"I corpi grassi sono rivoluzione in movimento" - INTERVISTA a Giulia Paganelli

Sulla base di cosa e sul perché il sistema abbia realizzato lo sguardo grassofobico interviene Giulia Paganelli, antropologa, storica e divulgatrice che sui social trovate sul profilo @evastaizitta.

Corpi, una parola plurale e organica che definisce la nostra porzione di materia, quella che abitiamo e che osserviamo gli altri abitare. I copri sono qualcosa di cui parliamo, che inseriamo nella narrazione collettiva dell’ordine delle cose. Gli attribuiamo un valore, lo neghiamo, lo confermiamo, lo cambiamo ed adattiamo in base al sentire dominate, a quella conversazione collettiva che ne definisce l’esistenza e non tanto come constatazione quanto più come determinazione.

I corpi, nel sentire collettivo sono normati all’esterno e non tutti i corpi allo stesso modo. Alcuni corpi sono più normati di altri, compartimentalizzati e ascritti ad un unico aspetto da cui ne si trae una misura che ne determina la collocazione gerarchica. Un aspetto che, se non congruente alle prescrizioni di massa, imposte sulla massa e che opprimono la massa, viene sublimato in stigma, un marchio da apporre per esprimere un giudizio, moralizzare e quindi spingere, con pressione violenta e insindacabile, la persona a incorporare quel medesimo metro valutativo, definendosi e svalutandosi di conseguenza.

Imponiamo una costrizione e una vergogna, una colpa da assolvere. E il corpo femminile, nelle sue infinte possibili espressioni, è il corpo più soggetto a norma e controllo, a stigma e colpa.

Una dimensione del corpo umano tra le più rilevate e valutate è il volume, lo spazio che il corpo occupa e in che forma, in che proporzione. Una misura che riassumiamo nel peso, ma più di tutto nell’idea del corpo non adeguatamente magro: il corpo grasso.

La grassezza è una delle possibilità dei corpi, una forma, un’esistenza che è stata nel tempo assorbita, smangiucchiata e rigurgitata come inadeguata da un sistema sociale che vive di limitazioni e valori attribuiti. Il sistema ha determinato la conformità e il rifiuto verso ciò che non vi corrisponde. La grassofobia è la discriminazione di sistema che ne deriva, capace di proporsi non solo come espressione verbale, ma come vero e proprio depotenziamento delle persone grasse, la cui autoderminazione viene erosa e ascritta ad un ambito di fanciullezza inconsapevolezza.

Una discriminazione permeante al punto da compromettere persino il rapporto medico paziente, un ambito in cui la persona grassa viene scomposta ad un unico fattore primo con annesse conseguenze sull’indagine medica e la salute del paziente.
Sulla base di cosa e sul perché il sistema abbia realizzato lo sguardo grassofobico interviene Giulia Paganelli, antropologa, storica e divulgatrice che sui social trovate sul profilo @evastaizitta.

Come si definisce il corpo grasso e in particolare il corpo grasso femminile?

I corpi grassi sono tutti quei corpi che esulano, con forme totalmente differenti gli uni dagli altri, dallo stereotipo unico di bellezza sociale e culturale. La storia di questo stereotipo risale a stratificazioni e stratificazioni culturali fa quando si è deciso in modo arbitrario che il senso della vista patriarcale fosse autorizzato a pretendere soddisfazione con imposizione coercitiva sui corpi altrui.

È chiaro che questo riguarda storicamente i corpi femminili che nel corso del tempo hanno attraversato diversi stereotipi di perfezione estetica mai, però, così distanti tra loro. Alla fine l’unico obiettivo costante è quello di raggiungere quel traguardo, soddisfare lo sguardo maschile e questo attraverso pratiche comportamentali, restrizioni, imposizioni faticose e poco salutari. Il problema è che essendo perfetto, lo stereotipo non è mai raggiungibile: come dice Hegel nella trattazione dell’Assoluto, la perfezione è infinita e non è possibile che la finitezza dell’essere umano vi partecipi.

Ora in questo scenario prova a immaginare cosa significa essere un corpo grasso, un corpo che non solo non è inserito all’interno della forma consentita (quindi di una conformità), ma che sopravvive lo stesso smascherando la struttura di potere.
Non ci sono molte alternative se non costruire una narrazione di colpa immonda, noncuranza, indifferenza alla salute, incapacità di intendere e di volere per giustificarne l’esistenza.

Dal punto di vista sociale cosa rappresenta? Perché è demonizzato?

Beh, il corpo grasso è un enorme pericolo per il sistema patriarcale e per la sua struttura di potere. Prova a immaginare quanto danno può fare qualcosa che solo esistendo e uscendo per caso distrugge secoli e secoli di retorica su come debba essere un corpo. Il corpo grasso è rivoluzione in movimento, ma questo incentiva ancora di più la violenza nei suoi confronti. Il corpo grasso viene ritenuto colpevole della sua condizione, un atto di lesa maestà nei confronti delle istituzioni, della società, della cultura e nel suo esistere senza vittimismo, invisibilità, reclusione, isolamento non può ricevere misericordia.

Anzi. È il centro nevralgico di tutte le dannazioni del corpo – soprattutto femminile. Così si tenta di fare un lavaggio del cervello fin dall’infanzia puntando sugli argomenti che per cultura lo metteranno maggiormente in crisi: un corpo grasso non può essere amato, non merita attenzione, non è desiderabile, non troverà mai un marito, non potrà mai avere dei figli. Ancora una volta un altro cluster, come se tutte noi desiderassimo davvero soltanto una famiglia, un cane e la gita della domenica. Fa ridere, no?

Il corpo grasso è stato considerato in maniera uniforme nel tempo?

No. Anzi. Sempre assoggettato come tutti i corpi femminili, ma la grassofobia e il terrore per il corpo grasso iniziano con l’apertura della rotta transatlantica della tratta degli schiavi e l’ingresso dei corpi neri in Europa. Gli studi sulla razza dichiarati scientifici e l’insorgere delle teorie evoluzionistiche hanno creato una caratterizzazione razziale implicita del corpo grasso con un’associazione semantica tra la forma del corpo e tutte le caratteristiche negative attribuite ai corpi neri che sono ancora quelle che vengono perpetuate dalla retorica grassofobica: inaffidabilità, ingordigia, pigrizia, inattività, mancanza di etica e morale, inciviltà, impurità e colpa (queste profondamente cristiane nel loro contrapporsi al digiuno per espiazione dai peccati).

Lo sguardo grassofobico è il prodotto di una storia di conformità tramandata?

Lo sguardo grassofobico padre e figlio di una costante stratificazione culturale di figure cognitive. Mi spiego meglio. Esiste l’archetipo del corpo grasso che è formato da una serie di pezzi provenienti da epoche storiche e spazi geografici diversi. Questi pezzi vengono messi insieme creando un “modello” a cui viene gettato sopra un giudizio morale, una pratica discorsiva (quindi un insieme di parole che in sé hanno già un comportamento implicito quando vengono pronunciate, denigratorio per esempio) e un posto nel mondo.

Non sono persone reali, ma disegni che compongono un prototipo al quale si viene assimilati per maggioranza. Per questo motivo esiste un +/- grasso con conseguente accessibilità via via sempre più limitata ai diritti umani. Lo sguardo grassofobico compone questo modello rispondendo all’esigenza di creare un Altro finto da mettere a distanza, ma è anche figlio nel suo perenne modificarsi per restare sempre molto pervasivo ed efficace.
È Crono che divora i suoi figli, ma è anche il figlio che desidera essere cannibalizzato da Crono per validare il proprio ruolo nel mondo.

L’idea di corpo grasso è quindi statica e universale?

In realtà no, lo sono però le parole che circoscrivono il perimetro di quel corpo. Ci sono termini medicalizzanti, per esempio, che indicano l’associazione con un virus o una malattia contagiosa, altre che vengono dalla sfera semantica animale per sottolinearne la mancanza di cognizione, altre ancora che tendono ad associare il corpo grasso con oggetti inanimati, così che sia più facile de-umanizzarli e farli a brandelli. Il corpo grasso, in realtà, muta nel tempo e nello spazio ma anche tra corpo e corpo e anche la stessa idea

Il modo in cui ci rapportiamo all’idea della grassezza è inculcato, ma anche attivato dalle nostre modalità di interazione con esso. Quando ci valutiamo in relazione a ciò che ci è stato insegnato essere indesiderabile, rinforziamo l’idea le diamo una sostanza più solida che passa dai nostri gesti, dalle nostre azioni alle nostre relazioni con l’altro. E come sempre, nel mezzo del processo oppressivo, chi si ritrova destinatario dell’agire sociale coercitivo viene cancellato, oggettificato o infantilizzato per non riconoscere che, come specifica Paganelli, la sua sola esistenza è già una forma di resistenza.

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