Era la mattina del 31 ottobre 1984: seduta al tavolo del trucco, la Prima ministra Indira Gandhi si stava preparando per essere intervistata dall’attore britannico Peter Ustinov. Poche ore dopo avrebbe dato una cena in onore della principessa Anna, unica figlia femmina della regina Elisabetta, in visita ufficiale in India.

Dettò al suo assistente R.K. Dhawan qualche cambiamento alla lista degli ospiti per il banchetto e si alzò per uscire. “Da quel momento non c’è stato uno solo giorno della mia vita in cui non abbia pensato alla catena di eventi di quella mattina”, raccontò molti anni dopo l’uomo al Telegraph.

Vestita con un sari in un delicato arancione, uno dei colori della bandiera indiana, Indira Gandhi uscì dalla sua residenza ufficiale a New Delhi. Vide passare un cameriere con un servizio da tè, ma gli disse di andare a cambiarlo con uno più elegante. Poi si avviò lungo il vialetto di cemento, tra querce e neem.

Vedendo le due guardie sikh al cancello, le salutò con il tradizionale gesto delle mani giunte, ma in quell’istante si sentirono dei colpi di arma da fuoco. Erano le 9 e 9 minuti e a sparare erano stati proprio i due uomini responsabili della sua sicurezza, il trentaquattrenne Beant Singh e il ventunenne Satwant Singh, in servizio da pochi mesi.

Indira Gandhi non ebbe nemmeno il tempo di reagire, colpita al cuore e allo stomaco da una trentina di proiettili. Non aveva ancora compiuto sessantasette anni. Subito dopo la notizia del suo assassinio, l’India precipitò nel terrore e migliaia di sikh vennero uccisi per ritorsione. Le due guardie vennero subito processate e condannate a morte.

Solo un giorno prima della sua morte, la prima ministra indiana aveva tenuto un discorso pubblico nello stato indiano di Orissa. Dal palco, si era espressa sulla situazione del Paese e soprattutto sul suo ruolo istituzionale, pronunciando parole quasi profetiche:

Non ho l’ambizione di vivere a lungo, ma sono fiera di mettere la mia vita al servizio della nazione. Se dovessi morire oggi, ogni goccia del mio sangue fortificherebbe l’India.

Figura di spicco della politica indiana, Indira Priyadarshini Nehru nacque il 19 novembre 1917 ad Allahabad. Suo padre era Jawaharlal Nehru, Primo ministro indiano e grande protagonista del percorso di indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna. Figlia unica, passò un’infanzia solitaria e infelice, con il padre spesso lontano per lavoro o in carcere per motivi politici e la madre costretta a letto per la malattia.

Sebbene abbia conosciuto il Mahatma Gandhi da piccola, non erano legati da parentela: prese infatti il cognome Gandhi dal marito, Feroze Gandhi, studente della London School of Economics, conosciuto in Inghilterra durante gli studi a Oxford. La coppia si sposò nel 1942 ad Allahabad ed ebbe due figli, Rajiv Gandhi (1944) e Sanjay Gandhi (1946).

Il loro non fu uno dei matrimoni più felici, ma si concluse solo con la prematura morte dell’uomo, nel 1960, in seguito a un attacco cardiaco. Nel frattempo, però, la passione di Indira Gandhi per la politica era cresciuta, anche grazie al padre, Primo Ministro nel 1947, che aveva iniziato a seguire come sua assistente personale. Nel 1959 fu eletta presidente del Congresso Nazionale Indiano, un partito laico e di sinistra, ma fino alla morte del padre, nel 1964, si rifiutò di entrare in competizione con lui.

Solo dopo divenne prima ministra dell’informazione, e poi, nel 1966 Indira Gandhi, fu eletta come Prima ministra (la prima donna ad ottenere una carica così alta in India e la seconda in tutto il mondo), sebbene in un momento di incertezza per il suo partito. Durante i suoi primi tre governi, dal 1966 al 1977, si adoperò per eliminare le ineguaglianze tra cittadini indiani, lottando contro la povertà. Non ottenne tutti i risultati sperati, anche a causa di problemi politici esterni, divisioni interne, calamità naturali e crisi energetiche.

Molto attiva anche con gli altri capi esteri, nel 1975 Indira Gandhi si trovò al centro di un grande scandalo. Fu accusata di brogli elettorali e condannata all’interdizione dai pubblici uffici per sei anni. Per tentare di porre rimedio alle agitazioni sociali, proclamò lo stato d’emergenza nazionale e ridusse la libertà di stampa, cancellando anche la condanna nei suoi confronti grazie a una legge ad personam.

Sconfitta alle elezioni del 1977, non si diede per vinta e rifondò un altro partito, che trionfò nel 1980. Tornata in carica come Prima ministra nello stesso anno, si trovò nuovamente a cercare di placare i malumori delle diverse minoranze che cercavano indipendenza, tra cui quella dei sikh.

Furono proprio le sue guardie sikh a tradirla, come abbiamo spiegato: il suo assassinio, il 31 ottobre del 1984, fu infatti una vendetta contro di lei, che aveva mandato l’esercito contro i sikh in Punjab, bloccando con la violenza la loro rivolta.

Nel 1980 era morto il figlio minore Sanjay, che avrebbe dovuto essere il suo erede politico. Fu quindi il riluttante Rajiv a diventare Primo ministro dopo la scomparsa della madre: restò in carica fino al 1989 e due anni dopo, nel 1991, anche lui fu assassinato.

Tra luci e ombre, quella di Indira Gandhi è stata sicuramente una vicenda umana e politica importante per l’emancipazione femminile. Il suo esempio ha aiutato molte donne indiane a prendere il coraggio per dimostrare la propria forza. Nel corso della sua vita, però, raccontò di essersi spesso sentita in colpa per non aver seguito i figli come avrebbe voluto, per via della sua carriera politica.

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