Femme invisibility, come le donne queer sono invisibilizzate

La "femme invisibility" consiste in una serie di atteggiamenti discriminatori e offensivi nei confronti delle donne lesbiche che non sembrano tali, perché "troppo" femminili e curate. Una forma di pregiudizio che vive anche all'interno della comunità queer, e che marginalizza ed esclude le donne "femme". Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

«Ma davvero sei lesbica? Non l’avrei mai detto!», «Sei troppo carina per essere gay», «È solo una fase: presto starai con degli uomini», «Le altre donne come fanno a sapere che sei lesbica, vestita così?».

Sono solo alcune delle esternazioni che alcune donne lesbiche – le cosiddette femme – possono sentirsi rivolgere quando dialogano con qualcuno a proposito del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere. Ma perché tanto stupore? Il motivo risiede nell’apparenza: più una donna è conforme ai canoni di genere culturalmente accettati e normati rispetto alla “femminilità“, meno sarà creduta quando affermerà di essere omosessuale.

Si tratta di una forma di discriminazione che possiede un nome preciso: femme invisibility. Vediamo di che cosa si tratta.

Che cosa significa femme invisibility?

Come accennato, con l’espressione “femme invisibility” (o “invisibilità femme“) ci si riferisce alla serie di atteggiamenti discriminatori e ai pregiudizi che colpiscono le donne lesbiche “femme”, basati sul modo in cui queste ultime si vestono, si acconciano e si presentano al mondo.

Alla base vi è, infatti, la distinzione introdotta tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta del Novecento tra lesbiche butch e lesbiche femme: le prime rappresentavano le donne omosessuali maggiormente “riconoscibili”, dal momento che indossavano abiti tradizionalmente poco femminili e assumevano modi di fare mascolini e più “audaci”; le seconde, invece, rispettavano, a livello esteriore, l’espressione di genere associata culturalmente alle donne, corrispondente alla cura dei dettagli nel vestiario, nel trucco e nel comportamento nel complesso.

Come si legge sul sito Casa delle lesbiche:

Siamo le “lesbiche del rossetto”, le ragazze che amano ombretti e vestiti scintillanti, rossetto rosso acceso e tacchi alti. Scegliamo di avere i capelli lunghi e le sopracciglia pinzate e le mani ben curate. In breve, adoriamo tutti i segni esteriori del femminile. Amiamo anche ferocemente e senza scusarsi le donne.

Di qui, la diffidenza nei confronti delle femme e la conseguente incredulità – mista a discriminazione – nel momento in cui esse affermano il proprio orientamento sessuale. Essa può spaziare dal considerare il lesbismo una “fase” al non prendere sul serio il proprio essere queer, fino a veri e propri atti di esclusione e marginalizzazione.

La femme invisibility nella comunità queer

A proposito di queer, anche all’interno della comunità LGBTQI+, appunto, si possono verificare forme di femme invisibility. Le cause sono le medesime: i capelli lunghi, il rossetto o i vestitini possono “sviare” l’interlocutore al punto da non credere all’orientamento sessuale della donna con cui si sta interfacciando.

La discriminazione, tuttavia, può andare ben oltre la semplice incredulità, e può manifestarsi sotto forma di ghettizzazione, ostracismo, esclusione dal gruppo e, in generale, in una mancata ascesa all’interno della comunità di appartenenza, causata dal fatto di non essere “abbastanza” lesbiche per essere prese sul serio – anche da chi, a questi aspetti, non dovrebbe nemmeno farci caso.

Ogni volta, dunque, le femme si ritrovano costrette ad affermare se stesse, la propria identità e il proprio orientamento sessuale, andando incontro a un fenomeno che potremmo definire paradossale, ossia: lottare per l’uguaglianza, la parità e la propria rappresentazione nell’ambito di una comunità – quella LGBTQI+ – che ha fatto, di tali battaglie, il proprio asse precipuo e la propria bandiera.

Conseguenze ed effetti sulle vittime

Secondo alcuni, essere femme porta con sé una serie di vantaggi: apparire alla stregua di “donne eterosessuali“, infatti, ridurrebbe il rischio di essere vittime di bullismo, aggressioni omofobe e violenza sessuale, verbale e/o psicologica, proprio a causa dell’apparenza “ingannevole” e maggiormente in linea con le aspettative culturali di genere.

Le conseguenze della femme invisibility, però, sono particolarmente pesanti per chi le vive in prima persona. Un esempio: le lesbiche femme possono incorrere in appellativi sessisti o in molestie da parte di uomini che non credono alla loro sessualità e vogliono provare loro di non essere “davvero” gay.

O, ancora, come abbiamo visto, esse possono essere escluse dalla lotta queer, con effetti non indifferenti sul proprio senso di comunità e appartenenza. Come si legge su Very Well Mind:

Le donne continuano a non essere considerate una parte così importante della narrativa queer come altre perché non sono visibilmente queer. Sono spesso esclusi dalle storie di attivismo LGBTQ +, in modo simile a come sono stati prevalentemente POC e persone trans che hanno iniziato e guidato il movimento negli anni ’60, ma hanno ricevuto riconoscimenti culturali solo negli ultimi anni. […] Le donne rappresentano la diversità del panorama LGBTQ+ tanto quanto quelle che appaiono più chiaramente queer. La visibilità consente loro di lottare per la parità di diritti per tutte le persone LGBTQ+ insieme ai loro coetanei.

Senza considerare, poi, il senso di disagio, tristezza e destabilizzazione che deriva dall’essere marginalizzati, così come la mancanza di accettazione, che può verificarsi sia in ambito queer, sia in famiglia, tra amici o sul luogo di lavoro.

Come superare la femme invisibility

Per non rischiare di inciampare in errori grossolani – che, in tal caso, possono essere compiuti inconsapevolmente anche da persone ingenue e in buona fede – e di non discriminare persone che non corrispondono a stereotipi culturalmente imposti, la soluzione è, senza dubbio, non basarsi sulle apparenze, cercando di mantenere quella dose di riserbo e pudore che elude parole e/o gesti offensivi – soprattutto nei confronti di una persona appena sconosciuta o con cui si ha un rapporto poco confidenziale.

Il modo in cui una persona si veste, si trucca o si acconcia non costituisce, infatti, un parametro per determinare la sua identità di genere e il suo orientamento sessuale. E, inoltre, nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare un individuo sulla base di ciò che vede, senza dare piena legittimità a ciò che l’altro dice e comunica di sé.

Come precisa la Casa delle lesbiche:

Per affrontare questi problemi, dobbiamo distruggere l’idea che esista un modo giusto di apparire, pensare, comportarci o essere queer. Quando stereotipiamo in questo modo, cancelliamo quantità incredibili di persone che hanno bisogno, vogliono e meritano il supporto e le risorse della comunità LGBTQ +. Una ragazza con un rossetto rosa acceso e una minigonna ha lo stesso diritto di sognare ad occhi aperti di tenere la mano della sua ragazza come chiunque altro ed è ora che la società inizi a vederlo.

Ognuno ha il diritto di porsi in relazione con se stesso, gli altri e il mondo nel modo in cui si sente più a proprio agio. E nessuno può denigrarlo, tantomeno basandosi su mera apparenza e stereotipi di genere.

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