Ladri, brutti, sporchi, criminali. Chiedetelo a 10 persone e 9 vi risponderanno che gli zingari sono così, per natura. Quella della ziganofobia è una storia lunga secoli: decenni e decenni fatti di odio e violenza contro le persone rom e sinti, in nome del quale uomini donne – e bambini – sono stati bruciati sul rogo o sterminati nelle camere a gas.

Cos’è la ziganofobia?

Il termine ziganofobia – che significa letteralmente «paura degli zigani», uno dei nomi con cui furono indicati gli zingari al loro arrivo in Europa nel basso Medioevo – non è ancora entrato nell’uso comune. È sufficiente una ricerca su Google per vedere come questo sostantivo sia presente in pochissimi articoli e saggi e come, addirittura, il motore di ricerca sia convinto che la ricerca sia stata fatta per errore: «forse cercavi: ginofobia»?

Maggiore fortuna ha avuto “antiziganesimo”, talvolta declinato come “romofobia”, nonostante anche in questo caso di tratti di termini di recente introduzione e scarsa diffusione nel linguaggio pubblico, soprattutto se in rapporto ai più noti «antisemitismo» o «omofobia».

Questo la dice lunga sull’invisibilità di fenomeno che, affondando le sue radici nella storia moderna, ha generato discriminazioni e atrocità ancora troppo taciute:

è una forma di razzismo particolarmente persistente, violenta, ricorrente e comune, […] un’ideologia fondata sulla superiorità razziale, una forma di deumanizzazione e di razzismo istituzionale nutrita da una discriminazione storica, che viene espressa, tra gli altri, attraverso violenza, discorsi d’odio, sfruttamento, stigmatizzazione e attraverso le più evidenti forme di discriminazione.

Le origini della ziganofobia

L’odio nei confronti delle popolazioni rom e sinti ha origini lontane: la nascita della ziganofobia, infatti, corrisponde all’arrivo degli “zingari” in Europa già durante il medioevo. Cultura diversa, costumi e tradizioni diversi, un modo diverso – incomprensibile per gli europei dell’epoca – di vivere, una lingua indecifrabile: tutto contribuì ad alimentare un clima di timore e sospetto intorno ai rom e far nascere paure e leggende che avrebbero avuto una lunga vita.

Nomadi, straccioni, pagani; dalla paura allo stigma il passo è breve e, in poco tempo, alla spaventosa collezione di sgradevoli caratteristiche se ne aggiunse presto un’altra: stregoni.

Se, infatti, la maggior parte dei processi di stregoneria aveva come imputate le donne che non si conformavano, sui roghi della Santa Inquisizione finirono anche altri indesiderabili: persone che vivevano ai margini, eretici, ebrei e, appunto, zingari.

La ziganofobia dal Medioevo al Porrajmos

Quella dei rom è una lunga storia di discriminazioni, odio e violenze e dei costanti tentativi dei cosiddetti “gagé” (i non rom) di eliminarli, anche fisicamente. A partire dal XV secolo sempre più frequentemente, tutti i paesi europei emanarono leggi anti zigane: dalla Svizzera alla cattolicissima Spagna, dalla Francia all’Inghilterra, agli zingari era impedito di vivere sul territorio nazionale pena l’espulsione e, in alcuni casi, la morte.

Radicato, senza confini nazionali né di classe: quello nei confronti degli “zingari” è un odio che ha attraversato i secoli e che, all’interno dell’ideologia nazionalsocialista ha posto le basi per uno dei più grandi orrori del Novecento, l’Olocausto nei rom. Quello del Porrajmos (“grande divoramento” o “devastazione”), oggi anche definito più accuratamente Samudaripen (uccisione di tutti, quindi sterminio, genocidio) è una storia ancora oggi taciuta, poco studiata.

Degli “zingari” sotto il regime Hitleriano si dice poco o nulla, salvo annoverarli genericamente tra le vittime e limitarsi a registrare che sono stati deportati nei campi di concentramento – a Birkenau era presente il blocco degli zingari, lo Zigeunerlager, una sorta di campo nel campo – perché “asociali”.

Eppure l’Olocausto dei rom, basato esclusivamente su motivazioni razziali, è costato la vita nelle camere a gas e nei campi di sterminio ad almeno 500.000 persone, un numero che è stimato al ribasso, che sconta la carenza di documentazione sull’argomento e tralascia molti dati. Molti rom, infatti, vennero uccisi fuori dai campi o sterilizzati e rimessi in libertà. Un elemento cardine che il regime adottò per risolvere la “questione zingara”, infatti, fu la sterilizzazione coatta – che Poliakov ha definito «una sorta di sterminio dilazionato nel tempo» – imposta alle donne e ai bambini non appena avessero compiuto il 12esimo anno.

Ma quella della sterilizzazione è solo una parte degli orrori subiti dalla popolazione rom durante il Nazismo:

Lo stesso dottor Mengele, l’SS-Hauptsturmführer soprannominato angelo della morte di Auschwitz, installò il suo laboratorio proprio accanto al settore zingaro e compì atroci esperimenti. […] Gli esperimenti sui piccoli rom erano abituali per Mengele che nutriva una vera e propria ossessione per i bambini e per i gemelli rom e sinti in particolare.

Come lui, altri angeli della morte, in altri campi di sterminio effettuarono i loro pseudo-esperimenti sui piccoli rom, condannandoli.

La ziganofobia oggi

Oggi, i rom rimangono la «minoranza più discriminata d’Europa»:

Nella sua indagine del 2019 su rom e nomadi, l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha rilevato che quasi la metà dei rom e dei nomadi intervistati (44%) ha subito violenze motivate dall’odio nei 12 mesi precedenti l’indagine. A titolo di esempio, […] il 60% dei cittadini tedeschi è d’accordo con l’affermazione che i sinti e i rom hanno tendenze criminali e il 49,2% vuole allontanarli dai centri urbani. Come se non bastasse, in tempi di coronavirus, i rom sono divenuti il capro espiatorio per la diffusione del virus.

Già un report del 2014 di Pew Research mostrava come l’intolleranza nei loro confronti non conoscesse colore politico, né nazionalità: in tutta Europa i rom continuano a subire violenze e discriminazioni sul lavoro, nell’ambito della salute, di fronte alla giustizia e nell’accesso all’istruzione. E la situazione oggi non è cambiata, come rivela una nuova indagine dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) uscita nel settembre 2020.

Pur vivendo in alcuni dei paesi più ricchi del mondo, un quarto dei rom e dei nomadi nell’Europa occidentale non può permettersi beni di prima necessità, come il riscaldamento o il cibo sano, e fino a uno su cinque dei loro figli ha ancora fame quando si corica. La dilagante discriminazione e l’abbandono scolastico comportano inoltre scarse opportunità di lavoro e una povertà diffusa per molti. Di conseguenza, l’aspettativa di vita dei rom e dei nomadi è inferiore di 10 anni rispetto a quella della popolazione in generale.

Diverse sono le politiche di integrazione e gli strumenti attuati per combattere la ziganofobia: se la Spagna si è distinta per il minor tasso di discriminazioni e la Danimarca per i progetti legati all’istruzione, l’Italia ha un unico, triste primato: quello per l’intolleranza.

Sebbene i rom siano circa lo 0,25% della popolazione italiana (una percentuale molto inferiore a quella degli altri paesi), si continua a parlare in termini di “invasione” e “emergenza” e ancora nel 2018 si pensava a leggi speciali contro di loro, nei confronti di cui si è fortemente battuta la senatrice a vita Liliana Segre.

Solo il 10% della popolazione ha espresso opinioni favorevoli nei confronti della popolazione romani e, nonostante “solo” 40.000 persone – circa un quinto del totale – vivano nei campi rom, una politica concentrazionaria che riguarda solo in nostro paese e che non rispetta gli standard stabiliti dall’UE e dall’umana decenza, in Italia si continua a pensare che i rom siano esclusivamente nomadi e quindi geneticamente non integrabili, oltre che, ovviamente, ladri e criminali.

Essere donna e “zingara”: quando ziganofobia e misoginia si incontrano

In un saggio del 1996, Francesca Manna scriveva:

L’identità della donna zingara si struttura prevalentemente intorno alla polarizzazione uomo-donna nella piena accettazione del suo aspetto gerarchico. La sottomissione della donna all’uomo viene vissuta dalle sue stesse protagoniste come un dato naturale e incontrovertibile mentre numerose pratiche sociali e magico-religiose concorrono a rafforzare questa convinzione.

Ma la doppia discriminazione vissuta dalle donne rom, all’interno della comunità in quanto donne e all’esterno in quanto “zingare”, non è solo il risultato dell’accettazione di un dato naturale, ma è in parte proprio il frutto delle discriminazioni vissute:

dovendosi confrontare al di fuori della propria comunità di appartenenza con un ambiente estremamente ostile, arrivano ad accettare il ruolo che ad esse viene assegnato dalla propria cultura, percepita come minacciata.

Se il rapporto tra etnia e genere rimane particolarmente complesso per le donne rom, è vero che negli ultimi anni la situazione sta cambiando – e, del resto, è sempre stata diversa di comunità in comunità – e la condizione delle donne è molto più complessa di come i gagé sono abituati a considerarla, declassandola come semplice arretratezza culturale.

E, anche se è un fenomeno ancora sconosciuto in Italia e poco noto in Europa, si parla già di femminismo rom; Laura Corradi l’ha analizzato nel libro Il femminismo delle zingare: Intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer.

Il femminismo delle zingare. Intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer

Il femminismo delle zingare. Intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer

Una riflessione sulle soggettività che all'interno delle comunità rom producono saperi e lotte contro il sessismo, il classismo, la rom-fobia, le forme di anti-zingarismo sociale e istituzionale, attraverso un'analisi ricerche sociologiche recenti ma anche agency politica e attivismo di genere in queste comunità.
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Fuori dalla comunità romanì, nei confronti delle donne non sembra esserci altro che discriminazione; in questo caso, oltre al tradizionale racconto dei rom criminali, sporchi e nullafacenti si aggiunge la figura tutta al femminile della “zingara che ruba i bambini”. Un topos antico, ancora una volta associato alla stregoneria e alla marginalità: come ci ricorda Jude Ellison Sady Doyle ne Il mostruoso femminile, la credenza che le streghe rapissero i bambini non battezzati per mangiarli serviva infatti a classificare le streghe come «una classe che indugiava appena fuori i confini sociali e afferrava i membri della comunità che si avventuravano a di fuori».

Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne

Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne

Da L’esorcista alla dea babilonese Tiāmat, dalla biblica Lilith a Giovani streghe, attraversano leggende e vite dimenticate, Il mostruoso femminile è un saggio sulla natura selvaggia della femminilità, che viaggia tra mito e letteratura, cronaca nera e cinema horror, mostrando la primordiale paura che il patriarcato nutre da sempre nei confronti delle donne.
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Come allora – ovviamente – non furono mai rapiti bambini per mangiarli, nemmeno oggi esistono testimonianze di casi di bambini rapiti da donne rom; eppure, questa paura atavica – già nel 1500 il Parlamento di Asburgo accusò i rom di stregoneria e rapimento di bambini – non accenna ad attutirsi e, anzi, è ancora oggi uno dei più forti strumenti con cui si tramandano la paura e l’odio antizigano.

Basterebbe invece guardare i dati per scoprire che questi raccontano invece una storia molto diversa: quella dei bambini rom dati in affidamento o adozione ai gagé, il cui numero è sensibilmente più alto rispetto a quello dei bambini non rom. Nel Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia del Senato si legge:

Una ricerca svolta su sette tribunali minorili in un periodo che va dal 1985 al 2005-2006 mostra che in 21 anni sono stati dati in adozione 258 bambini Rom e Sinti, di cui il 93% Rom e il 7% Sinti; questo dato rappresenta il 2,6% delle procedure di adottabilità portate a termine nel periodo preso in esame. […] I Sinti e i Rom in Italia rappresentano una percentuale tra lo 0,1 e lo 0,2 della popolazione totale (una media ipotetica dello 0,15). Se la percentuale delle procedure fosse in analogia con la percentuale della popolazione, le procedure di adottabilità riguardanti i Sinti e i Rom non dovrebbero ammontare a 227 ma dovrebbero essere 13.

Dati che, purtroppo, non sorprendono, considerata la ziganofobia istutuzionalizzata e la trasversalità dell’odio nei confronti delle persone rom, che hanno portato magistrati e presidenti di tribunale a fare affermazioni quali

Tutti i bambini rom dovrebbero essere dati in adozione, perché non è una cultura quella, non è uno stile di vita vivere di reati e fare per i figli certe scelte.

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