essere ridicolizzata o taciuta per la troppa vergogna.

Perché lo stupro è sempre una questione di dominio e potere in una società patriarcale che disprezza i suoi membri queer esattamente per le stesse ragioni per cui disprezza le donne: c’è un maschio etero cis dominante, che è la massima aspirazione possibile, poi c’è il resto, da possedere, da umiliare, da sfruttare. Omolesbobitransfobia e sessismo sono i figli della gabbia in cui come comunità viviamo tutt*. E bisogna ripensare le violenze sessuali in termini diversi da raptus, goliardia o incapacità di trattenersi da parte degli uomini se vogliamo combatterle.

The CDC’s National Intimate Partner and Sexual Violence Survey found for LGB people in particolare ha rivelato che, negli Stati Uniti, il 44% delle donne lesbiche e il 61% delle donne bisessuali subiscono nel corso della propria vita, almeno una volta, violenza sessuale, fisica o stalking. Le donne etero sono il 35%.

Il 26% degli uomini gay e il 37% di quelli bisessuali lo stesso, rispetto al 29 % degli uomini etero.

Sono state stuprate il 46% delle donne bisessuali. Praticamente la metà. Parliamo in questo caso del 17% di donne etero e del 13% di donne lesbiche. Per quanto riguarda la violenza sessuale da parte di un partner: 22% di donne bisessuali e 9% di donne etero. Metà di queste donne ha sperimentato il primo stupro tra gli 11 e i 17 anni.

Il Transgender Survey americano del 2015 ha evidenziato numeri ancora più devastanti: il 47% delle persone transgender ha subito almeno uno stupro, soprattutto se appartenenti alla comunità Bipoc (Black, Indigenous, & People of Color). Il 20 % di questi stupri è accaduto in prigione o in un centro di rieducazione, il 17% in rifugi per senza fissa dimora.

Come possiamo interpretare questi dati?

Innanzitutto, l’abuso sui minori, poiché avviene all’interno della famiglia, porta in sé già di suo una grossa componente di segretezza e isolamento, in quanto il bambino ha sempre paura di non essere creduto. Questo, nel caso di stupri su persone queer, è ovviamente amplificato dal senso di vergogna per il proprio orientamento sessuale o il genere in cui ci si identifica. Se a questo si aggiungono dinamiche tossiche come il ricatto di fare outing (rivelare genere e/o orientamento di qualcun* senza che quest* sia consenziente) e l’ipersessualizzazione e oggettificazione dei corpi lgbt+ fin dalla più tenera età, risulta chiaro come sia possibile che le percentuali salgano in modo così estremo.

Per quanto riguarda la bisessualità, ed è una cosa che ho sperimentato purtroppo sulla mia pelle, è in particolare l’atteggiamento di feticizzazione del nostro orientamento sessuale a creare un immaginario che vede una persona bi o pansex (ancora di più se non monogama) come perennemente disponibile al sesso. E soprattutto, un discorso che ormai conosciamo bene è l’assunto alla base della cultura dello stupro che divide le donne in sposabili (nel senso più largo di possesso) e sacrificabili (posso girare la foto di una in mutande sul gruppo del calcetto perché “se l’è cercata postando quella foto su Instagram”, etc.). Quanto si inserisce bene questa mentalità su una donna “a cui piacciono tutt*”, anche se non è così?

Ancora, per molte persone appartenenti alla comunità è molto difficile trovare lavoro, soprattutto se non “eteropassabili”. Sin dall’adolescenza si potrebbero trovare molto più facilmente in giri difficili e situazioni di povertà, a cui dovremmo sommare la componente della razializzazione se non si tratta di bianch*.

Quando, infine, la ricerca di supporto e rifugio è difficile a causa di barriere emotive e fisiche e quando sono le stesse istituzioni che dovrebbero aiutarti, come abbiamo visto, a farti violenza, capiamo bene che la situazione risulta ancora più drammatica.

Ma è da questa complessità che abbiamo il dovere di ripartire per cambiare il modo in cui parliamo di violenza sessuale e quello in cui cerchiamo di fornire un’educazione e una prevenzione adeguata. Sono i centri di accoglienza adatti a fornire un adeguato sostegno a tutt*. Siamo noi in grado di porci in ascolto anche quando lo stupro non riguarda non solo la narrazione distorta delle fiction di Rai 1 con mostri nei vicoli e false accuse, ma addirittura la violazione di corpi e identità che nel sovvertire queste regole ci dimentichiamo persino di inserire nel discorso?

Le domande restano aperte, e la soluzione non sarà mai semplice.

Ma non è più possibile parlare di abuso sessuale senza prendere in considerazione tutte quelle soggettività che fino a oggi abbiamo costretto al silenzio e che rappresentano, non a caso, la maggior parte delle vittime di violenza.

La lotta è per tutt*, o non è lotta.

Buon pride month, e che sia davvero un’occasione di includere; un mese per accogliere e abbracciare.

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