Diet culture: le origini, il ruolo dei media e come superarla

L'espressione "diet culture" associa i termini inglesi "diet", "dieta", e "culture", "cultura", e si riferisce a una "cultura della dieta", appunto, in cui convergono idee e preconcetti circa stili di vita, alimentazione e forme del corpo "adeguati" e, dunque, correlati falsi miti legati agli atteggiamenti ritenuti "corretti" in relazione alla nutrizione, allo sport e al concetto stesso di dieta. Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

Dimagrante, ipocalorica, detox, a zona, chetogenica, mima digiuno, mediterranea… i tipi di “dieta” diffusi nel mondo sono molteplici e variegati, pur confluendo tutti nella perdita di peso e nel ripristino della cosiddetta “forma fisica”.

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, oltre a un autentico desiderio di sentirsi bene con il proprio corpo, il sostrato di tali pratiche alimentari affonda le proprie radici nella diet culture: di che cosa si tratta e quali sono le sue caratteristiche? Scopriamolo insieme.

Che cos’è la diet culture?

L’espressione “diet culture” associa i termini inglesi “diet”, “dieta”, e “culture”, “cultura”, e si riferisce a una “cultura della dieta”, appunto, in cui convergono idee e preconcetti circa stili di vita, alimentazione e forme del corpo “adeguati” e, dunque, correlati falsi miti legati agli atteggiamenti ritenuti “corretti” in relazione alla nutrizione, allo sport e al concetto stesso di dieta.

La definizione si basa, infatti, su un significato erroneo di quest’ultima. Come spiega Treccani, se un tempo, nell’ambito dell’antica medicina greca, il sostantivo “dieta” delineava «il complesso delle norme di vita (alimentazione, attività fisica, riposo etc.) atte a mantenere lo stato di salute», oggi, al contrario, esso è utilizzato alla stregua di «alimentazione quantitativamente e qualitativamente definita, rivolta a conseguire scopi terapeutici o preventivi».

Ne consegue che la dieta e, in generale, la cultura che la concerne, prediliga corpi magri, tonici e privi di grasso in eccesso, in una pericolosa e subdola associazione tra il peso e le dimensioni del corpo e il livello di salute e lo status sociale. Generando, in questo modo, un cortocircuito abissale e vizioso.

Le origini della diet culture e il ruolo dei media

Il corpo, in particolar modo quelle delle donne, è sempre stato oggetto di misurazioni, giudizi e critiche. Lo si evince dal fatto che a esso, nel corso dei secoli, siano stati affiancati canoni e modelli di bellezza sempre dissimili, ma esemplificativi di ciò che era considerato “bello” in un determinato contesto socio-culturale.

Nello specifico, come precisa la scrittrice e influencer Giulia Paganelli (sui social @evastaizitta):

Il Mito della Bellezza si deposita tra la prima e la seconda rivoluzione industriale. Con la nascita della società di massa, la borghesia avanza nella scala sociale iniziando a imporre valori, gusti e preferenze. Nello stesso periodo, la forza-lavoro femminile, resa necessaria dalla sempre maggior aspirazione al capitale, permette la rottura della dimensione domestica attraverso l’indipendenza economica.

Ma, continua:

Questo è strumento pericoloso, perché rischia di dare alle donne la possibilità di scegliere in modo autonomo che cosa comprare e se avere figli. Diventa, quindi, fondamentale sottometterle a un nuovo credo, che possa da un lato occupare i loro guadagni e, dall’altro, inserirle in una rincorsa infinita a un modello di estetica, perché solo quello, una volta raggiunto, può placare l’ansia da prestazione con il Benessere.

Di qui, l’idea che:

La Bellezza è fatta di segni, marchi e movimenti del corpo che vengono colmati di un significato culturale specifico. Questa disposizione – che dura nel tempo e si rinnova per mantenersi sempre identica a se stessa – è composta dalle cose che apprendiamo e da quelle che agiamo all’interno di un sistema di condizionamenti sociali, culturali ed economici.

Un significato culturale, quello che abita il corpo e il mito della bellezza, che trova la sua acme mediante i media, dalla televisione ai social network, dalla letteratura alle pellicole cinematografiche. Come rivela lo studio delle ricercatrici Marisa Minadeo e Lizzy Pope pubblicato su Plos One, Weight-normative messaging predominates on TikTok — A qualitative content analysis, infatti, social quali Instagram e TikTok vedono una grande affluenza di contenuti dedicati al tema del peso e dell’alimentazione, rivolti perlopiù al pubblico giovanile che li costellano e focalizzati sul concetto di “peso normativo” – contro l’esiguo 3% di post caratterizzati da un approccio inclusivo -, con conseguenze deleterie per quanto concerne benessere psicofisico, percezione di sé e degli altri e relazioni sociali.

Gli effetti negativi sulla salute mentale

Ingabbiare i nostri corpi all’interno di ideali spesso utopistici, avulsi dalla realtà e fittizi può, naturalmente, produrre degli effetti particolarmente nocivi sulle persone che ne sono vittime. Il più evidente è, senza dubbio, un incrinarsi della propria autostima, derivante dal confronto costante e pernicioso con i corpi e le forme altrui.

Una comparazione che può indurre molti individui a sviluppare disturbi del comportamento alimentare di intensità e gravità differenti, e che conduce anche a categorizzare i cibi in “buoni” e “cattivi”, perdendo di vista la semantica originaria del termine “dieta”, intesa come equilibrio degli elementi – nutrizionali e non solo – e come apporto calibrato di tutti gli alimenti, nessuno escluso (nemmeno i carboidrati), e non, come avviene attualmente, al pari di restrizione e punizione.

A tali pregiudizi si correla, poi, un rapporto malsano con l’attività fisica, cui spesso si fa ricorso come espediente per “smaltire” e “depurarsi” del cibo in eccesso, in base alla logica per cui «se mangio un dolce, corro in palestra subito dopo per il senso di colpa a esso connesso». Come si legge su Teisty, però:

Il cibo non è qualcosa che ci si deve meritare, è fonte di vita e non ci possono essere compromessi; il senso di colpa che affligge molte persone, e tipico di chi soffre di DCA, è una delle conseguenze principali. Gli esperti nel settore smentiscono questa affermazione sostenendo, al contrario, l’importanza di nutrirsi di alimenti di cui si ha voglia in un determinato momento, ascoltando i segnali di fame-sazietà inviati dal corpo e sottolineano l’importanza del recupero in un percorso di attività fisica; il corpo, infatti, necessita di riposo per poter dare il massimo in termini di performace, non solo sportiva ma nelle quotidiane attività.

La body positivity e l’accettazione del proprio corpo

Una risposta controcorrente al tentativo di uniformare e omologare i corpi deriva dalla body positivity, un movimento sociale nato alla fine degli anni ’60 del ‘900 che si prefigge lo scopo di combattere il body shaming (fondato sulla denigrazione compulsiva della forma fisica altrui) e di abbracciare lo spettro di forme, dimensioni e peculiarità che possono assumere i nostri corpi.

Come afferma Animenta, associazione no profit promossa da un gruppo di giovani per raccontare, informare e sensibilizzare sui Disturbi del Comportamento Alimentare:

Non c’è positivo e negativo quando si parla di un corpo. Dentro quel corpo c’è una persona e dentro ogni persona c’è un mondo: se immaginassimo una persona come una matrioska, ci sembrerebbe riduttivo giudicarla solo da ciò che vediamo.

Essere body positive, perciò, consiste nell’accettare non solo il proprio corpo, ma anche quello delle persone che ci circondano, promuovendo, come ricorda la scrittrice, attivista e femminista Dalila Bagnuli, una lotta sociale incentrata sul rispetto (e non sul discorso mainstream per cui “tutto è bello”) e sull’eradicazione del concetto di bellezza come “attributo aggiuntivo” di una persona.

La bellezza, infatti, non deve e non può impattare sulla vita degli individui, così come non deve e non può sottostare a standard prefissati a livello sociale e basati su elementi asettici e fintamente oggettivi, come taglia, forma, genere e abilità fisiche. Focus precipuo deve essere, invece, la salute, che prescinde dalla dimensione e dal peso, e deriva da una sinergia di elementi dissimili, assumendo un significato peculiare per ciascun soggetto.

Come superare le conseguenze della diet culture?

Come svincolarsi, quindi, dai precetti della cultura della dieta? Il primo passo è esserne consapevoli e riconoscere i giudizi interiorizzati e castranti relativi al corpo e alle imposizioni che lo caratterizzano. In questo senso, può essere utile rintracciare gruppi di supporto e parlarne con persone che subiscono i medesimi effetti negativi, confrontandosi e individuando strategie per decostruire, insieme, i costrutti sociali che fondano la diet culture.

In secondo luogo, se quest’ultima impatta sulle nostre vite in maniera totalizzante e ci impedisce di nutrire il nostro benessere psicofisico, è fondamentale chiedere supporto a un terapeuta, che possa aiutarci, mediante un percorso ad hoc, a liberarci dal giogo delle aspettative e dei falsi miti.

Infine, è essenziale veicolare informazioni puntuali e corrette circa alimentazione, attività fisica e salute, soprattutto se si è educatori, medici e genitori, affinché si sia in grado di discernere, fin dalla più tenera età, i comportamenti corretti da quelli che, invece, risultano deleteri per l’equilibrio nutrizionale, mentale e corporeo. Come si legge sul sito del Centro DCA, infatti:

Comprendere che il corpo e lo stile di vita di ogni persona sono unici e imparare a celebrare queste differenze può contribuire a fornire un percorso efficace verso la salute e la felicità. Inoltre, assimilare questi insegnamenti già nelle prime fasi della vita può aiutare gli adolescenti a prendersi cura della propria salute e del proprio benessere durante il passaggio all’età adulta.

Siamo unici, e ciascuno, con le proprie forme, taglie e dimensioni, è degno di rispetto, affetto e considerazione. A prescindere dai canoni imposti.

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