Semen terrorism: la violenza degli uomini che umiliano le donne eiaculando sulle loro cose

Sempre più diffuso in Asia, e soprattutto in Corea del Sud, il semen terrorism è una forma di abuso sessuale e psicologico che prevede la punizione delle donne coinvolte mediante l’eiaculazione sulle proprietà a esse appartenenti. Alla sua base, l’odio e il desiderio di possesso degli Incel.

L’odio nei confronti delle donne sembra non conoscere limiti. Lo dimostra una forma di abuso sempre più diffusa in Corea del Sud, il “semen terrorism”, ossia il reato sessuale in cui un uomo eiacula su oggetti appartenenti a una donna – scarpe, borse, persino tazze di caffè –, oppure colpisce quest’ultima con prodotti che contengono il suo sperma.

Una sfumatura di molestia aberrante e oltraggiosa, che, anche in questo caso, si basa su un’idea di “possesso” e superiorità che conduce gli uomini a considerare le donne al pari di corpi inanimati di cui poter disporre a piacimento, dove e quando lo desiderano.

Vediamone i dettagli.

Che cos’è il semen terrorism?

Il semen terrorism, che potremmo tradurre, letteralmente, in “terrorismo seminale” o “terrorismo dello sperma”, è una forma di abuso sessuale e psicologico che vede gli uomini autori di tale atto eiaculare su, o in, oggetti appartenenti alle loro ex o a donne che non hanno ricambiato le loro avances.

Al pari del revenge porn, anche questo tipo di molestia afferisce alla sfera della “vendetta” ed è, perciò, mosso dalla volontà di “punire” le donne coinvolte, ree di non rispondere ai desideri e alle esigenze dei loro abuser.

Il reato si sta estendendo in maniera esponenziale in Asia, e, in particolare, in Corea del Sud, dove i politici si stanno adoperando affinché il semen terrorism sia considerato alla stregua di un crimine sessuale a tutti gli effetti, e solo non un “property damage”, ovvero un danno alla proprietà della vittima.

Come suggerisce, giustamente, il deputato del Partito Democratico Baek Hye-ryun sul Guardian, infatti:

I crimini sessuali devono essere interpretati dal punto di vista della vittima.

Finora, invece, l’interpretazione di reati come questo è stata nebulosa e spesso soggetta ai diversi punti di vista dei legislatori, venendo talvolta considerati molestie, altre volte “semplici” danni alla proprietà.

Incel, misoginia e femminismo in Corea

Gli uomini autori di questo crimine sfruttano, appunto, una falla nel sistema giuridico coreano. Come riporta Wion, al momento attuale la legge sulla criminalità sessuale in Corea del Sud prevede che, affinché un atto sia considerato tale, ci debba essere un contatto fisico tra l’uomo e la donna vittima dell’abuso.

Alle aggressioni sessuali e agli stupri che rientrano in questa sfera si aggiungono, poi, anche i crimini sessuali digitali, concernenti la ripresa e la diffusione non consenziente – e, quindi, illegale – dei prodotti audiovisivi realizzati.

Eiaculare su un oggetto appartenente a una donna, dunque, non è considerato, dal punto di vista legale, un crimine sessuale. Un vuoto giuridico che ha acuito la rabbia delle donne coreane e dei gruppi femministi, sempre più agguerrite nel manifestare la necessità di una legge adeguata mediante il movimento #MeToo.

Ma che cosa vi è all’origine di tale abuso sessuale? Alla base, come nella maggior parte dei crimini di genere, risiede una misoginia sistemica, capillare e, purtroppo, sempre più radicalizzata, soprattutto in una determinata frangia della popolazione mondiale: quella degli Incel.

Gli Incel – neologismo inglese traducibile in “celibe involontario” – sono uomini, spesso radunati in piattaforme e chat online, che accusano le donne di essere colpevoli della loro condizione di solitudine sessuale e/o relazionale. Le donne, quindi, sarebbero le autrici “volontarie” di una esclusione “involontaria” – o, perlomeno, percepita tale dagli uomini che la lamentano –, divenendo, così, le “nemiche” per eccellenza di quella che Jennifer Guerra definisce una vera e propria “sottocultura”.

Ad alimentare un crimine sessuale come il semen terrorism, pertanto, vi è l’idea distorta che le donne siano punibili per il mancato adempimento di determinate esigenze – erotiche e/o sentimentali –, e che un modo per rendere tangibile tale sanzione sia proprio “macchiare” le loro proprietà con il proprio sperma.

Un modo squallido e offensivo per ribadire, ancora una volta, la presunta superiorità maschile degli autori del gesto, attraverso un abuso di potere che mira a soggiogare le donne e a vederne oltraggiata la dignità.

Semen terrorism e violenza

Sebbene non presenti un contatto fisico diretto, perciò, anche il semen terrorism è, a tutti gli effetti, un atto di violenza e prevaricazione. Alla base, infatti, vi è sempre l’assenza di un consenso e, al contempo, la supponenza infondata di un “possesso” da parte degli uomini misogini che, per porlo in luce, si ritorcono contro le loro vittime.

Come? Lo spiega sempre il Guardian, apportando come esempi alcuni casi recenti di semen terrorism registrati in Corea del Sud. Come quello che, nel 2019, ha portato alla denuncia di un uomo che ha ricoperto del proprio sperma le scarpe di una donna, ricevendo una multa di 500.000 won (pari a circa 370 euro). Poiché non vi erano disposizioni in merito, l’artefice è stato accusato di “danno alla proprietà”.

È stato, invece, incarcerato con l’imputazione di “tentato ferimento” un altro uomo coreano che, sempre due anni fa, ha versato nel caffè di una donna una miscela a base di afrodisiaci, lassativi e sperma, in seguito al diniego di quest’ultima di uscire insieme a lui. Il fattore ancora più inquietante è, però, il numero di volte in cui l’uomo ha compiuto questo gesto: ben 54. Anche in questo caso, e nonostante la sua gravità, il gesto non è stato considerato un crimine sessuale.

Discorso similare, infine, anche per un caso risalente a maggio 2021, quando un impiegato statale è stato denunciato e multato (con una sanzione di circa 2000 euro) per aver eiaculato nella tazza di caffè di una sua collega, per sei volte nell’arco di sei mesi. Anche qui, si è parlato di “danni alla proprietà” anziché di reato di genere, conducendo persino il tribunale coreano a ritenere che le azioni dell’uomo avessero danneggiato l’“utilità” del contenitore. Nessun accenno, invece, alla sua proprietaria. Guarda caso, una donna.

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