“Ho una casa bellissima / Bellissima come vuoi tu / Ma io ripenso a una gatta”. Una lunga carriera di successi, quella di Gino Paoli, iniziata da una canzone che era già una dichiarazione d’amore. La storia de La gatta, che forse non tutti conoscono, l’ha raccontata proprio il cantautore in una intervista al Corriere. Era il 1960 e aveva debuttato da poco nella musica, senza grande successo, lasciando la casa dei genitori per una sistemazione non proprio gradevole. Con lui c’era la sua gatta, Ciacola.

Una specie di soffitta a Boccadasse dove faceva un freddo intenso d’inverno e un caldo mostruoso d’estate. Con i primi soldi dei dischi cambiai casa e andai a stare in un appartamento vero portandomi dietro Ciacola. Lei era la prima cosa che avevo preso, quando ero andato via da casa dei miei. Arrivo in questo appartamento in corso Paganini e la gatta, dopo neanche un mese, si ammala e poi muore di occlusione. Secondo me è morta di nostalgia per la casa sconnessa di Boccadasse. Non ha accettato il cambiamento.

Subito dopo il grande successo della canzone, nato da un passaparola, Gino Paoli attira l’attenzione di Mogol, che propone a Mina una sua canzone, Il cielo in una stanza. Lei dice di sì e nasce uno dei capolavori della musica italiana, che anche in questo caso racconta la storia di un amore sui generis. “Quando sei qui vicino a me / Questo soffitto viola / No, non esiste più / Io vedo il cielo sopra noi”. La donna raccontata era una prostituta, “piccola con i capelli neri, un’aria un po’ orientale. Gentile, buona”.

C’era una che mi piaceva molto, nel casino qui a Genova. E andavo a trovarla. È dedicata all’orgasmo, quella canzone. […] Tu ti senti proiettato nello spazio, nel tempo e nello stesso tempo ti senti niente, ti senti zero, non ci sei più. C’è qualcosa di inspiegabile nell’orgasmo. Infatti io non l’ho spiegato, ho cercato di ricreare una emozione che lo richiamasse.

Tante donne abitano le canzoni di Gino Paoli. La prima moglie Anna Fabbri, Stefania Sandrelli con cui ebbe una passione folgorante, Ornella Vanoni e la sua attuale moglie, Paola Penzo, autrice di molti suoi testi.

Vanoni la conosce nel 1961, mentre è sposato con la prima moglie: lei ispira alcune tra le canzoni più amate del cantautore, come Che cosa c’è e Senza fine. Dopo la passione, rimane l’amicizia, che resiste ancora oggi, come raccontato dalla cantante.

Abbiamo un rapporto affettuoso. Adoro sua moglie Paola, che l’ha voluto e se l’è tenuto a tutti i costi. Io allora piangevo sempre. Ero sposata, lui pure. Si metteva al piano, e io non azzeccavo più una nota. Una sera mi porta al Cral di Genova, non era elegantissimo, io in oro. Mi guarda e mi fa: “Sembri un gianduiotto”. Ancora adesso è capace di dirmi: “Ti ricordi le risate?”. Le sue. Io a casa piangevo. La moglie a casa piangeva. Le sue, di risate.

Stefania Sandrelli, invece, arriva in un anno difficile per Gino Paoli, che nel 1963 tenta il suicidio. Si spara un colpo al cuore, ma il proiettile si ferma prima: era destino che andasse così.

Ad un certo punto ho pensato: mi sparo, vediamo. L’ho fatto. Come se mi avessero tirato un masso enorme addosso. Poi ho perso conoscenza. Mi sono svegliato in ospedale con il prete che mi dava l’estrema unzione e l’ho mandato a fare in culo.

Al suo capezzale arrivano la moglie, Ornella Vanoni e anche una giovane attrice, Sandrelli, ancora minorenne, che rimane incinta e nel 1964 gli dà la figlia Amanda.

Proprio la figlia Gino Paoli la descrive come “una cosa straordinaria che mi è successa“. Con lei, nel 1991, cantò La bella e la bestia, colonna sonora dell’omonimo film della Disney.

Le voglio molto bene. Forse la persona alla quale voglio più bene. Mio nonno Gino e Amanda sono le persone che forse ho amato di più nella mia vita. Non è che le altre non le ami, anzi. Senza Paola, mia moglie, non so come farei a vivere. Ho avuto il culo di avere una donna così.

Sono stato avuto da molte donne, è diverso – ha dichiarato – Le ho conquistate quando hanno deciso che dovevo. Da pigro, ho sempre aspettato sotto l’albero che la mela cadesse. Anche con la musica andò così. Non era previsto che diventassi cantautore. Dipingevo. Luigi Tenco voleva fare il fisico, Bruno Lauzi si è laureato. Reverberi ci chiamò perché “si sentiva solo a Milano”. È stata una questione di culo. Come il fatto che sia ancora qui: ho bevuto per 20 anni una bottiglia di whisky al giorno.

Non pensate a un Paoli impenitente dongiovanni; in un’occasione a Vanity Fair disse “Se amo una donna, è per tutta la vita. Le ragioni per cui l’ho amata sussistono, la bellezza permane. Perché smettere solo perché non si va più a letto insieme?“.

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