Mobbing: i segnali da non sottovalutare e come difendersi

La parola mobbing deriva dal verbo inglese "to mob", ossia "assalire con violenza", "attaccare in massa". In senso lato, dunque, comprende tutta quella serie di comportamenti che, soprattutto sul luogo di lavoro, si pongono l'intento di emarginare, mediante atti aggressivi e persecutori, una persona o un gruppo di individui, al fine di allontanarli dal gruppo e/o vessarli. Vediamo nello specifico di che cosa si tratta.

Clima ostile, offese, demansionamenti, isolamento, violenze verbali, fisiche e sessuali, critiche costanti, abuso di potere, licenziamenti ingiustificati, trasferimenti illegittimi… sono solo alcune delle sfaccettature del mobbing, termine che, ormai da qualche decennio, popola i dibattiti attuali e, in particolare, i posti di lavoro.

Ma di che cosa si tratta nello specifico, e come è possibile riconoscerlo e ostacolarlo? Vediamone i dettagli.

Che cos’è il mobbing? Una definizione

La parola mobbing deriva dal verbo inglese “to mob”, ossia “assalire con violenza”, “attaccare in massa”. In senso lato, dunque, comprende tutta quella serie di comportamenti che, soprattutto sul luogo di lavoro, si pongono l’intento di emarginare, mediante atti aggressivi e persecutori, una persona o un gruppo di individui, al fine di allontanarli dal gruppo e/o vessarli.

Il termine, come spiega l’Università degli Studi di Milano, è stato utilizzato per la prima volta dall’etologo Konrad Lorenz, a indicare la condotta violenta perpetrata da animali della stessa specie e finalizzata all’esclusione di un membro dal gruppo. Il concetto è, poi, defluito in ambito professionale grazie a Heinz Leymann, psicologo tedesco che ne ha fruito proprio per delineare la sequela di atteggiamenti derogatori e violenti nei confronti di un determinato collega.

La definizione si è, infine, diffusa in Italia per merito di un collaboratore di Leymann, Harald Ege, il quale ha tratteggiato il mobbing alla stregua di un

“terrore psicologico sul luogo di lavoro”, uno stato di conflittualità sistematica e persistente contro un lavoratore per emarginarlo o escluderlo dal contesto lavorativo.

Esempi di mobbing sul posto di lavoro

Ma come si può riconoscere un esempio di mobbing? Come si legge su Alta Lex, gli elementi costitutivi sono i seguenti:

  1. una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo mirato, sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
  2. l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  3. il nesso di causalità tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
  4. l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio che unifica e lega tra loro tutti i singoli comportamenti ostili.

A livello pratico, possiamo riconoscere l’atto di mobbing nei seguenti atteggiamenti:

  • Aggressioni verbali;
  • Molestie sessuali;
  • Minacce e abuso di potere;
  • Frasi ingiuriose e diffamatorie;
  • Demansionamenti o inattività;
  • Spostamenti di postazioni, che risultano emarginanti o inidonee;
  • Esclusione (ingiustificata) da determinati incarichi, benefici e promozioni;
  • Isolamento dal gruppo;
  • Rifiuto (ingiustificato) delle ferie, o collocazione delle stesse in periodi non graditi;
  • Diniego (ingiustificato) di permessi e/o straordinari;
  • Critiche e umiliazioni continue;
  • Sottrazione di strumenti utili al lavoro;
  • Distacco e trasferimenti ingiustificati;
  • Controlli eccessivi;
  • Licenziamenti ingiustificati e illegittimi.

Segnali e sintomi di mobbing da non sottovalutare

Come qualsiasi tipo di sopruso, anche il mobbing, naturalmente, ha una serie di effetti a cascata sul benessere psicofisico della vittima. Proprio il nostro stato d’animo, appunto, può essere un’ottima bussola per comprendere se il posto di lavoro si sia trasformato in un luogo ostile e ghettizzante. Come? Facendo attenzione ai segnali.

Ad attuare comportamenti vessatori, tuttavia, non sono solo i superiori, ma anche i colleghi. Il mobbing si può, infatti, distinguere in:

  1. Verticale: quando si assiste a un abuso di potere da parte di individui posti gerarchicamente più in alto rispetto alla vittima, perciò datori di lavoro, manager e supervisori che maltrattano i lavoratori subordinati;
  2. Orizzontale: quello, cioè, che si manifesta tra colleghi posti sullo stesso livello della scala gerarchica professionale, e che, anziché collaborare – come ci si auspicherebbe tra pari -, si ostacolano.

Nel primo caso, assisteremo, come illustra Randstad, a umiliazioni pubbliche o private, discriminazioni più o meno palesi, critiche crudeli e non costruttive e minacce implicite ed esplicite, il tutto volto a sminuire il lavoratore preso di mira e a creare un clima generale di terrore, intimidazione e ansia.

Nella seconda circostanza, invece, ci troveremo di fronte a pettegolezzi diffusi in ufficio (e spesso infondati), sabotaggi, isolamento sociale, ostilità, manipolazione delle dichiarazioni e delle informazioni e azioni finalizzate a rovinare la reputazione della vittima e a emarginarla sempre di più, intaccandone la serenità e le relazioni personali sul posto di lavoro.

Mobbing su donne incinte o single

Vi è, però, una categoria di persone che, forse più di altre, subisce le conseguenze negative del mobbing. Quale? Quella delle donne, ovviamente.

In questo caso si parla, infatti, di “mobbing di genere“, ossia quella specifica forma di aggressione e persecuzione che avviene sul posto di lavoro quando a esserne vittime sono, appunto, le donne.

Questa tipologia di discriminazione si verifica in diverse circostanze, tra le quali spicca, senza dubbio, la maternità. Molte donne incinte, per esempio, riportano di ricevere mansioni gravose, mentre altrettante affermano di aver paura a dichiarare la gravidanza per il timore di essere licenziate. Altre ancora, una volta di ritorno dal periodo di congedo, si ritrovano costrette a svolgere compiti inferiori rispetto a quelli precedenti, o a vedersi trasferite di sede o di reparto con conseguente modifica dello stipendio (spoiler: in negativo).

Ma non sono solo le donne incinte a subire maggiormente episodi di mobbing. Anche quelle single, infatti, non ne sono esenti. Si pensi, ad esempio, al carico di lavoro extra o ai turni in giorni festivi e affini che, solo perché «sole e senza nulla da fare perché prive di marito e figli», sono costrette a sobbarcarsi, così come alle molestie verbali e sessuali che subiscono dai capi o dai colleghi, le quali si trasformano, talvolta, in veri e propri ricatti emotivi.

Come difendersi: strategie e consigli

Se si è vittime di mobbing e si vuole denunciare quanto subito al reparto HR, il primo passo è senz’altro quello di prendere consapevolezza della situazione vigente e attivarsi per tenere traccia delle vessazioni in atto.

Un consiglio utile può essere quello di trascrivere su carta le critiche, le umiliazioni e le diffamazioni ricevute, annotandosi le persone da cui provengono e le date in cui si verificano. Le descrizioni delle “scene” devono essere quanto più possibile precise e dettagliate: solo in questo modo, infatti, è possibile dimostrare la reiterazione, nel corso del tempo, degli atteggiamenti aggressivi patiti e le loro peculiari dinamiche.

In questo senso è, quindi, fondamentale conservare anche qualsiasi prova scritta del mobbing, dai messaggi alle mail, da fogli di carta a post-it, così come è essenziale rivolgersi ai propri colleghi e al loro supporto, chiedendo loro di testimoniare in caso di bisogno.

E se l’abuso di potere o l’emarginazione sociale attuata da parte di alcuni pari hanno avuto delle ripercussioni sulla salute fisica e/o mentale, è bene radunare tutta la documentazione medica correlata e, potenzialmente, preparare un’eventuale azione legale, al fine di tutelarsi e difendersi al meglio dai soprusi.

Le leggi e come denunciare

Sebbene in Italia manchi una legge specifica per il mobbing, sono molteplici le norme che, in maniera collaterale, consentono di condannare i comportamenti derogatori sul posto di lavoro. A livello costituzionale, tra di esse spiccano, in particolare:

  • L’articolo 2, in cui si dichiara il valore centrale e primario della persona umana, come individuo e come membro della società;
  • L’articolo 3, che sancisce il principio di uguaglianza tra i cittadini vietando discriminazioni ingiustificate tra di essi, attribuendo alla Repubblica il compito di attivarsi per l’effettiva realizzazione di tale obiettivo;
  • L’articolo 4, il quale riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che lo rendano effettivo;
  • L’articolo 32, secondo cui la salute dell’individuo è un diritto fondamentale, essendo anche interesse della comunità;
  • L’articolo 35, in cui si dichiara che la Repubblica difende tutte le forme e applicazioni del lavoro;
  • L’articolo 41, in base al quale l’iniziativa economica privata, anche se libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Non essendoci un reato di mobbing, tuttavia, se si intende denunciare un datore di lavoro o un collega si deve fare ricorso ai reati previsti dal Codice Penale e rivolti alla lesione della libertà personale e morale, dell’incolumità individuale, dell’onore e affini. Per esempio, ci si può rivolgere agli articoli:

  • 323, per l’abuso di ufficio.
  • 572, per quanto concerne maltrattamenti contro familiari e conviventi (in contesti di lavoro di dimensioni ridotte);
  • 582 e 590, per lesioni personali dolose o colpose;
  • 609-bis, per la violenza sessuale;
  • 610, per la violenza privata;
  • 612, per la minaccia;
  • 660, per la molestia e il disturbo alle persone.
La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!