Milioni di bambini nel mondo si vedono derubati della propria infanzia. Ciò significa che questi bambini devono crescere molto velocemente, troppo, rispetto ai loro coetanei in altri Paesi.

È quanto emerge dal report pubblicato da Save the Children, basato sul End of Childhood Index, un indice che valuta la situazione di 180 Paesi in tutto il mondo proprio per stabilire quanti siano costretti a rinunciare alla propria infanzia, in base ai tassi sul lavoro minorile, l’abbandono della scuola, lo stato di salute.

Nonostante le cose siano nettamente migliorate in molte aree del mondo – nel 2000 i minori cui veniva rubata l’infanzia erano 970 milioni – la situazione è ancora critica sotto diversi punti di vista.

Matrimoni con spose bambine, malnutrizione, mancato accesso all’educazione, lavoro minorile, gravidanze precoci restano problemi impossibili da ignorare.

Il Paese più virtuoso, sotto questo punto di vista, nel 2019 si è rivelato Singapore, raggiungendo 989 punti in una scala che va da 1 a 1000; anche dieci Paesi dell’Europa occidentale rientrano nei primi posti dell’indice, con l’Italia che si piazza in ottava posizione, con 982. All’ultimo posto rientra il Niger, con un punteggio di 375, ma in generale le ultime posizioni sono tutte occupate da Paesi dell’Africa subsahariana.

La minaccia del Covid

A peggiorare la situazione di moltissimi bambini in tutto il mondo, nel 2020, anche la pandemia di Covid, che ham minato le condizioni di vita già precarie di moltissime famiglie; le previsioni, allarmanti, stimano che entro la fine dell’anno potrebbero essere 700 milioni il numero totale di bambini che vive sotto la soglia di povertà, a causa della povertà causata dal Covid, per colpa del quale molte famiglie non hanno più accesso a elementi basilari come acqua, cibo e cure.

La mortalità infantile

Secondo le nuove stime sulla mortalità pubblicate  nel settembre 2020 da UNICEF, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Divisione per la Popolazione del Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite (UNDESA) e Banca Mondiale, nel 2019 si è registrato il numero di decessi più basso per i bambini di età compresa tra 0 e 5 anni, assestandosi sui 5,2 milioni, con un calo di quasi il 60% rispetto ai 12,5 milioni del 1990.

In media, nel 2019 14.000 bambini, nel mondo, sono morti prima di compiere 5 anni, rispetto ai 34.000 del 1990 e ai 27.000 del 2000. Ciononostante, ancora 7,4 milioni di bambini, adolescenti e giovani sotto i 25 anni sono morti a livello globale per cause prevenibili o curabili.

Nel dettaglio, 2,4 milioni – ovvero il 47% della mortalità infantile globale – di bambini sono morti nel primo mese di vita, 1,5 milioni (28%) tra il 2° mese e il compimento del primo anno, e 1,3 milioni (25%) tra il dodicesimo mese di vita e il compimento dei 5 anni. Un neonato ha perso la vita ogni 13 secondi, ossia circa 6.700 al giorno.

Altro dato preoccupante, l’incidenza della mortalità neonatale (0-1 mese) all’interno della mortalità infantile complessiva (0-5 anni), che è salita dal 40% del 1990 al 47% di oggi.

Anche in questo caso, nel 2020 a peggiorare le cose potrebbe essere sopraggiunto il Covid, responsabile, secondo UNICEF, della riduzione del 75% dei servizi per la salute neonatale e materna, come controlli prenatali, assistenza ostetrica e assistenza post-parto, in Camerun.

La malnutrizione

Dal 2000 UNICEF è riuscita a ridurre di un terzo l’incidenza della malnutrizione cronica, tanto che nel 2019 risultavano malnutriti 55 milioni di bambini in meno rispetto a 20 anni prima, mentre il 20% in più di neonati riesce a essere allattato esclusivamente al seno nei primi 6 mesi di vita, rispetto al 2005 e 20 milioni di bambini gravemente malnutriti negli ultimi quattro anni hanno ricevuto l’alimentazione terapeutica di cui avevano bisogno per sopravvivere.
Tuttavia, due terzi dei bambini nel mondo continuano a non seguire la dieta variata e sana di cui necessiterebbero, mentre i bimbi delle famiglie più indigenti rischiano il doppio di avere un’alimentazione scarsa, rispetto a quelli delle famiglie più benestanti.
La necessità di sistemi alimentari più sicuri e sostenibili, in cui alimenti sani e servizi nutrizionali siano accessibili e alla portata di ogni bambino, giovane e famiglia, sarà argomento del Global Food Systems Summit del prossimo anno, guidato dal Segretario Generale dell’ONU.

L’accesso all’istruzione

Dal 2000 al 2017, il numero mondiale di abbandoni prematuri della scuola è sceso del 33%, e il numero di analfabeti è passato da 144 milioni a 102.
Purtroppo, però, negli anni più recenti il progresso si è arrestato, e in otto dei 176 paesi esaminati i tassi di abbandono scolastico sono aumentati del 50%.
Fra i paesi virtuosi c’è la Georgia, che ha ridotto il tasso di abbandono dell’istruzione addirittura dell’88%: l’educazione nel paese è gratuita e obbligatoria a partire dai 6 anni, e il paese si è impegnato a rimuovere gli ostacoli all’istruzione e all’inclusione sociale per tutti i bambini, compresi quelli con disabilità.

Ottimi progressi si stanno verificando anche nei paesi sviluppati. Irlanda, Lituania e Spagna hanno tutti ridotto il tasso di abbandono scolastico del 75% o più dal 2000.

La situazione globale, però, parla ancora oggi di 262 milioni di bambini in età di scuola primaria e secondaria che ancora non hanno accesso all’istruzione.
Questi bambini provengono da famiglie estremamente povere, e spesso devono lavorare per aiutare; alcuni devono fronteggiare la discriminazione come minoranza etnica, altri vivono con disabilità. Molti sono rifugiati, sfollati o migranti. Molto spesso sono ragazze, e quasi tre quarti di loro vive nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia meridionale.

Il lavoro minorile

Gran parte del calo del lavoro minorile negli ultimi anni è dipeso dagli sforzi per estendere e migliorare proprio l’accesso all’istruzione, la protezione sociale, o per espandere i servizi di base e stabilire quadri giuridici contro il lavoro minorile.
Tuttavia, a livello globale, ancora 152 milioni di bambini – 64 milioni di bambine e 88 milioni di bambini – sono coinvolti in lavoro minorile, ovvero 1 su 10; di questi, 72 milioni sono coinvolti in lavori pericolosi; i dati, ancora una volta, aumentato nei Paesi più poveri del mondo, dove più di 1 bambino su 4 è coinvolto nel lavoro minorile.

Ovviamente, l’incidenza è più alta nei Paesi colpiti da conflitti armati, in cui vivono circa 250 milioni di bambini, arrivando al 77% rispetto alla media globale. Il lavoro minorile può riguardare schiavitù, sfruttamento sessuale e avere effetti letali.

Ciononostante, è importante registrare anche alcuni dati positivi: l’Uzbekistan ha tagliato il tasso di lavoro minorile addirittura del 92%. Andando in America, anche il Messico ha fatto progressi impressionanti contro il lavoro minorile, tagliando la sua percentuale dell’80% – dal 24% di bambini dai 5 ai 14 anni del 2000 al 5% di oggi.

Il Vietnam ha ridotto il tasso di lavoro minorile del 67%, passando dal 28% dei bambini di età compresa tra 5 e 14 anni del 2000 al 9% attuale. Il governo ha gettato le basi per portare avanti un’azione sostenibile contro il lavoro minorile ratificando la convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, e rivedendo le leggi nazionali sul lavoro minorile.

Anche il Brasile ha compiuto progressi significativi nella lotta al lavoro minorile. Ci sono attualmente circa 1 milione di bambini brasiliani dai 5 ai 14 anni sfruttati come lavoratori, rispetto ai circa 7 milioni del 2002 (oltre l’80% in meno).
La Costituzione del 1988 proibiva il lavoro minorile in Brasile, e il governo ha adottato misure per ridurne l’incidenza già a partire dal 2010, ratificando convenzioni internazionali e adeguandosi alle linee guida mondiali. Ciononostante, pare che circa 80.000 bambini di età compresa tra i 5 e i 9 anni siano tutt’oggi impegnati come lavoratori.

Nonostante i progressi globali, ci sono ancora 152 milioni di bambini sfruttati nel lavoro minorile – quasi un bambino su 10 in tutto il mondo – con quasi la metà di loro (73 milioni) impiegati in lavori pericolosi che mettono in pericolo la salute, la sicurezza e lo sviluppo emotivo.

Le spose bambine

Le spose bambine spesso vanno incontro a gravidanze precoci, con tutti i problemi a esse collegati: rischi di contrarre l’HIV, di avere complicazioni durante il parto, di rimanere vittime di violenza domestica. Con uno scarso accesso all’istruzione e alle opportunità economiche, loro e le loro famiglie hanno maggiori probabilità di vivere in povertà.
Il matrimonio prima dei 18 anni è illegale in un numero sempre crescente di paesi: in Medio Oriente, ad esempio, i matrimoni con ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni è sceso in media dell’80%, mentre inAsia meridionale il progresso più importante si è registrato in India, dove i matrimoni infantili sono passati dal 30% dal 2000, scendendo invece addirittura del 63% dal 1990.

Tuttavia, ancora una volta la pandemia potrebbe aver avuto effetti devastanti anche da questo punto di vista: secondo il rapporto The Global Girlhood Report 2020: Covid-19 and progress in peril diffuso da UNICEF a ottobre del 2020, quest’anno quasi 500.000 ragazze in più nel mondo potrebbero essere costrette al matrimonio forzato, e a questo dato va aggiunto un milione in più di gravidanze precoci, causa principale di morte per le ragazze tra i 15 e 19 anni.

Un’inversione di tendenza negativa dopo 25 anni di progressi, che a causa del virus sta costringendo le adolescenti al matrimonio forzato soprattutto nell’Asia meridionale (191.000), nell’Africa centrale e occidentale (90.000) e nell’America Latina e Caraibi (73.000).

Le gravidanze precoci

Nel 2000, 16 milioni di ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni hanno dato alla luce un figlio; oggi, quel numero è stato ridotto a circa 13 milioni, ma il progresso è stato irregolare. Se in Asia del Sud e Nord America il tasso si è notevolmente ridotto (oltre il 50%) lo stesso non si può dire per Medio Oriente e Nord Africa, che hanno registrato una riduzione appena dell’11%. Nell’Asia orientale e nelle regioni del Pacifico, le stime delle Nazioni Unite suggeriscono che i tassi sono persino aumentati del 5%. E poiché la popolazione di adolescenti nell’Africa subsahariana continua a crescere, le proiezioni indicano che il numero di gravidanze adolescenziali aumenterà a oltre 6 milioni per anno entro il 2030 (dai circa 4,5 milioni all’anno nel 2000).

A ciò va aggiunta la crisi causata dalla pandemia globale, cui abbiamo accennato nel paragrafo sopra, che ha concentrato le gravidanze precoci in gran parte in Africa – 282.000 nell’area meridionale e orientale del continente e 260.000 in quella centrale e occidentale – e nell’America Latina e Caraibi (181.000).

A livello globale, se le tendenze attuali continuano, ci saranno più di 70 milioni di bambini nati da adolescenti tra ora e il 2030.

Gli omicidi infantili

Le riduzioni degli omicidi infantili in Cina rappresentano da sole metà del numero globale di vite salvate. C’erano quasi 8.300 bambini uccisi in Cina nel 2000, rispetto ai 1.800 stimati oggi. Sempre troppi, naturalmente, ma è un 72% in meno che comunque va considerato come progresso.

Anche la Cambogia ha fatto grandi progressi nel ridurre la violenza contro i bambini. Dal 2000, gli ultimi dati suggeriscono che nel paese il tasso di omicidi infantili sia calato del 76%. Il numero totale delle vittime è sceso da un valore stimato di 210 a 50 all’anno, grazie anche ai notevoli miglioramenti della legislazione e dei servizi nazionali per prevenire violenza e sfruttamento. Le leggi recenti hanno rafforzato il sistema giudiziario e scoraggiato gli atti di violenza contro i bambini a casa e a scuola.
Nell’Europa orientale, due paesi hanno compiuto notevoli progressi: il tasso di omicidi infantili in Ucraina è diminuito del 79% dal 2000, in Romani del 75% nello stesso lasso temporale.

I tassi di omicidio infantile più alti del mondo si trovano nell’America Latina e nei Caraibi, dove quasi 70 bambini muoiono ogni giorno a causa della violenza interpersonale. Il 29% di tutti gli omicidi infantili si verificano lì, vale a dire quasi 25.000 vittime ogni anno.

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