Anita Zadid ha tre figli, è sposata da ben oltre un decennio, ma divorzierebbe dal marito, se solo potesse farlo. La sua storia, raccontata in un recente articolo del Guardian, è uguale a quella di molte altre donne afghane che hanno visto i loro matrimoni sgretolarsi per colpa della dipendenza degli uomini da oppio e metanfetamina. La rinascita, però, passa dallo zafferano.

Divorziare da lui non è concesso nell’Afghanistan rurale, ma mentalmente il mio matrimonio è finito molti anni fa.

Il suo villaggio, nella provincia di Herat, è solo uno dei tanti contesi tra governo e talebani, spezzato dai crescenti problemi di droga. Qui un numero sempre crescente di uomini ha smesso di cercare lavoro, lasciando alle mogli il compito di lavorare e foraggiare i loro vizi.

La storia di Anita

Il villaggio di Anita Zadid si trova letteralmente tra due fuochi, braccato da una guerra civile che non conosce sosta. Perfino le famiglie sono divise e nutrono al loro interno membri delle fazioni opposte, quella talebana e quella governativa.

Tra la guerra e l’economia in declino, le opportunità di lavoro scarseggiano e molti uomini si spingono oltre il confine in Iran, dove spesso finiscono nel gorgo della droga. Un problema grande, impossibile da ignorare, visto che secondo le stime ufficiali una persona su dieci in Afghanistan è tossicodipendente. E le parole di Anita confermano i dati.

Decine di mie vicine di casa stanno affrontando la stessa lotta con i loro mariti dipendenti dalla droga. Molti di loro si riuniscono nel centro del villaggio, dove fumano oppio insieme.

Lo zafferano, unica salvezza

Le mogli del villaggio hanno così deciso di avviare la propria attività di produzione di zafferano, sperando di guadagnare abbastanza per comprare cibo e mandare i propri figli a scuola. Sebbene il divorzio non sia tecnicamente illegale, per loro è considerata una scelta impossibile da prendere, poiché significherebbe rinunciare ai bambini.

Anita e le altre hanno invece deciso di risolvere a modo loro la situazione. Aiutate da un’associazione locale, che ha fornito i bulbi da piantare, hanno iniziato a produrre zafferano, attualmente considerata la spezia più costosa al mondo.

Se voglio lasciare il nostro complesso, devo ancora chiedere prima il permesso a mio marito. Altrimenti si arrabbierebbe. Ma quello che non sa è quanto sto guadagnando. […] Se sapesse che ho una piccola quantità di risparmi, potrebbe mettere a rischio l’istruzione dei miei figli.

Anita, che lavora non solo come coltivatrice ma anche come sarta, è determinata a proseguire con la sua piccola rivoluzione personale.

In Afghanistan ci si aspetta che gli uomini lavorino per le loro famiglie, ma non è sempre quello che succede. Nel mio caso, devo essere forte per i miei figli, il che significa trattare con mio marito e assicurarmi che i miei figli vengano istruiti. È una ribellione interiore, ma non ho altra scelta che combattere.

Il progetto italiano

Oltre agli aiuti locali, oggi fioccano anche quelli internazionali. La Costa Family Foundation, ad esempio, ha lanciato qualche anno fa il progetto Giallo fiducia. Nata nel 2017, l’iniziativa si occupa proprio di assistere le donne afghane nel loro cammino verso l’indipendenza economica, tinteggiata di viola e arancione, i colori dei fiori da cui si ottiene lo zafferano.

Il sostegno alle mogli e madri del paese asiatico passa anche attraverso la visibilità garantita alle voci femminili, come quella dell’attivista Selay Ghaffar, portavoce del partito di solidarietà Hambastagi. Durante un evento della fondazione, è stata proprio lei a raccontare la drammatica situazione.

Le donne in Afghanistan vengono trattate peggio di un animale. Quando violentare una donna diventa normale, quando le botte sono il meno peggio che ti può succedere, quando le bimbe di 8 anni sono costrette in sposa a saldo dei debiti della propria famiglia, neanche fossero oggetti di valore da dare in pegno. Quando alle donne si tagliano il naso, le orecchie, per essere uscite di casa senza il consenso di un famigliare maschio. Quando la donna viene lapidata per aver fatto l’amore. Quando a dodici anni devi partorire e non sai quale di quegli uomini, che ogni giorno entrano ed escono da casa, che ogni giorno ti violentano per fare guadagnare tuo marito, è il padre… l’unico spiraglio di libertà diventa proprio lui, il tessuto azzurro imbevuto di benzina e infuocato. Sono migliaia le donne che continuano a immolarsi, cercando così la libertà.

Le migliaia di donne che ogni anno si suicidano sono la spia di un malessere che è duro da sradicare. La speranza, però, viene proprio dalla terra così fertile, dove oppio e zafferano dividono uomini e donne.

Essere femminista non significa rinunciare all’essere donna, è proprio il contrario; significa prendere coscienza di ciò che vuol dire essere donna, dargli valore, tenergli fede, essere coerenti e fiere di essere ciò che siamo. La donna porta la vita, dà la vita. Non è debolezza, è forza.

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