Ratchet Feminism: il potere del femminismo non rispettabile e urlante

L'espressione "Ratchet Feminism" deriva dalla commistione dell'aggettivo appartenente allo slang afroamericano "Ratchet", che fa riferimento a un comportamento volgare, eccessivo e considerato come "non rispettabile", e "Feminism", ossia femminismo, e intende rivendicare i diritti delle donne, soprattutto nere e latine, mediante atteggiamenti, parole e azioni che mettano in risalto la propria sessualità, estetica e identità, senza che queste vengano giudicate attraverso il filtro patriarcale e borghese. Vediamo di cosa si tratta nello specifico.

Si può fare femminismo con le unghie smaltate, gli abiti succinti, i glitter, il twerk e la trap? Certo che sì: parola del Ratchet Feminism, movimento che intende rivendicare i diritti delle donne in modalità che esulano dalla “norma” e dalla “rispettabilità” propria di certo femminismo.

Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

Cos’è il Ratchet Feminism e perché sta cambiando le regole del femminismo

L’espressione Ratchet Feminism deriva dalla commistione dell’aggettivo appartenente allo slang afroamericano “Ratchet”, che fa riferimento a un comportamento volgare, eccessivo e spesso giudicato come “non rispettabile”, e “Feminism”, ossia femminismo.

Coniata e popolarizzata da studiose e attiviste – perlopiù afroamericane -, tra le quali Brittney Cooper, Joan Morgan e Moya Bailey, essa indica, dunque, una peculiare forma di femminismo che si pone l’obiettivo di rivendicare i diritti delle donne, soprattutto nere e latine, mediante atteggiamenti, parole e azioni che mettano in risalto la propria sessualità, estetica e identità, senza che queste vengano giudicate attraverso il filtro patriarcale e borghese tipico, in particolar modo, dei primi movimenti femministi.

Alla base, infatti, vi è l’idea che, per essere una “buona femminista”, non sia necessario comportarsi in modo educato, sobrio ed elegante, ma sia, al contrario, doveroso esprimere pienamente la propria personalità, anche se considerata eccentrica e anticonvenzionale, senza rispettare obbligatoriamente gli standard morali e culturali socialmente imposti.

Un vero e proprio cambiamento delle regole “classiche” del femminismo, che si esplica in un’eradicazione dei modelli “decorosi” dettati dalla società patriarcale, bianca e borghese, in un’emancipazione dal conformismo, in una celebrazione della propria libertà sessuale e in un’amplificazione delle voci marginalizzate (come quelle delle donne queer, nere e/o povere, che non sempre sono rappresentate nei discorsi femministi più mainstream).

Dalla trap al twerk: come si fa attivismo fuori dagli standard

Gli esempi del Ratchet Feminism sono molteplici, e non solo in ambito accademico. Una delle caratteristiche precipue di questo tipo di femminismo, infatti, è la sua natura profondamente trasversale e “popolare”, capace di uscire fuori dagli standard e di diffondere l’attivismo e le sue lotte in ambienti culturali di ampia fruizione.

Un emblema è il mondo del rap e della trap: cantanti e artiste come Megan Thee Stallion, Lizzo, Cardi B, o come le italiane BigMama e Chadia Rodríguez, rivendicano, mediante i loro progetti e le loro canzoni, corpi non conformi, una sessualità esplicita e la propria autodeterminazione, sfidando l’oggettificazione cui sono solitamente sottoposte le donne dello spettacolo.

Non è un caso che il twerk – una danza afrodiscendente correlata ad antichi rituali – sia divenuto, soprattutto nel settore musicale, un simbolo di libertà corporea e rifiuto della vergogna. Il rap e la trap, infatti, costituiscono, da sempre, le forme per eccellenza della contro-narrazione, e rappresentano, oggi, il luogo ideale in cui poter raccontare non solo la marginalità, il disagio e la rabbia, ma anche, e soprattutto, l’autoaffermazione e il riscatto.

Rispetto, rabbia e glitter: il linguaggio del Ratchet Feminism

Il Ratchet Feminism, quindi, prende le mosse da soggettività e corpi – neri, queer, latini, disabili, grassi, trans – che sono stati storicamente marginalizzati anche all’interno del femminismo mainstream, e che incarnano pienamente l’intersezionalità.

Per farlo, essi fanno spesso ricorso a un linguaggio – visivo e verbale – che esula dai paradigmi imposti e risulta originale perché profondamente autentico e spontaneo. TikTok, Twitter e Instagram, per esempio, sono alcuni dei luoghi virtuali in cui trova sfogo una forma di micro-attivismo legato al Ratchet Feminism, con video che spiegano, sfottono, decostruiscono ed educano in forma ironica e accessibile.

A essere posti al centro vi sono, poi, i concetti di rispetto e rabbia: il primo, come accennato, rifiuta il mito della “rispettabilità” come unica via per essere ascoltate, viste e valutate degne, e decostruisce, al contempo, lo sguardo bianco, borghese e patriarcale.

Il secondo, invece, celebra una rabbia che non sia distruttiva, bensì sacra, politica e rivoluzionaria, in grado di essere considerata alla stregua di un diritto, alla frustrazione, all’urlo e alla denuncia. I testi di Megan Thee Stallion, Cardi B o Rico Nasty, in questo senso, sono veri e propri atti di ribellione in forma trap, drill e hip-hop, e rappresentano una delle molteplici forme (insieme a meme taglienti, ai già citati video ironici e ai post ricolmi di rabbia sui social) per smascherare razzismo e sessismo.

Il tutto senza rinunciare alle forme più anticonvenzionali e lontane dal canone della “rispettabilità” che possano esserci, ossia glitter, unghie lunghe e smaltate, tatuaggi, abiti succinti, parrucche colorate, pose da diva, ciglia finte e abbigliamento “ratchet” o kitsch: elementi giudicati come frivoli, volgari e ridicoli, ma complici, in realtà, di sfidare i codici morali e la “femminilità seria” e di divenire autentiche espressioni del potere e della body politics.

Quando il corpo diventa messaggio: il potere del femminismo non rispettabile

In questo modo, allora, il corpo si fa messaggio, diventando veicolo di una presa di posizione e di un’ideologia che esigono il diritto di esistere senza doversi giustificare, di dare voce a chi è stato marginalizzato, di sfidare le norme culturali e sociali imposte, di restituire potere a chi ne è stato privato, di creare spazi di liberazione e identità collettiva e di influenzare il discorso politico con le proprie lotte.

Un attivismo, quello del Ratchet Feminism, che si “sporca le mani”, deraglia dai binari consueti e usa il piacere, la musica, l’eccesso e, soprattutto, il corpo per rivendicare l’esistenza, la resistenza e la mancanza di adeguatezza da parte di soggettività “disturbanti”, lontane dai modelli da cui le donne sono sempre state plasmate.

Corpi che, dunque, si mostrano, provocano, non si scusano e non si nascondono dietro la vergogna e il giudizio, ma che, al contrario, ostentano la propria natura, sottolineano la propria essenza e disturbano, appunto, perché capaci di mettere in discussione il mito della donna educata, “per bene”, discreta, moralmente irreprensibile e sobria, contrapponendo a esso la rabbia, il desiderio, l’estetica audace e i corpi non conformi, da considerare al pari di forme altrettanto valide di lotta e femminismo.

Per affermare a pieni polmoni che: “Noi esistiamo, resistiamo, e non ci adeguiamo”.

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