Il green pass è una violenza per le persone trans*: perché nessuno ci pensa?

Il green pass, seppure sia un mezzo pensato per contrastare la pandemia, a causa dei buchi burocratici, rappresenta di fatto una grande violenza per le persone trans* che si trovano costrette a coming out forzati e pubblici.

Per fronteggiare il diffondersi del COVID-19 da agosto 2021 è stato introdotto l’obbligo del green-pass per poter accedere a servizi come bar, ristoranti, cinema, università e tanto altro.

Decisione questa che ha scosso e non poco la comunità transgender, che ancora una volta si vede abbandonata e completamente dimenticata dalle istituzioni, dallo Stato e dalla società.
Quello che forse non tutti hanno compreso, molto probabilmente perché non vi è abbastanza informazione sul mondo T e sulle difficoltà che le persone trans* debbono affrontare nel quotidiano, è che il green-pass rappresenta un pericolo – e non solo – per queste stesse persone.

Violazione della privacy e non solo

L’esibizione del green pass – spesso accompagnata dall’esibizione dei documenti di identità – costringe le persone trans* che non hanno ancora potuto rettificare i propri documenti a un coming out forzato e continuo anche in situazioni di potenziale pericolo. Tante, davvero troppe persone trans* vivono in un contesto socio-culturale non accogliente, violento e discriminante, all’interno del quale fare coming out pubblicamente (magari anche davanti a molte persone) per dover entrare in un bar, in un ristorante o al cinema potrebbe essere un rischio.
Non sono pochi i casi di violenza (non di meno quello di omicidio) ai danni delle persone trans* in Italia, i quali potrebbero potenzialmente aumentare.

Costringere una persona a rivelare la propria transgeneritá comporta, quindi, una grave violazione della privacy e, inoltre, una violazione dello stato di salute della persona.
Se prima del green pass le persone trans* poteva decidere con chi e quando fare coming out, limitando il coming out con sconosciuti solo in casi strettamente necessari, come visite mediche o operazioni in banca, ora sono obbligate a farlo anche in situazioni in cui non dovrebbe essere necessario.

Rischio isolamento per le persone T

Oltre quindi a ledere nel campo della privacy delle persone trans*, il green pass, così come è stato presentato, diventa un enorme problema per la salute mentale e per lo svolgimento delle attività quotidiane. Il coming out dovrebbe essere un momento di self-place, di intimità e perché no, anche di gioia. Sbandierare a tutt* e contro la propria volontà la propria transgeneritá, doverlo fare più volte durante una giornata e in contesti diversi, può risultare molto pesante per la salute mentale delle persone trans*, le quali molto probabilmente si vedranno costrette (e si sentiranno) a escludersi dal contesto sociale e a isolarsi.

Il rischio, se le istituzioni non provvederanno per tempo a trovare una soluzione, è che tante persone trans*, soprattutto giovanissime, si trovino costrette a subire outing e discriminazione continua per poter svolgere (come dovrebbe essere per tutt*) normalissime attività quotidiane.

E ai ragazzi chi ci pensa?

Un’altra problematica che è stata completamente ignorata dalle istituzioni fa riferimento alle università, all’intento delle quali è stato introdotto l’obbligo della certificazione verde per l’accesso. Obbligo il quale non può che risultare problematico, ancora una volta, per gli studenti e le studentesse trans* che non hanno ancora rettificato i propri documenti.

In ormai tutte le università, da alcuni anni, è stata introdotta la carriera alias, una carriera parallela che consente alle persone trans* di poter frequentare le lezioni e dare gli esami utilizzando il nome d’elezione e non il deadname. Ad ora però, per poter prendere parte alle lezioni bisognerà registrarsi su un portale online e per poter accedere sarà necessario inserire il green pass.

Questo andrà a creare non pochi problemi agli studenti e alle studentesse trans*, che anche in questo caso dovranno fare un coming out forzato o nella peggiore delle ipotesi non essere ammess* alla lezione, dal momento in cui i dati presenti sul green pass non corrispondono a quelli presenti sulla carriera alias.

Il problema è la legge

Il problema del green pass ha radici profonde e porta al pettine molti nodi legati a problematiche di vita quotidiana che le persone trans* sono costrette ad affrontare a causa della sordità della politica che non se ne fa carico. Il reale problema non sono il green pass o i vaccini, ma la legge n. 164 del 1982 in materia di rettificazione di attribuzione del sesso, la quale permette alle persone trans* di rettificare i propri documenti.

La legge ad oggi non consente alle persone trans* di modificare i propri documenti in tempi brevi e con procedure semplici, creando non pochi disagi nella quotidianità. La burocrazia troppo lenta, i servizi non efficienti e le lacune legislative di una legge non al passo coi tempi sono la causa principale della discriminazione e dei disagi che le persone T debbono affrontare.

Se la legge fosse stata aggiornata, snellita burocraticamente e posta al centro del dibattito politico con la giusta attenzione, molto probabilmente oggi le persone trans* non avrebbero nessun tipo di problema nel dover mostrare il green pass.

Cosa posso fare io per sostenere le persone trans*?

Molte associazioni LGBTQIA+ hanno deciso di agire nel concreto di fronte a tale problematica, lavorando insieme e cercando di diffondere alcuni consigli e/o linee guida che i verificatori del green pass devono seguire per evitare disagio, discriminazione e transfobia.

Come si legge nel testo redatto e firmato da molte realtà LGBTQIA+ o da attivist* in modo individuale, i verificatori del green pass:

  1. Nei luoghi pubblici (banche, poste, uffici) il personale addetto alla verifica del green pass dovrà conoscere bene le norme in materia di riservatezza dei dati personali, utilizzando la massima d’iscrizione.
  2. Sul posto di lavoro i verificatori dovranno essere coloro che sono solitamente già impegnati nell’ufficio risorse umane /HR/ del personale, già responsabili dei dati riservati del personale.
  3. Nelle scuole i verificatori dovranno essere coloro che sono già impiegat* presso la segreteria didattica e sono già a responsabili della gestione dei dati personali.

Per la tutela della privacy e della salute mentale delle persone trans* sarebbe opportuno designare un luogo specifico da utilizzare per ulteriori verifiche dei dati personali, accessibile a una persona alla volta e che garantisca riservatezza. Dover mostrare i propri documenti, non rettificati e che quindi non corrispondono alla propria espressione di genere, davanti a innumerevoli persone sconosciute è a tutti gli effetti una forma di violenza che deve essere evitata.

Non sono affari tuoi

Una questione molto importante che i verificatori devono prendere in considerazione é quella relativa alle norme facenti riferimento alla violazione della privacy, ad oggi, oggetto di sanzione penale secondo la normativa vigente.

Qualora i verificatori si trovassero a visionare il green pass di una persona trans* devono in maniera categorica astenersi dal fare commenti personali sulla questione, commenti ad alta voce e quindi udibili anche dalle altre persone presenti sul luogo.

Quello che la comunità trans* chiede è semplicemente rispetto, ascolto e protezione della propria salute mentale e della privacy. Le persone trans* chiedono che il governo prenda atto di queste problematiche e si mobiliti il prima possibile per trovare una soluzione che possa evitare sofferenza, transfobia e discriminazione.

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