“Uomo, sei tu capace di essere giusto? Chi ti pone questa domanda è una donna: questo diritto, almeno, non glielo toglierai”. Mentre la sua Francia si trovava nel bel mezzo della sua più grande rivoluzione politica e sociale, una donna osò alzare la voce per rivendicare l’importanza della partecipazione femminile. Si chiamava Marie Gouze, ma tutti la conoscevano con il nome che lei aveva scelto per sé, Olympe de Gouge.

Autrice della celebre Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina e di una miriade di altri testi in cui rivendicava l’uguaglianza tra uomo e donna, nel 1793 venne condannata a morte “perché si era dimenticata le virtù che convengono al suo sesso”. La sua storia, ricordata qualche anno fa anche da un bell’articolo di Le Monde Diplomatique, è appassionante e merita di essere raccontata, soprattutto attraverso la sua stessa voce.

Chi ti ha dato il potere sovrano di opprimere il mio sesso? La tua forza? Le tue capacità? Osserva il creatore nella sua saggezza: percorri la natura in tutta la sua grandezza, alla quale sembri volerti avvicinare, e dammi, se ne hai il coraggio, un esempio di questo potere tirannico. […] Cerca, scava e distingui, se puoi, i due sessi nell’amministrazione della natura. Ovunque, li troverai confusi, ovunque essi cooperano in armonioso insieme a questo capolavoro immortale!

La vita avventurosa di Marie Gouze

Marie Gouze nacque a Montauban il 7 maggio 1748. Figlia di un macellaio benestante e di una madre appartenente a una famiglia di avvocati, ricevette un’educazione borghese. Molti ritenevano però (e ne era convinta lei stessa) che fosse la figlia naturale del marchese Jean-Jacques Lefranc de Pompignan, padrino di sua madre, poeta e accademico di fama nazionale, da cui era certa di aver ereditato l’amore per la scrittura.

A 17 anni venne data in sposa, contro la sua volontà, a un ristoratore parigino di trent’anni più vecchio, Louis-Yves Aubry, che morì tragicamente un anno dopo, per una febbre fulminante. Marie rimase sola con il figlio appena nato, Pierre, senza troppi rimpianti. Anzi, decise di non risposarsi mai più: un ostacolo in meno per la sua carriera da scrittrice, dato che a quel tempo le mogli avevano bisogno del consenso del coniuge per pubblicare le loro opere.

Ricominciò la sua vita a Parigi, dove iniziò a scrivere opere teatrali. Si innamorò di un alto funzionario della Marina, Jacques Biétrix de Rozières, che accettò di buon grado il ruolo di amante, concedendole una rendita sufficiente per dedicarsi alla sua attività.

Vivace, intelligente e di bell’aspetto, Marie Gouze attirò presto l’attenzione. Nel 1774 la rivista l’Almanach de Paris, molto nota a quel tempo, la mise al quinto posto nella classifica dei parigini più importanti. Era così libera da far credere ai suoi detrattori di condurre una vita da semplice cortigiana, come tante altre, ma non era così.

Di sicuro, poco “consone” alle donne dell’epoca erano le sue abitudini: Marie era infatti solita frequentare i circoli letterari, era un’appassionata studiosa e seguiva sia il dibattito politico che quello filosofico; facile, quindi, che su di lei pesassero soprattutto i pregiudizi morali dei suoi contemporanei.

Anche le frequentazioni che si riservava erano tutt’altro che ordinarie; fra esse figuravano lo scrittore e drammaturgo Louis-Sebastien Mercier, una vera stella del suo tempo, di cui forse Marie fu anche amante per un periodo, ma anche la marchesa de Montesson, che la prese sotto la propria ala protettrice, sposa morganatica di Louis-Philippe d’Orléans, membro della famiglia reale. Infine, il Cavaliere di Saint-Georges, figlio naturale riconosciuto di una schiava delle colonie d’oltreoceano e di un francese di buona famiglia.

L’impegno di Marie Gouze e la nascita di Olympe De Gouges

Negli anni prececenti allo scoppio della Rivoluzione Francese Marie Gouze frequentò con assiduità il teatro, scrivendo delle proprie pièce prese di mira dalla censura perché pregne dello spirito che accompagnava l’Illuminismo. Nei suoi scritti infatti Gouze condannava apertamente i proprietari terrieri delle colonie e il Codice nero, un editto reale risalente al 1685 firmato dal Louis XIV, il Re Sole, che di fatto autorizzava e regolamentava lo schiavismo in quei territori.

Ne è un perfetto esempio il suo primo grande spettacolo teatrale, Zamore e Mirza, del 1785, una dura accusa al colonialismo e allo sfruttamento degli schiavi. La pièce fu fortemente osteggiata, ma ciò non la scoraggiò.

Fu nello stesso periodo che maturò lo pseudonimo di Olympe De Gouges, anche se l’origine di questo nom de plume è tutt’altro che certa; Olympe era infatti il nome della madre, cui Marie era molto legata, mentre Gouges potrebbe essere una storpiatura del cognome originale, come a dire “Ho il cognome di mio padre, che però non è mio padre”. A questo proposito anche l’aggiunta della particella nobiliare De potrebbe far pensare al padre naturale, il marchese Lefranc de Pompignan.

Fra le battaglie di Olympe vi fu anche quella di creare stabilimenti destinati a ospitare le partorienti che fossero luoghi salubri e puliti. Crescendo e andando avanti con i propri studi Olympe De Gouges capì che fino a quel momento era vissuta in uno stato di profonda ignoranza a causa del suo essere donna, e con il sopraggiungere della Rivoluzione si fece convinta che quella fosse l’occasione giusta per lottare per i diritti di tutti. Peccato che, alla firma della sospirata Costituzione ispirata dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo la parte riservata ai diritti delle donne fu davvero irrilevante, e Olympe si indignò moltissimo.

Per questo decise lei stessa di scrivere quella che sarebbe passata alla storia come la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che lei stessa consegnò non solo all’Assemblea legislativa, ma anche alla famiglia reale, dove ad apprezzarla fu in particolare Maria Antonietta. Questo il primo articolo:

Articolo primo: ‘La donna nasce libera e vive uguale all’uomo nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune’.

Uomo, sei capace d’essere giusto?
È una donna che ti pone la domanda; non la priverai anche di questo diritto.
Dimmi, chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il Creatore nella sua saggezza; percorri la natura in tutta la sua grandezza… e dammi, se osi, l’esempio di questo potere tirannico.

Dei 14 articoli della Dichiarazione, solo uno, quello sul divorzio, venne preso in considerazione dall’Assemblea legislativa. Quando le sue lettere che denunciavano l’Assemblea vennero rese pubbliche, Olympe ricevette i peggiori insulti, legati ovviamente al suo genere, ma la situazione per lei degenerò solo quando, dopo l’instaurazione del regime del Terrore, denunciò gli eccessi cruenti del governo, soprattuttto dopo il massacro del 10 agosto 1792, giorno dell’assalto al palazzo delle Tuileries sede della famiglia reale.

Questa costituzione così vantata non ha prodotto che un governo mostruoso – scrisse all’Assemblea ribattezzata Convenzione nazionale – L’avevo previsto e la giornata del 10 agosto ha confermato la mia predizione.

Olympe ebbe persino l’ardire di attaccare Robespierre in persona:

Coraggio Maximilien, tenta la fortuna fino all’estinzione, […] quale che sia il tuo trionfo del momento […] non governerai mai degli uomini illuminati.

La morte

Continuò senza sosta a denunciare gli eccessi del Regime del Terrore. Fino al momento in cui qualcuno decise che non poteva più parlare. Fu arrestata, portata in prigione e davanti al tribunale rivoluzionario. Sebbene malata, si difese strenuamente, ma la condannarono comunque a morte. Chiusa nella Conciergerie, l’anticamera della ghigliottina, scrisse a suo figlio.

Sto morendo vittima della mia idolatria per la patria e per il popolo. […] Venti volte ho fatto impallidire i miei carnefici e, non sapendo cosa rispondere a ciascuna delle frasi che dimostravano la mia innocenza, hanno pronunciato la mia morte. […] Muoio, figlio mio, mio caro figlio: muoio innocente.

Fiera e pallida, il 3 novembre del 1793 salì sul patibolo di quella che oggi è Place de la Concorde, circondata da una folla ostile e silenziosa. Prima di essere ghigliottinata, disse “Figli della patria, vendicherete la mia morte”. Morì così, a soli 45 anni, dopo aver scritto una trentina di romanzi e altre opere, 71 pièce teatrali e 70 pamphlet e articoli.

Le donne avranno pur diritto di salire alla tribuna, se hanno quello di salire al patibolo.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!
  • Storie di Donne