È virtue signalling o lo stai dicendo perché ci credi davvero?

L'espressione virtue signalling, traducibile in italiano come "ostentazione di virtù", si riferisce a quella serie di comportamenti mediante i quali un individuo, un'organizzazione o un'azienda "mettono in mostra" la propria adesione a valori morali considerati elevati senza, tuttavia, prodigarsi in maniera effettiva nel perseguirli quotidianamente. Vediamone insieme i dettagli.

Quasi tutti, in qualche sfumatura, ricerchiamo l’approvazione e il supporto degli altri, dalle persone care ai colleghi di lavoro. Ma che cosa succede quando si valica il confine e tale necessità risulta esacerbata? Che cosa accade, nello specifico, quando si ostentano determinati valori, senza, però, attivarsi concretamente per essi?

Quest’ultimo atteggiamento, in particolare, è molto più diffuso di quanto si creda, e ha un nome preciso: virtue signallingIn che cosa consiste questa “segnalazione di virtù” e come si esplica? Scopriamolo insieme.

Che cos’è il virtue signalling: una definizione

L’espressione virtue signalling, traducibile in italiano come “ostentazione di virtù” (ma anche farisaismo, dai farisei, gruppo politico e religioso giudaico condannato da Gesù per il formalismo ipocrita ed eccessivo nell’osservanza della legge mosaica), o, in senso lato, come perbenismo, ipocrisia e falsità, si riferisce a quella serie di comportamenti mediante i quali un individuo, un’organizzazione o un’azienda “mettono in mostra” la propria adesione a valori morali considerati elevati senza, tuttavia, prodigarsi in maniera effettiva nel perseguirli quotidianamente.

Secondo il Cambridge Dictionary, infatti, il virtue signalling sarebbe, dunque,

un tentativo di dimostrare agli altri che sei una brava persona, per esempio esprimendo opinioni che risulterebbero accettabili per loro, soprattutto sui social media. [Essa è allora] l’abitudine moderna e popolare di indicare che si possiede virtù semplicemente esprimendo disgusto o favore per determinate idee politiche o avvenimenti culturali.

Il termine, secondo il Guardian, ha fatto la sua prima apparizione nel 2004, per poi essere utilizzato nell’ambito di ricerche accademiche sulle religioni tra il 2010 e il 2011. A rivendicarne la paternità, però, è stato il giornalista britannico James Bartholomew, il quale sostiene di aver coniato il neologismo in un articolo pubblicato sul The Spectator nel 2015.

Le motivazioni psicologiche del virtue signalling

Ma qual è la motivazione psicologica alla base di un’ostentazione di questo tipo? Una prima osservazione del virtue signalling era già stata fatta da Charles Darwin in The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex, pubblicato nel 1861. Nel volume, il biologo e naturalista britannico esegue una disamina dell’evoluzione e introduce il concetto di selezione sessuale, ossia l’idea in base alla quale determinati tratti fisici nascano e siano mantenuti da una specie all’altra grazie alla loro capacità di attrarre sessualmente gli altri animali, e, di conseguenza, procreare e trasmettere i geni alla progenie.

Un caso emblematico, in questo senso, è quello del pavone maschio, che mette in mostra il proprio piumaggio per corteggiare la femmina, mostrare le proprie qualità e attirare, così, la sua attenzione.

Ma quali sono i punti di raccordo tra il piumaggio del pavone e le foto di chi mostra di aver appena effettuato una donazione di sangue? Probabilmente, il narcisismo (o, comunque, una sua eco). Come scrive Sheri Heller su Medium:

Queste persone eccezionali e magnanime, altamente abili nella virtue signalling e nella magnificenza, sono conosciute come narcisisti nascosti e violentatori ambientali. […] Il terreno più ampio del culto delle celebrità, dei guerrieri della giustizia sociale e della politica è pieno di segnalatori di virtù e tribune. Qui vediamo plutocrati ‘virtuosi liberali’ che reclamizzano l’ambientalismo, l’uguaglianza economica e la pace nel mondo. Sono bravi solo a parole.

Esempi pratici di virtue signalling

Ostentare la propria adesione a determinate virtù morali non è, però, un fatto recente. Si pensi, ad esempio, ai cosiddetti “radical chic“, così definiti dal giornalista Tom Wolfe nel 1970 in quanto persone che ostentano, quasi per moda, idee di sinistra e radicali, che collidono, però, con il loro ceto di appartenenza, tendenzialmente ricco e privilegiato.

Esempi di individui che palesano la dedizione a una causa specifica senza, tuttavia, attuare un cambiamento concreto costellano non solo i luoghi che frequentiamo, ma anche i nostri social network. Uno dei più celebri, come ricorda Medici Online, è quello della Ice Bucket Challenge del 2014: la campagna nata con lo scopo di sensibilizzare circa la sclerosi laterale amiotrofica e di acuire le donazioni per la ricerca.

In quei giorni, i social sono stati un proliferare di video di personaggi (più o meno noti) intenti a rovesciarsi addosso secchi d’acqua fredda, segnalando, così, la propria “virtù” e superiorità morale ma, spesso, senza neanche effettuare una donazione all’ALS Association, l’ente di beneficenza coinvolto nell’iniziativa.

Ma i casi di virtue signalling sono molteplici. Tra questi, si annoverano:

  • La pubblicazione di foto in Paesi piegati dalla povertà, con bambini di colore cui si donano cibo, vestiti o giochi;
  • Ostentare atti di volontariato e/o l’aver partecipato ai soccorsi in seguito a una catastrofe naturale (alluvione, terremoto e affini);
  • Ostentare il fatto di essere animalisti;
  • Ostentare il rispetto per l’ambiente e la raccolta differenziata;
  • Ostentare il rispetto nei confronti delle donne, della comunità LGBTQIA+ e delle minoranze etniche;
  • Ostentare l’adesione a una causa (dalla lotta contro i tumori al seno alla sensibilizzazione per le malattie rare);
  • Ostentare la propria votazione per un partito politico ritenuto moralmente superiore ad altri;
  • Ostentare la propria donazione a determinati enti di beneficenza;
  • Ostentare la propria fede in un credo religioso giudicato più virtuoso di altri.

Il tutto continuando, magari, a fare battute sessiste, omofobe o razziste, a trattare male il proprio animale domestico, a buttare i rifiuti per terra, a disinteressarsi alla lotta politica e così via.

Le conseguenze negative e gli effetti

Ma quali conseguenze reca con sé un atteggiamento di questo tipo? A porsi in evidenza è, senza dubbio, la profonda ipocrisia che caratterizza tale comportamento: ricercare l’approvazione altrui “pavoneggiandosi” di aver compiuto azioni considerate moralmente giuste ed elevate senza dare, a esse, il giusto seguito in termini di concretezza è, infatti, un comportamento pavido e deprecabile.

E, soprattutto, rischia di creare confusione tra chi crede davvero nella causa che professa e chi, al contrario, la appoggia e sostiene solo per dare bella mostra di sé. In questo scenario, rientrano anche le persone che, in particolar modo sui social, accusano qualcuno di virtue signalling.

In tal caso, sorge spontanea una domanda: puntare il dito contro qualcuno parlando di virtue signalling non è esso stesso virtue signalling? Affermare, cioè, che la propria adesione sia più “sincera” e moralmente elevata di un’altra – sminuendo la voce, l’autorevolezza e le lotte di qualcun altro – non è anch’essa una forma di ostentazione?

Come riconoscerlo e come evitarlo

Ne deriva che il virtue signalling sia, di fatto, controproducente, dal momento che non apporta nessun beneficio reale alle cause oggetto dell’ostentazione ma, al contrario, genera caos e irrequietezza tra coloro che si battono giornalmente per esse, senza darne notizia sui social.

Di qui, la necessità di fare attenzione a ciò che viene postato o condiviso nelle stories, perché non sempre è sinonimo di bontà d’animo ed elevatezza morale. Anzi. Lo sa bene Motaz Azaiza, reporter e fotografo palestinese che lavora per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione e che, al momento, sta seguendo il conflitto israelo-palestinese, mostrando gli effetti delle bombe su uomini, donne e bambini.

Le sue foto, ritraenti – come si legge su L’Unità – massacri, persone ferite e ricoperte di cenere, polvere e sangue e uomini e donne intenti a recuperare corpi di familiari e amici dalle macerie dei palazzi colpiti, hanno fatto il giro del mondo, ma le ricondivisioni hanno suscitato le critiche dello stesso Azaiza, il quale ha, infatti, affermato che:

Non siamo soltanto noi a vedere le persone di Gaza – anche loro vedono noi. Mischiare le immagini della vostra vita ordinaria con le immagini del loro straordinario dolore li ferisce duramente. Gaza non dev’essere un genocidio da voyeur a senso unico. Ci sono persone reali dall’altra parte che vedono. Siate consapevoli di quello che postate e di come questo possa farli sentire.

Per poi concludere dicendo:

Internet è saltato di nuovo e, che mi crediate o no, ero felice. Perché dopo quello che abbiamo mostrato al mondo la risposta è stata semplicemente: siamo tanto dispiaciuti e nessuno ha fatto nulla. Le persone condividono le mie storie e le mie foto e il post successivo nelle loro storie si divertono. Quindi, non c’è bisogno di condividere nulla e non vogliamo la vostra pietà!

La soluzione, dunque, è forse quella di evitare di ostentare le proprie adesioni a determinate cause se, a esse, non segue un’azione reale ed effettiva, e, nel caso di conoscenti e/o persone vicine che si comportano in questo modo, tentare di far comprendere loro l’insidiosa ipocrisia che si cela dietro un atto apparentemente benevolo. Sarà un cliché, ma è importante fare del bene, non mostrarlo.

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