Storia del turismo di massa e come superarlo per abbracciare nuove forme di viaggio

Il turismo di massa, prevedendo pacchetti completi di esperienze, vitto e alloggio, deturpa la natura del viaggio e l'ambiente, rendendo anonimi e snaturati i luoghi oggetto di visita. Come si può superare? Vediamone insieme le caratteristiche e le conseguenze.

Estate: tempo di spiagge affollate, code fuori dai musei, ristoranti sempre pieni, hotel intasati, luoghi d’attrazione presi d’assalto e mezzi pubblici con al loro interno persone costipate e accaldate.

In poche parole: turismo di massa. Il quale reca con sé distruzione dei luoghi e dell’ambiente, maleducazione civica, invasioni irresponsabili delle località visitate, inciviltà e disinteresse – e, spesso, incomprensione – nei confronti di ciò che si osserva, ad appannaggio della mera volontà di poter affermare di “esserci stati” e di poter piantare la bandierina, in vista del prossimo, emozionante, viaggio in giro per il mondo.

Di che cosa si tratta nello specifico e quali sono le sue caratteristiche? Scopriamolo insieme.

Che cos’è il turismo di massa? Una definizione

Con l’espressione “turismo di massa” si intende una tipologia di turismo che prevede l’organizzazione del viaggio – perlopiù in gruppi – da parte di agenzie specializzate, le quali si premurano di individuare “pacchetti di esperienze” immersive e totalizzanti, comprensive di attività ludiche, culturali e distensive, oltre che, naturalmente, di vitto e alloggio.

Un’esperienza che appare, dunque, quasi “preconfezionata“, e che risulta completamente avulsa dal contesto in cui è calata, dalle peculiarità del luogo che si intende visitare – al di là delle attrazioni più celebri – e dalla specificità culturale e “di vita” di quest’ultimo.

Un turismo che alimenta le multinazionali, e, nella maggior parte dei casi, snatura in modo tellurico i Paesi che ne sono vittime, con appezzamenti di terreni sacrificati alla costruzione di hotel o resort di lusso, acqua e risorse di cibo devolute ai turisti – e sottratte agli abitanti – e posti di lavoro stagionali e sottopagati.

La storia del turismo di massa

Una forma di turismo che pare abbia iniziato a svilupparsi nella seconda parte dell’800 nel Regno Unito, e il cui capostipite fu Thomas Cook, imprenditore e pastore protestante e antesignano delle odierne agenzie di viaggio.

È, infatti, il 5 luglio 1841 quando Cook, approfittando delle nuove opportunità offerte dalla rete ferroviaria in forte espansione in Europa, decide di organizzare un viaggio di 11 miglia da Leichester a Loghborough. Come si legge su 9Colonne, i partecipanti furono ben 570, e ognuno di essi pagò uno scellino a testa per pagare il trasporto e il pasto della giornata.

L’iniziativa ottenne così tanto successo che spinse Thomas Cook a ideare gite turistiche ancora più articolate e strutturate, con lo scopo di regalare un momento di evasione alle classi sociali meno abbienti dell’Inghilterra vittoriana. Fu così che, nell’arco di pochi anni, l’idea di Cook attecchì sempre più fortemente e vide la nascita della Thomas Cook & Son, una vera e propria industria turistica con uffici sparsi in tutto il mondo e grazie alla quale oltre 20.000 turisti iniziarono a viaggiare per il globo, valicando anche i confini europei e giungendo fino in Asia e India.

Il turismo vide, poi, una notevole accelerata con la diffusione delle automobili, degli aerei e, nello specifico, delle proposte low cost: emblema per eccellenza del viaggio “mordi e fuggi” per il tempo di un weekend.

Rischi e conseguenze del turismo di massa

Ma quali sono i rischi di un turismo così veloce, affollato e vertiginoso? A pagarne le spese è perlopiù l’ambiente.

Come si legge su Medium, le conseguenze più diffuse prevedono, tra le altre, l’inciviltà del turista, spesso privo di un reale interesse storico e culturale nei confronti di ciò che sta visitando. Tra i segni di maleducazione rientrano, per esempio, il tono della voce troppo alto nei luoghi di culto e nei musei, il mancato rispetto nei confronti di località specifiche (a livello di vestiario e simili, o anche di azioni: si pensi ai numerosi “bagni” nella Fontana di Trevi) e l’abbondanza di rifiuti generati.

All’inciviltà si affianca, inoltre, una complessiva “perdita di identità” delle città e dei Paesi, snaturati nella loro essenza in favore del comfort e dei bisogni del turista: di qui, ecco lo svuotamento di alcune zone urbane a favore di bar, ristoranti, hotel e servizi commerciali che possano soddisfare tutte le esigenze del visitatore, plasmandosi sui contorni delle stesse.

Un mutamento cui si associa anche la guerra dei prezzi, caratterizzata da costanti ribassi, voli low cost e stanze a prezzi irrisori al solo fine di “catturare” l’attenzione del turista medio, poco incline a conoscere davvero il luogo, bensì maggiormente propenso a svagare la propria mente con un divertissement che gli costi poco e gli consenta di dire, una volta tornato in ufficio, “io ci sono stato”. E poco importa che non abbia compreso pressoché nulla di ciò che ha osservato.

Come superarlo e abbracciare nuove forme di viaggio

Affinché il viaggio possa davvero essere considerato tale, si deve, quindi, superare la concezione di turismo e abbracciare quella di sostenibilità e responsabilità. Il turismo sostenibile, infatti, pone particolare attenzione alle azioni compiute dai viaggiatori, in vista di una comprensione autentica del Paese in cui si decide di recarsi.

La visita non si riduce, così, a una mera catalogazione e serie di foto di poli attrattivi, ma vede lo “straniero” calato nella cultura in cui si ritrova, impegnato a creare connessioni con la popolazione locale e a conoscerne usanze, tradizioni culinarie (e non) e questioni sociali e ambientali.

Si innesca, in questo modo, una sorta di “educazione al turismo”, dove il viaggio non è solo un puntino sulla mappa, bensì un percorso volto alla comprensione profonda del posto e dei suoi abitanti, la quale alimenta, così, il rispetto, la fiducia e il dialogo tra ospiti e ospitati.

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