
Al giorno d’oggi, come del resto in passato, il lesbismo è stato spesso visto in un’ottica negativa, soprattutto per via della società patriarcale e maschilista in cui viviamo, che fatica a comprendere e accettare una realtà che non considera centrale ed essenziale il ruolo dell’uomo.
Per questa ragione la comunità lesbica è stata in molti casi osteggiata e ignorata dalla società, dai media e dalla cultura popolare in generale, quasi allo scopo di non legittimarne l’esistenza, di cancellarla, appunto. Questa situazione si è poi acuita nel contesto postmoderno della politica queer, in parte in conseguenza di alcuni aspetti ideologici, apparentamente distanti tra loro, interpretati da alcune frange delle due comunità, quella lesbica e quella queer.
Vediamo nel dettaglio in cosa consiste la lesbian erasure, le cause che l’hanno determinata e il difficile dibattito che ne è derivato con l’ideologia e la comunità transgender.
Cosa significa “lesbian erasure”?
L’espressione “lesbian erasure” indica il fenomeno di cancellazione delle lesbiche, ossia la tendenza a ignorare, rimuovere o falsificare le prove del lesbismo nella storia, nel mondo accademico, nei media e in altre fonti primarie.
Questa situazione affonda le sue radici nei secoli scorsi, ma continua a essere un fenomeno in atto su più fronti e a diversi livelli della società. Si tratta di un aspetto che riguarda principalmente il mondo lesbico e non in generale la realtà omosessuale: questo tipo di cancellazione risulta infatti una dinamica che non interessa il mondo gay, senz’altro vittima di discriminazioni e pregiudizi ma sottoposto a un diverso processo di negazione del fenomeno.
Negli ultimi decenni, come vedremo meglio di seguito, la lesbian erasure ha nuovamente riacquisito forza anche per via di una accesa rivalità con gli esponenti della comunità LGBTQ+, in particolare con il mondo dei transgender, dovuta principalmente a differenti ideologie di fondo che hanno spesso messo fazioni delle due realtà in posizioni antitetiche.
Le motivazioni della lesbian erasure
L’atto di rendere le lesbiche invisibili viene identificato come una strategia classica del patriarcato, che ha da sempre considerato la femminilità come subordinata e dipendente dal ruolo dell’uomo. In questo senso, risulta facile comprendere come la categoria delle lesbiche sia da sempre stata osteggiata, anche implicitamente, da una società di matrice maschilista che identifica la donna con una precisa figura sociologica, alle dipendenze dei soggetti maschili.
L’assenza di necessità del ruolo del maschio che ne deriverebbe, viene considerata come inaccettabile in una realtà costruita e pensata proprio su misura dell’uomo.
A questa motivazione, che affonda le sue radici nei secoli scorsi e nell’egemonia del patriarcato, di cui ancora oggi è permeata la società, si è aggiunta anche una differenza ideologica sostanziale con la comunità trans, e più in generale queer, avvertita da alcune parti della comunità lesbica (ma non solo) che sembrano rendere difficile la possibilità di un terreno comune.
Alla base di questa incomprensione di fondo, vi è il fatto che il genere nell’ideologia di queste donne risulta prioritario, a differenza della filosofia dei queer, che spesso non si identificano in un genere preciso e rifuggono le etichette.
Secondo una parte della comunità queer, mettere al centro del discorso la centralità del genere, riporterebbe in auge l’egemonia delle categorie di genere, da sempre promosse dalle norme patriarcali. Dal canto loro, alcune frange del movimento lesbico interpretano l’atteggiamento dei queer come un tentativo a spingerle a sottoporsi a una transizione per appropriarsi dell’identità maschile, riconoscendo in questo un atto di misoginia, perché nella loro ottica non corrisponderebbero all’ideale femminile promosso dal patriarcato.
Come sostiene l’attivista Claire Heuchan, la lesbofobia della vecchia scuola nasceva perché considerata una minaccia al patriarcato e per sostenere una ferma rivendicazione di eterosessualità come unica possibilità. La lesbofobia “progressiva” che si è venuta a delineare negli ultimi decenni muove invece le fila dagli spazi LGBTQ+, di cui il mondo lesbico fa in realtà parte, e si basa sul presupposto che il lesbismo crede nell’esistenza dei confini sessuali netti.
Le lesbiche hanno affrontato la stessa vecchia combinazione di misoginia e omofobia della destra e sono ora inesorabilmente scrutate dalla sinistra queer e liberale: che siamo donne disinteressate al pene è apparentemente controverso in tutto lo spettro politico. I conservatori sociali ci dicono che siamo danneggiate, anormali. La famiglia LGBT+ alla quale siamo destinate ad appartenere ci dice che siamo irrimediabilmente antiquate nei nostri desideri. Entrambi cercano di rendere le donne lesbiche invisibili. Non si può ignorare il parallelismo tra la politica queer e il patriarcato.
Seppure sia innegabile che esistano dinamiche di discriminazione lesbofobiche da una parte e transfobiche dall’altra, è bene ricordare che essere lesbiche o queer non comporta in alcun modo aderire o meno a questi meccanismi. Alcuni appartenenti alle diverse comunità possono aver espresso in maniera condivisa alcune opinioni, ma ciò non significa che tutte le lesbiche o tutte le persone queer la pensano allo stesso modo.
Lesbian erasure nella comunicazione e nei media
La cancellazione della sessualità lesbica è stata fatta in modo invasivo da secoli di storia e in più settori. Uno dei primi esempi di cui si ha memoria è il romanzo erotico di John Cleland, Memorie di una donna di piacere, più comunemente noto con il nome Fanny Hill, pubblicato nel 1748 e vietato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1821 per via delle scene di sesso lesbico descritte nell’opera.
Il lesbismo è del resto sempre stato stato percepito come una fase della sessualità femminile, credenza a cui ha contribuito anche la teoria di Sigmund Freud, che già in partenza nega l’esistenza e delegittima la natura lesbica. Freud nei suoi studi famosi considera le sperimentazioni adolescenziali con le relazioni lesbiche come un trampolino di lancio verso la “vera” sessualità femminile: l’eterosessualità.
Un esempio celebre e recente di lesbian erasure è avvenuto nel 2018 e riguarda una dichiarazione del Centro Nazionale per i Diritti delle Lesbiche sui disordini di Stonewall, una serie di manifestazioni spontanee da parte dei membri della comunità gay, scatenatesi a seguito dell’intervento violento della polizia il 28 giugno nel 1969 allo Stonewall Inn nel quartiere di Greenwich Village a Manhattan, e ancora oggi considerate uno degli eventi più importanti per la nascita del movimento di liberazione dei gay e per la lotta per i diritti LGBT negli Stati Uniti.
La rivolta in segno di protesta nei confronti degli abusi messi in atto dalla polizia sarebbe partita da un’attivista lesbica di colore, Stormé DeLarverie, oggi considerata da molti esponenti la Rosa Parks della comunità gay, ma nella dichiarazione sopracitata non è stato riconosciuto il ruolo centrale della donna, da cui invece tutto è nato.
Episodi di lesbian erasure si sono verificati anche in ambito politico: nel 1974, Kathy Kozachenko è diventata la prima candidata apertamente omosessuale a vincere le elezioni negli Stati Uniti, un risultato però che nella storia LGBT viene erroneamente attribuito al politico di San Francisco Harvey Milk.
Il fenomeno della cancellazione delle lesbiche è stato poi copioso in ambito pubblicitario. La questione viene sottolineata da Marcie Bianco, del Clayman Institute for Gender Research della Stanford University, che fa un esempio preciso, prendendo in esame il caso di AfterEllen, un sito web, al momento non attivo, che si occupa della rappresentazione nei mass media delle donne lesbiche e bisessuali, il cui nome è un riferimento al pubblico coming out fatto dalla presentatrice Ellen DeGeneres, un evento considerato la pietra miliare per il mondo delle lesbiche.
Secondo la Bianco, il crollo del sito è da imputare alla mancanza di inserzionisti, perché in pubblicità la categoria delle lesbiche non viene presa in considerazione in maniera adeguata. Nello specifico, l’ex redattore capo di AfterEllen, Karman Kregloe, ha dichiarato che gli inserzionisti non pensano alle lesbiche come a donne, e quindi come a una categoria a sé, ma le associano al pubblico gay: si tende cioè a presumere che alle lesbiche piaccia tutto ciò che è gay, anche se è incentrato sul sesso maschile.
Questa situazione nasce anche da una questione di mercato: il pubblico delle donne lesbiche non viene considerato come un potenziale consumatore, per cui valga la pena di investire, a differenza di quello gay, identificato come un campione di mercato decisamente più redditizio e per questo meritevole di una maggiore attenzione e di mirate politiche di investimento.
La stessa assenza di interesse per il vero mondo del lesbismo si riscontra anche in televisione e nelle serie TV. Il recente reboot di programmi come Will e Grace e Queer Eye for the Straight Guy ha dimostrato che c’è ancora un forte mercato, principalmente etero, per certi tipi di personaggi gay. Il lesbismo, al contrario, non è così chiaramente definito nella cultura pop, o meglio, viene omesso.
Quando si parla di lesbiche e di donne bisessuali in televisione, in genere le si associa al concetto della “queerness” e non se ne dà una rappresentazione totalmente realistica, o la si dà solo in modo parziale. La maggior parte delle protagoniste lesbiche appartiene infatti alla categoria delle donne ultra-femminili e bianche, si vedano ad esempio le protagoniste di South on nowhere, Spencer e Ashley, o le protagoniste di Pretty Little Liars, ma questo riflette solo un gruppo ristretto di donne lesbiche e non fotografa la realtà.
Le donne queer femminili risultano però molto più facili da “vendere” al pubblico mainstream rispetto a un gruppo di lesbiche mascoline e, infatti, queste ultime vengono generalmente ignorate, ad eccezione di pochi celebri casi, come il personaggio di Carrie Big Boo in Orange Is the New Black, interpretato da Lea DeLaria, e quello di Denise nella serie Master of None, interpretato da Lena Waithe.
Lesbian erasure e persone trans
Come abbiamo accennato in precedenza, il fenomeno della cancellazione delle lesbiche ha subìto un incremento anche per via della convivenza di differenti ideologie all’interno della comunità LGBT, tra alcune frange del mondo lesbico e parte di quello trans, ideologie che per alcuni aspetti possono presentare posizioni antitetiche e difficilmente conciliabili.
L’acronimo LGBT suggerisce infatti un interesse comune tra le lesbiche e coloro che si identificano come persone transgender, ma nei fatti non sempre succede così. Il “difetto” di questa difficile convivenza risiede nell’incompatibilità di alcuni concetti cardine: la rivendicazione del concetto di genere e l’esistenza dei confini sessuali nel mondo lesbico e l’abbattimento delle categorie di genere e l’annullamento dell’esclusività in quello trans.
Memoree Joelle, caporedattore di AfterEllen, nel dicembre 2016 ha parlato di un “attacco diretto alle lesbiche da parte dei membri della comunità LGBT” e del “declino dell’interesse al suo interno ad ascoltare la varietà di prospettive nella comunità”. Come conseguenza, ha aggiunto la sua firma e la sua dichiarazione di approvazione alla petizione “L is out of GBT” su Change.org per sostenere l’uscita della comunità lesbica dalla comunità LGBT.
La scrittrice e studiosa di storia delle donne Bonnie J. Morris e altre attiviste lesbiche, tra cui la pioniera del matrimonio omosessuale Robin Tyler e Ashley Obinwanne, sceneggiatrice e co-fondatrice della piattaforma Lesbians Over Everything, si sono scagliate contro il termine amorfo queer, quando usato per descrivere le lesbiche, perché considerato un termine di “disidentificazione” che contribuisce all’invisibilità lesbica.
A rincarare la dose ci pensa anche Julia Diana Robertson che ha sostenuto come il termine queer venga usato al posto della parola “lesbica” perché non allude a confini sessuali definiti e in quanto considerato più cool. Questa concezione invierebbe alle donne lesbiche un preciso messaggio secondo cui la loro sessualità, se esclusiva e basata su confini sessuali e categorie di genere, risulterebbe antiquata e bigotta. Questa, stando alle parole della Robertson, non sarebbe altro che semplice omofobia travestita da progressismo.
Pratiche come la fasciatura del seno, i regimi ormonali e gli interventi chirurgici di transizione vengono considerate da alcune frange più estremiste del mondo lesbico come un annullamento della loro identità. Il trasgenderismo in questo senso viene intenso, o sarebbe meglio dire frainteso, come una forma di terapia di conversione per le lesbiche.
Nello specifico alcune femministe radicali, le cosiddette TERF, il cui acronimo significa femminista radicale trans-escludente, di cui fanno parte anche le esponenti lesbiche dell’organizzazione britannica Get the L Out, sostengono che la transessualità e l’attivismo transgender vogliano cancellare le lesbiche butch, ossia le donne lesbiche dall’aspetto e le sembianze più mascoline, esercitando su di loro la pressione perché diventino a tutti gli effetti degli uomini. Secondo loro, per la comunità trans, il lesbismo verrebbe identificato esclusivamente con la disforia di genere e ne verrebbe pertanto negata l’esistenza e la legittimazione. Secondo quanto sostengono queste frange più estreme della comunità lesbica, la transizione sarebbe quindi un tentativo patriarcale di rafforzare i ruoli di genere e di cancellare le donne mascoline.
Una tattica particolarmente strana che gli attivisti anti-trans usano è quella di presentare qualsiasi passo avanti per i diritti trans come inevitabilmente a scapito dei diritti delle lesbiche. In particolare per i diritti delle lesbiche mascoline.
Il Soffitto di Cotone mira a sfidare la tendenza delle lesbiche cisgender a tracciare la linea di confine per andare a letto con le donne trans o includere le lesbiche trans nelle loro comunità sessuali.
Disconoscere questo, delegittimarlo, schernirlo a mo’ di ultima tendenza e attacco alle donne, è profondamente sbagliato. Come lesbica cresciuta anche seguendo le battaglie che Arcilesbica ha compiuto per tutte, leggendo le sue pubblicazioni, osservandole da lontano, provo un senso di sconfitta oggi nel leggere questo post.
Verrebbe anche da chiedersi come mai il soffitto di cotone sia una tematica che ha generato contrasti e accuse solo nei confronti delle donne lesbiche, quando l’assunto “non andrei mai con una persona trans” interessa anche gli uomini, etero e gay. Perché se da un lato è innegabile che tale imposizione sia transfobica (essere trans non dice nulla a riguardo delle preferenze sessuali di una persona e nemmeno dei suoi genitali, perciò escludere a priori una persona trans è un atto discriminatorio) viene il dubbio che la responsabilità di superare questo limite venga fatta ricadere più sulle donne che sugli uomini, in linea con il vecchio spirito da “crocerossina” che il patriarcato ha da sempre imposto alle donne.
Dall’altro lato, è bene però ribadire che le preferenze sessuali sono un diritto inviolabile di chiunque e se affermare che non si andrebbe mai a letto con una persona trans è sbagliato, lo stesso non si può dire se si dicesse: “Non andrei mai a letto con una persona con un pene”.
La questione quindi è molto complessa e potrà essere risolta solo con un dialogo aperto ed empatico nei confronti delle posizioni di tutt*.
Articolo originale pubblicato il 9 dicembre 2020
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