Sentiamo spesso – purtroppo – parlare di omofobia, che generalmente viene intesa come l’atteggiamento di chi “non tollera” lo stile di vita omosessuale, esprimendo anche disappunto o, nei casi più gravi, attuando discriminazioni ed episodi di violenza.

In effetti l’utilizzo che si fa comunemente del termine è un po’ “distorto” rispetto all’etimologia originale della parola, che deriva dal greco omos (stesso, uguale) e phobos (paura, timore). Se così fosse, l’omofobia indicherebbe la paura verso qualcosa di uguale, quindi la paura di un uomo verso gli altri uomini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

Come si è giunti allora al significato che tutti noi oggi conosciamo?

A utilizzare per primo il termine omofobia è stato lo psicologo George Weinberg, che in questo modo voleva definire la paura irrazionale, l’intolleranza e l’odio nei confronti delle persone omosessuali da parte della società eterosessista.

Più che di paura, come affermava lo stesso Weinberg, in questo caso parliamo di una “fobia operante come un pregiudizio”, caratteristica che implica che gli effetti negativi siano avvertiti non solo – o meglio, non tanto – da colui che ne è affetto, ma dalle persone a cui questo pregiudizio è rivolto: gli omosessuali, appunto.

L’Istituto Beck definisce l’omofobia

quell’insieme di pensieri, idee, opinioni che provocano emozioni quali ansia, paura, disgusto, disagio, rabbia, ostilità nei confronti delle persone omosessuali.

Ma un punto fondamentale va chiarito: omofobi si diventa, non si nasce. Si cresce con una cultura omofoba attraverso l’educazione e i messaggi, più o meno diretti, che nell’infanzia e nell’adolescenza recepiamo in famiglia, o nelle altre sedi in cui abbiamo modo di apprendere e socializzare. Spesso, quindi, l’omofobia viene acquisita come heritage familiare prima ancora di comprendere appieno cosa significhi la parola omosessualità.

Molto dipende anche dal luogo antropologico in cui si nasce; un esempio? Nei Paesi a forte incidenza cattolica – come l’Italia, ad esempio, che in effetti sul tema omosessualità è ancora indietro rispetto ad altri Stati europei – la Chiesa esercita ovviamente un’ingerenza piuttosto importante sulla capacità legislativa; una pressione morale del genere non può quindi che sfociare in un’omofobia interiorizzata, che racchiude tutti quei sentimenti come ansia, disprezzo, avversione verso il mondo omosessuale. Quest’ultima è una delle tre componenti del modello del Minority Stress, può essere più o meno consapevole e costituisce, come si legge sul sito dell’Istituto Beck, “il risultato dell’interiorizzazione da parte delle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans (LGBT) dei pregiudizi, dei pensieri, degli atteggiamenti e dei sentimenti negativi che la società nutre verso l’omosessualità in generale e verso le persone LGBT in particolare“.

Le altre due componenti che fanno parte del modello sono gli eventi di discriminazione subiti, descritti come oggettivi e verificabili, come ad esempio l’utilizzo di epiteti offensivi per rivolgersi ai ragazzi gay e alle ragazze lesbiche, oppure i casi di ostracismo o mobbing, e lo stigma percepito, col quale ci si riferisce al fatto che le persone LGBT si aspettano di essere discriminati, e che per questo mantengono sempre un’alta vigilanza verso l’ambiente circostante.

Tra gli effetti dell’omofobia interiorizzata alcune ricerche italiane recenti hanno evidenziato, ad esempio, come possa incidere in negativo sull’essere favorevole al riconoscimento legale delle coppie same-sex, o sull’idea che gli stessi ragazzi e ragazze gay hanno verso i ragazzi gay percepiti come non aderenti al ruolo tradizionale di genere maschile.

Nonostante i moltissimi studi in merito, è stata però una review di Grey del 2013 a classificare tutte le scale per misurare l’omofobia interiorizzata, individuandone sei: la Nungesser Homosexual Attitudes Inventory (NHAI, Nungesser, 1983); l’Internalized Homophobia Scale (IHP, Wagner et al., 1994), la Reaction to Homosexuality Scale (RHS, Ross & Rosser, 1996), l’Internalized Homophobia Scale (IH, Herek et al., 1997), l’Internalized Homonegativity Inventory (IHNI, Mayfield, 2001), e la Short Internalized Homonegativity Scale (SIHS, Currie et al., 2004).

In Italia, invece, due sono le principali scale di omofobia interiorizzata, ideate e validate nel contesto italiano, il Multifactor Internalized Homophobia Inventory (MIHI, Flebus & Montano, 2012) e la Measure of Internalized Sexual Stigma (MISS, Lingiardi et al., 2012).

In particolare, il MIHI si compone di 85 item suddivisi nelle seguenti 7 dimensioni:

  • Paura del coming out.
  • Rimpianto, per non avere un comportamento eterosessuale.
  • Condanna morale, fattore che paragona l’omosessualità a un disturbo da disapprovare.
  • Omogenitorialità, riguarda le opinioni sulla possibilità delle persone gay e lesbiche di diventare genitori.
  • Integrazione, indaga quanto le persone gay e lesbiche siano inserite e attivamente coinvolte nella comunità LGBT.
  • Contro-pregiudizio, ovvero il desiderio di riconoscimento dei bisogni delle persone gay e lesbiche, anche religiosi.
  • Matrimonio Egualitario.

Per quanto riguarda, invece, la MISS, è una scala che si compone di 17 item suddivisi in 3 dimensioni:

  • la scala dell’Identità, misura la propensione ad avere un atteggiamento negativo verso di sé in quanto gay o lesbica.
  • la scala del Disagio Sociale, indaga la paura di essere identificati in pubblico come gay o lesbiche.
  • la scala della Sessualità, rileva le convinzioni negative circa la sessualità delle persona gay e lesbiche.

Che l’omosessualità sia ancora fortemente influenzata da tabù lo dimostra il fatto, ad esempio, che le scene di sesso omosessuale (anche non in presenza di nudo) vengano spesso tagliate in televisione (ricordate I segreti di Brockback Mountain?)

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Per verificare il proprio grado di omofobia si può effettuare anche una sorta di “test”, con le affermazioni qui seguenti, tratte dalla Scala Italiana per l’Omofobia.

  • Ho paura che i rapporti omosessuali siano una minaccia per la società in quanto contribuiscono alla diminuzione delle nascite;
  • cambierei opinione e sentimenti verso un amico se venissi a scoprire che è omosessuale;
  • i gay e le lesbiche non dovrebbero rivelare ai loro genitori la propria omosessualità, per non farli soffrire troppo;
  • il comportamento omosessuale non costituisce un buon esempio per i bambini;
  • un buon calciatore non può essere gay;
  • la cultura omosessuale (libri, film, televisione, ecc.) può essere pericolosa perché può provocare un aumento dei casi di omosessualità;
  • se i gay e le lesbiche vogliono avere gli stessi diritti degli eterosessuali devono rinunciare alla loro omosessualità;
  • se scoprissi che il mio superiore è omosessuale, avrei paura delle richieste e/o delle pressioni sessuali che potrebbe farmi;
  • mi procurerebbe disagio ospitare in casa per la notte una coppia omosessuale.

A proposito dell’Italia, ecco come stanno le cose attualmente nel nostro Paese

L’omofobia in Italia

omofobia
Fonte: web

Nonostante la legge Cirinnà (legge 76/2016) abbia aperto alle unioni civili anche per coppie omosessuali, a livello legislativo l’Italia si dimostra ancora carente sotto il profilo soprattutto del diritto di famiglia, visto ad esempio il non riconoscimento della stepchild adoption (anche se la giurisprudenza sembra aver lasciato discrezionalità ai tribunali locali per decidere, di volta in volta). Tutte le evidenze sulla situazione italiana sono racchiuse nel documento Italia: lo stato dei diritti umani di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali presentato all’Onu da una coalizione di associazioni: Arcigay – Associazione LGBTI italiana, Centro risorse LGBTI, Certi diritti – Associazione radicale, Oii Italia, Out Sport.

Attualmente l’Italia non dispone di adeguate disposizioni legali per combattere i crimini di odio e gli incidenti contro le persone Lgbt, tanto che, secondo una ricerca condotta dall’Arcigay e riportata qui, circa il 20% degli omosessuali e delle lesbiche intervistati sono stati insultati o molestati a causa del loro orientamento sessuale. La percentuale sale al 30% tra gli uomini gay sotto i 25 anni.

Leggiamo dall’articolo dell’Osservatorio dei Diritti:

Secondo l’Unar, l’Agenzia nazionale contro la discriminazione, quasi il 10% dei casi di discriminazione denunciati apertamente riguarda le persone Lgbt. E uno studio riporta l’atteggiamento generale nei confronti delle persone trans: il 24,8% degli italiani rifiuta di condannare un comportamento discriminante nei confronti di una persona trans; Il 30,5% non vuole una persona trans come vicino. Nel rapporto sull’omofobia che Arcigay ha diffuso a maggio 2018, sono state segnalate 119 storie di violenza omotransfobica, tra cui quattro omicidi.

Il documento presentato all’Onu aggiunge:

Una ricerca nazionale intitolata Bee Proud! Speak Out! mostra un ambiente ostile per i giovani Lgbt nelle scuole: tra termini dispregiativi, reati, molestie verbali e fisiche, non sembra essere una priorità delle scuole italiane accogliere e rispettare la diversità. In molti casi, i dirigenti scolastici vietano di parlare di identità di genere o orientamento sessuale […] Vi sono ancora molti casi di bullismo, aggressioni, problemi nell’accesso al mercato del lavoro, giovani costretti, dalla propria famiglia, a lasciare casa e che non trovano servizi a cui rivolgersi. Secondo un’indagine Istat del 2011, il 24% delle popolazioni omosessuali ha affermato di essere stato discriminato durante gli anni delle scuole superiori e dei college, rispetto al 14% della popolazione eterosessuale.

Secondo i dati risalenti al 2016, gli ultimi a disposizione, l’atteggiamento omofobico investe anche il settore della salute, con il 10,2% delle persone Lgbt discriminato nell’accesso al sistema sanitario da parte di personale medico e non medico. Tanto che addirittura il 78% degli uomini e l’86,8% delle donne non rivela il proprio orientamento sessuale al medico.

Eppure, c’è una legge che tutela e prevede anche la riassegnazione di genere, la n.164/82, che nonostante la disciplina del tema lascia ampio spazio all’interpretazione, dato che non specifica se la correzione debba riguardare i tratti sessuali primari o secondari, se sia sufficiente un trattamento farmacologico sia sufficiente o se invece sia necessario un intervento chirurgico affinché la modifica abbia luogo.

È solo nel 2015 e 2017, con le sentenze della Corte costituzionale, che la riassegnazione di genere viene collocata al di fuori di un discorso medicalizzante, stabilendo che la chirurgia non è una condizione necessaria per la riassegnazione di genere. Tuttavia, anche in questo caso la Corte ha tenuto a specificare che il giudice ha il compito “di accertare la natura e l’estensione delle modifiche apportate alle caratteristiche sessuali, che contribuiscono a determinare l’’identità personale e di genere“.

Omofobia nel mondo

Il 16 maggio, in occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia istituita nel 2004, un rapporto ci ha fornito il quadro della situazione a livello globale che non è, purtroppo, così confortante: nel 2019 ci sono infatti ancora 70 stati nel mondo in cui l’omosessualità è considerata illegale. Di questi, il 36% sono Paesi riconosciuti dall’Onu.

In alcuni, come il Sudan, l’Iran, lo Yemen o l’Arabia Saudita, l’omosessualità può addirittura essere ancora punita con la pena capitale: in tutto sono undici i Paesi Onu dove gli atti omosessuali consenzienti possono essere punti con la sentenza capitale, mentre in altri cinque, tra cui Uganda, Zambia e Guyana, si rischia il carcere a vita.

È soprattutto in Africa e Asia che si concentrano ancora le punizioni più severe per gli atti omosessuali consenzienti. Nel continente africano l’omofobia è così diffusa a livello sociale e culturale che circa il 60% dei governi punisce l’omosessualità, e lo stesso accade in quello asiatico, anche se con percentuali leggermente inferiori.

Per sconfiggere l’omofobia, ovviamente, c’è bisogno anche che i diritti degli omosessuali vengano equiparati, in tutto e per tutto, a quelli degli etero; riconoscendo in primis le unioni, cosa che, allo stato attuale delle cose, fuori dall’Europa viene fatta solo da una piccola quota di Paesi – appena il 14% per le unioni e il 13% per i matrimoni -. Nel Vecchio Continente è soprattutto l’Est Europa a tardare nel riconoscere questi diritti, assieme all’area mediterranea.

Un altro punto molto importante riguarda la possibilità di adottare dei figli: se anche in questo caso l’Europa si dimostra virtuosa, con diversi Paesi che garantiscono l’adozione,  c’è però da dire che sono soprattutto gli Stati del Nord a dimostrarsi più aperti in questo senso, mentre ancora una volta Europa del Sud e dell’Est sono un passo indietro.

Omofobia e misoginia: i legami

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Fonte: web

Come si legge in questo interessante documento omofobia e misoginia hanno spesso una radice comune, quella che si rifà a una visione maschilista della società: anche nella nostra, ad esempio, prevale fortemente la competizione, per cui a modellare l’ideale maschile è soprattutto la volontà di non apparire deboli.

Per questo, esiste una costante opposizione alla femminilità, che è poi il motivo per cui fin dall’infanzia si viene educati alla distinzione tra ruoli maschili e femminili – nei giocattoli, ad esempio, o nell’abbigliamento.

Secondo questa logica, in maniera molto elementare, essere uomo significa “non essere donna”, quindi evitarne gli atteggiamenti. In poche parole, non desiderare altri uomini. È per questo che per chi vive secondo quest’ottica “machista” uno dei più grandi timori è quello di essere considerato omosessuale, mettendo l’omosessualità stessa in discussione il fatto stesso di “essere uomo”. Per la stessa ragione gli insulti rivolti agli omosessuali intendono rimarcare la differenza rispetto a chi non rispecchia gli attributi maschili considerati socialmente accettabili.

È stato il sociologo francese Daniel Welzer-Lang il primo a cogliere la connessione tra omofobia e sessismo: infatti l’autore sostiene che  l’omofobia generale non è altro che una manifestazione del sessismo, “ovvero della discriminazione delle persone in ragione del loro genere (maschile/femminile); in quanto tale essa investe  tutti coloro i cui comportamenti non si conformano ai ruoli socio-sessuali prestabiliti. In questo senso l’omofobia richiama costantemente gli individui alla loro appartenenza al genere ‘giusto’, fungendo quasi da ‘sentinella’ delle frontiere sessuali“.

Questo spiega perché alla base di molti atteggiamenti omofobi ci sia proprio la paura di essere etichettati come omosessuali; esprimendo, anche in maniera violenta, la sua indignazione per gli omosessuali l’omofobo intende anche sottolinearne la lontananza.

Seguendo Karen Franklin misoginia e omofobia possono essere considerate come due componenti fondamentali nella costituzione dell’identità virile, ma anche forme parallele dello stesso teatro sociale, in cui i comportamenti violenti e discriminatori nascondo da una volontà di affermare la propria identità, unico modo per sopravvivere in una società dichiaratamente eteronormata e fallocentrica.

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