Assunta Bianco: "La vita dopo la morte per femminicidio di mia sorella"

La vita di una famiglia cui la furia omicida di un uomo ha portato via una madre, una sorella, una figlia, una donna. Antonia Bianco è stata uccisa il 13 febbraio 2012, nonostante le ripetute denunce nei confronti di quello che è poi diventato il suo assassino.

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“Io non devo darti conto della mia vita privata.
Se io vado con un amico o un’amica a mangiare la pizza o a prendere un gelato, tu non sei nessuno per sapere quello che io faccio nella mia vita privata”.

“Un amica o un amico?”

“Anche se fosse un amico a te non te ne deve fregare, perché tu con me non c’hai niente”.

“Sì? Molto male tu finisci. Te l’ho detto davanti ai poliziotti che ti taglio la gola”.

L’ex compagno, il vicino di negozio, il papà del suo bambino ha mantenuto la promessa e l’ha uccisa.
Antonia Bianco il 13 febbraio 2012 non è morta per un arresto cardiocircolatorio
, come all’inizio gli stessi medici avevano ipotizzato.

Non è morta perché la disperazione, la rabbia e l’ennesima lite con l’ex compagno, che la tormentava e la minacciava da tempo, le hanno incrinato un cuore, che Antonia aveva forte, nonostante una vita non facile.

Chiedo ad Assunta, sua sorella, se Antonia aveva paura. Lei risponde perentoria: “No. No. Antonia era forte”.
Nonostante quelle intercettazioni (quella riportata sopra è una delle tante), in cui lui chiama Antonia puttana, vacca e le promette che la ucciderà.

La madre e la sorella di Antonia si accorgono di un “foro della dimensione di una moneta da 5 centesimi nel reggiseno, sporco di sangue”, solo dopo ore dalla sua morte apparentemente naturale e improvvisa, arrivata al culmine di una brutta lite con l’ex compagno, padre del più piccolo dei suoi figli.

No, non è stato un arresto cardiocircolatorio. Lui, nel corso di quella lite, l’ha trafitta con un punteruolo, un’arma bianca: “Il referto dell’autopsia parla di uno spillone di 12 cm”, dice Assunta mimando con le mani la dimensione di quel piccolo oggetto letale.

In tutti i tre gradi di giudizio Carmine Buono è condannato all’ergastolo. Eppure nel 2015 l’uomo è persino tornato in libertà, nonostante l’omicidio, nonostante le varie denunce di stalking e maltrattamenti con cui Antonia aveva cercato di difendersi e di evitare quello che poi è accaduto e che, con il senno di poi, era evitabile.
Il motivo? Decorrenza dei termini di custodia, in seguito all’annullamento della sentenza da parte della Cassazione, che aveva predisposto un processo d’appello ‘bis’, perché, come spiegò ai tempi l’avvocato dell’uomo, la sentenza che lo condannava per omicidio volontario “non è stata sufficientemente motivata”.

Per due anni l’uomo che ha ucciso Antonia è tornato alla sua vita, fino a una nuova denuncia per violenza, questa volta da parte della compagna e convivente, in seguito alla quale per lui non si sono aperte immediatamente le porte del carcere, ma gli è stato notificato un ordine restrittivo e il dovere di non avvicinare la donna.
Fino al dicembre 2017, quando la Suprema corte ha messo fine a questa vicenda giuridica.

Non a quella umana della sorella Assunta, della madre e dei figli di Antonia, Maximiliano, Florencia e del piccolo Gabriele, figlio dell’assassino, che al tempo dell’omicidio aveva 5 anni.

Quella di Gabriele è un’altra storia, che in questo video è solo sfiorata.
Gabriele oggi ha 13 anni. La morte della madre gli ha aperto prima le porte di una comunità e, solo da un anno e mezzo, quelle di una nuova famiglia, in cui lui sembra essere finalmente felice.

A quale prezzo e con quali ferite è qualcosa che può sapere soltanto il ragazzino a cui il padre – come si legge nelle intercettazioni – diceva che la madre era una puttana e, di fatto, annunciava quanto poi ha fatto sul serio.
Ma questo non è bastato a salvare sua madre.

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