Che cosa significa radical chic?

Coniata dal giornalista e scrittore statunitense Tom Wolfe nel 1970, l'espressione "radical chic" fa riferimento alle persone che ostentano, quasi per moda, idee di sinistra e, appunto, "radicali", estremiste, le quali collidono, però, con il loro ceto di appartenenza, tendenzialmente ricco e privilegiato. Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

“Socialisti da champagne”, “sinistra al caviale”, “comunisti con il Rolex”, “bourgeois bohémien”, “latte liberal”, “limousine liberal”, “Bollinger bolshevik”… in poche parole: “radical chic“.

Dalla natura ibrida, in quanto, al contempo, sostantivo e aggettivo, l’espressione indica, come si legge su Treccani:

Che o chi, per moda o convenienza, professa idee anticonformistiche e tendenze politiche radicali.

Utilizzato perlopiù in modo dispregiativo, l’epiteto indica lo scollamento che sussiste tra le idee di sinistra, “radicali”, poste in rilievo e introdotte nel dibattito, e il reddito di chi le professa, eccessivamente elevato rispetto al proletariato cui esse, in origine, apparterrebbero.

Ma da dove deriva tale espressione, chi l’ha coniata e quali sono le sue sfumature di significato attuali? Vediamolo nel dettaglio.

Radical chic: definizione e origine del termine

La definizione radical chic deriva dal connubio della parola inglese “radical“, “radicale” – con riferimento all’estremismo delle posizioni politiche e al livello di intensità dell’attivismo – e di quella francese “chic“, “raffinato, elegante”.

Con l’espressione, dunque, si fa riferimento alle persone che ostentano, quasi per moda, idee di sinistra e, appunto, radicali, estremiste, ma che collidono con il ceto di appartenenza, tendenzialmente ricco e privilegiato.

Radical chic, però, non ha sempre avuto questo significato. La sua origine, infatti, risale al 1970, quando il giornalista e scrittore Tom Wolfe – esponente di spicco del new journalism – ha pubblicato sul New York Magazine un articolo di 29 pagine intitolato Radical Chic, That Party at Lenny’s.

Il pezzo è un lungo riepilogo – a metà strada tra giornalismo e narrativa – del ricevimento organizzato da Felicia Montealegre, moglie del celeberrimo pianista e direttore d’orchestra Leonard Bernstein, e ospitato presso la casa dei due coniugi, un attico sito a Park Avenue, a Manhattan. Occasione dell’incontro: una raccolta fondi a sostegno delle Black Panther, il gruppo rivoluzionario di liberazione degli afroamericani sorto negli anni Sessanta e rappresentato da alcuni esponenti, invitati alla serata di beneficenza.

Una commistione inusuale e inedita che Wolfe non manca di criticare, delineando i contorni di una sorta di “effetto straniante” che, come si legge su Il Post, ha rappresentato

un matrimonio pubblico molto ridicolo tra la buona coscienza progressista delle classi più ricche e la politica di strada, un cortocircuito in cui alcuni rischiavano davvero, per le loro idee, e altri invece non rischiavano niente e in cui c’era l’illusione di una collaborazione e contaminazione tra diversi mondi e diverse classi sociali.

Le caratteristiche originarie del radical chic

Il concetto di radical chic è, allora, sorto proprio per indicare la manifestazione di riflessioni e posizioni progressiste come se queste fossero un accessorio alla moda, con la speranza di avvicinarsi alle fasce più popolari e “proletarie” e trovare, così, dei punti di raccordo e comunicazione.

Tra un bicchiere di champagne e un piatto di Roquefort, quindi, i radical chic “originali” disquisivano di giustizia, razzismo e uguaglianza sociale, venendo serviti da camerieri rigorosamente bianchi per non offendere gli i militanti afroamericani presenti al ricevimento.

Come ha raccontato lo stesso Tom Wolfe:

Andai alla festa e scoprii che era in onore delle Black Panther, s’immagini, i rivoluzionari neri più di sinistra e più violenti del momento. Ci feci un servizio molto sarcastico per Harper’s, sfottendo questi super ricchi bianchi, che celebravano un movimento che prometteva di farli fuori tutti, e la buona società di New York non mi perdonò mai di avere demolito la loro ipocrisia. La signora Bernstein scrisse furiosa a Harper’s, indignata perché mi ero portato un registratorino. Che villano.

I radical chic descritti da Wolfe erano, perciò, persone aristocratiche, privilegiate, estremamente ricche, appartenenti alla borghesia e ai ceti elevati, desiderose di “mischiarsi” con la politica dei proletari e di appoggiarne le cause, alla stregua, però, di una “nouvelle vague” sinonimo di progressismo e inclusività.

Il radical chic nella cultura moderna

Con il tempo, il concetto di radical chic ha valicato i confini statunitensi e si è diffuso in altre parti del mondo, andando ad assumere una connotazione diversa, più confusa e distante da quella primaria.

Lo dimostra, ad esempio, l’articolo Lettera a Camilla pubblicato da Indro Montanelli sul Corriere della Sera il 21 marzo 1972, nel quale il giornalista fece ricorso all’espressione per criticare duramente Camilla Cederna, che si stava occupando della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli – accusato ingiustamente dell’attentato di Piazza Fontana – per L’Espresso.

In tale contesto, radical chic è stato utilizzato per rivolgere un’invettiva tagliente e derogatoria, dando l’abbrivio all’uso moderno dell’espressione, a indicare una “sinistra dei salotti” avulsa dalla realtà e totalmente affrancata e sconnessa da quest’ultima.

Nel corso del tempo, l’espressione ha, poi, visto l’acuirsi della sua fruizione ogniqualvolta in cui un individuo esponga posizioni progressiste e di sinistra, a prescindere dal fatto che si indossi un maglioncino di cachemire o viva nelle case popolari, assumendo i contorni di una vera e propria offesa – non solo da parte della destra, ma anche all’interno della stessa sinistra.

Le critiche e le controversie

L’espressione si è, così, trasformata, venendo a rappresentare un appellativo trasversale, particolarmente presente del discorso populista. Come si legge su Lampoon, infatti:

Inizialmente, sfruttando il divorzio tra sinistra e popolo, l’espressione è stata impiegata come insulto nei confronti di quei politici ed elettori, in particolar modo del Partito Democratico, che avevano contribuito ad acuire quella separazione.

Tuttavia:

In seguito, l’epiteto è stato impiegato anche nei confronti di tutti gli elettori di sinistra, così come degli ideali di sinistra in generale. I ‘radical chic’, sembrerebbero essere sia il militante di sinistra, sia Chiara Ferragni. Chi frequenta i teatri, chi è appassionato di cinema, chi indossa una giacca di seconda mano, chi legge sul tram un libro comprato al mercatino dell’usato o chi mangia cibo biologico. Così come ‘radical chic’ sono tutti coloro che sposano la causa ambientalista e ideali di inclusione e tolleranza.

Vi è, quindi, una sorta di confusione e “sfilacciamento” del concetto, inteso, ora, come rappresentazione unificata del “nemico” del populismo: un sinonimo di snob, intellettualismo e progressismo che rischia di offuscare gli ideali effettivi della sinistra e di creare un vortice di diffidenza nei confronti di questi ultimi, il quale genera, così, solo più caos e scollamento.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!